06 Febbraio 2024

“Non trattenete i beni, abbandonateli”. Richard Rolle all’assalto di Dio

Figura spinata, in un gorgo di enigmi, d’indomabile tempra, Richard Rolle è il patriarca, diciamo così, della mistica in lingua inglese. Nato intorno al 1290, nei pressi di Pickering, nello Yorkshire, da una famiglia di contadini, dimostrò da subito un’intelligenza fuori asse. L’arcidiacono di Durham, Thomas de Neville, si offrì di pagare gli studi del ragazzino prodigio a Oxford, dove Richard si impegna, pare, con profitto. Richard Rolle, tuttavia, è un mistico allo stato selvaggio, una figura dirompente e di rottura, che si inserisce, da par suo, con energumena singolarità, nel vasto moto degli ordini mendicanti e del beghinaggio dell’epoca. In Rolle, cioè, avvince il carattere brusco, la brutale ricerca di Dio, in crepitante solitudine: a diciannove anni il ragazzo lascia l’università colto dall’ardore eremitico. Si ritira nei boschi che accerchiano il paese natio, preferendo una vita di contemplazione e di accattonaggio. Il criterio dominante è il rifiuto di aderire a comunità di monaci o frati sotto scudo clericale. Richard Rolle vuole abbandonare tutto, soprattutto la sicurezza di un ordine, la protezione del clero; vuole la vita indifesa, incontrollata.

Con le vesti della sorella si cuce la propria tunica, assemblata con un cappuccio prestatogli dal padre. La famiglia, quasi subito, interpreta la scelta del ragazzo come uno scoscendimento nella follia: Richard deve recidere i rapporti con tutti, per evitare la reclusione, dandosi alla vita raminga.

A Rotherham, secondo la leggenda, entra in chiesa, è la festa dell’Assunta; con l’assenso del sacerdote, ascende al pulpito, “predica con meravigliosa potenza”. Il cavaliere d’armi John de Dalton – suo compagno a Oxford – lo riconosce, ne valuta la mania, gli offre protezione, fornendogli cella, abiti, cibo. Da qui, cominciano le esperienze mistiche di Richard Rolle; l’agiografia “lo raffigura mentre è in stato di completa estasi, vive in un mondo spirituale, lottando contro i diavoli, a legioni, vincendoli”. La serie dei rapimenti mistici dura quattro anni e tre mesi: perduto il protettore – arrestato nel 1322, confiscati i beni – Rolle ricomincia la vita di vagabondaggi. Oscuro è il percorso di questi anni: secondo alcuni avrebbe perfezionato gli studi alla Sorbona. Di certo, predica nel Richmondshire e trova ricovero a Hampole, nei dintorni del monastero femminile cistercense di St. Mary. Lì addestra la sua sola discepola, Margaret Kirkby (1322 ca.-1394 ca.), erede dei suoi scritti, legata da spirituale amore.

Uomo dalla tempra formidabile, Rolle, tra l’altro, ha tradotto e commentato in Middle English – in particolare, “nel vigoroso dialetto della Northumbria” – i Salmi, il Cantico dei Cantici, le Lamentazioni e l’Apocalisse, aprendo la via all’opera di John Wyclif. Dei suoi scritti, l’Incendio Amoris – edito da Il Leone Verde nel 2010 come L’incendio d’amore – e l’Emendatio Vitae sono i più noti, tra i testi più letti del Medioevo inglese, precipitati in diverse copie manoscritte. Rolle racconta, con nudi verbi, scorticata ogni pretesa da scolastico, le fasi della sua eccezionale esperienza mistica – calore che brulica nel corpo; immotivata dolcezza che leva il dolore; le lingue degli angeli a subissare orecchie, mente, cuore – e i metodi per addestrarsi ad accoglierla. La necessità di abbandonarsi a Dio abbandonando tutto è uno dei cardini di questo addestramento: Rolle mette in guardia dal non fare della povertà e dell’eremitaggio un idolo. A nulla ci si può ancorare nell’accorata ricerca di Dio.

Spesso il linguaggio di Rolle è severo, procede per vampe, per assalti. La scaltrezza vince sui ben levigati toni, la ferocia sui sofismi, la lingua terrena, alfabeto intriso di terra, sulla raffinatezza dei concetti. Richard Rolle non è un mistico che pronuncia gli abissi: di Dio sente il corpo taurino, che carica e scassa. Apprezzata da alcuni – da Margery Kempe, ad esempio – la sua verve mistica è stigmatizzata, per facilità di modi, dall’autore della Nube della non conoscenza, tra i trattati più potenti della mistica in lingua inglese.

Morì – pare – il 30 settembre del 1349, forse di peste, in odore di santità. In vita, avrebbe sanato un epilettico; da morto, guarì miracolosamente una flotta di fedeli accorsi alla sua tomba. La fama spirituale di un uomo non ascritto ufficialmente ad alcun ordine, non irreggimentato in una regola, diede fastidio. In previsione della sua canonizzazione, fu scritta una Legenda e raccolto, in parte, il corpus dei suoi scritti e degli inni: Richard Rolle, tuttavia, restò un latitante nell’aurea storia della mistica cristiana. La Chiesa cattolica non ne riconosce la santità, quella anglicana lo ricorda il 20 settembre. Come tutti i pionieri, Richard Rolle resta sulla soglia dei mondi, tra fanatismo e sparizione. L’irruenza è la sua sacra stola: è l’uomo che va all’assalto di Dio.

***

Il corpo si muove, gli occhi vedono,
ma questo non sono interamente io;
uomini e donne, ormai morti, hanno modellato
lo stampo da cui non so fuggire;
le parole che dico e ciò che scrivo,
perfino questi versi: non sono unicamente miei.
Nel mio cuore e nella mia volontà
gli antichi avi ancora guerreggiano:
Celti, Romani, Sassoni e la schiera intera
dei morti nutrono il sangue delle mie vene,
il volto, i gesti e la voce, il tono, carne
della mia carne, ossa delle mie ossa;
tra gli arati campi io non curo che la zolla,
cammino su sentieri già percorsi;
intorno ai miei passi sorgono – buoni
o cattivi – quelli che mi hanno fatto sorgere.

*

Ignoro il ritmo delle Tue lodi
mio Dio, perché non me lo insegni?
perché non mi fai udire la ferma voce
dello Spirito, che in eterno di Te parla?
Racconterò le Tue meraviglie
quando il sospiro celeste cucirà
in me il canto ben forgiato dalla grazia
quando saprò dove nel segreto regni.
Le Tue meraviglie sovrastano la mia
piccolezza: accordo il mio cuore al Tuo
pensare, posso solo annunciarti
secondo il verbo che Tu ci hai insegnato.

*

Sul Paradiso

Lì è vita e non è morte
è eterna giovinezza
mondo saldo nella purezza
puro riposo, fatica svanita
lì è pace senza conflitto;
e lignaggio d’amore;
sempre arde una luce
l’inverno non ha voce
adorazione in luogo di onore
l’unico Re al posto dell’Imperatore
la sublime melodia degli angeli:
tutto abita il proprio centro.
Dilaga l’amicizia
l’amore perfetto
senza mendicarlo;
sapienza che svasa
in follia, onestà priva di veleni.
Tutto ciò che l’uomo chiama
“gioia del cielo” rispetto a quella gioia
è nulla: il viso di Dio arde ovunque
e in quella promessa giace
la mia sola grazia.

*

Sulla povertà

Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto ciò che hai, dai il ricavato ai poveri e vieni, segui Cristo. Nell’abbandonare le cose mondane per quelle cristiane è la via della perfezione. In realtà, non tutti quelli che hanno abbandonato i loro beni seguono Cristo, perché molti, dopo aver venduto gli averi, stanno peggio di prima. Si fanno servi della maldicenza, accusano il prossimo, levano ai vicini la buona nomea. Si gonfiano d’invidia, rovistano nella malizia, pongono se stessi prima degli altri, lodano la loro infima sapienza, disprezzano e condannano i confratelli. Guarda come il demonio li ha ingannati: né il mondo né Dio li accontentano e cadono in tormenti senza fine.

Tu che comprendi ciò che ho detto, acquista la povertà nel senso autentico. Quando dico “va e vendi tutto” intendo un cambiamento radicale del sentire e del desiderare: chi era orgoglioso si fa umile, chi era adirato si scopre mite, l’invidioso è caritatevole, l’avaro è generoso e retto dal pudore. L’impuro si astiene dal male e da ogni parvenza malvagia. Chi amava dolcemente quel poco di mondo, ora è raccolto completamente nell’amore di Cristo e addestra i turbamenti del cuore a un unico fine: le eterne cose. La povertà per scelta gli è fruttuosa, gloriosa corona la sofferenza patita per Cristo.

Beati i poveri in spirito… Cos’è la povertà di spirito se non mitezza d’animo, grazie alla quale l’uomo conosce la propria infermità? Poiché da solo non può giungere all’equilibrio perfetto: ha bisogno della grazia di Dio e abbandona tutto ciò che lo allontana da quella grazia, pone la sua volontà nella gioia del Creatore. Come da una radice sorgono molti rami, così dalla povertà volontaria seguono virtù e meraviglie inattese, sapienze spinate, inesplorate. Non accade come chi muta abito ma non anima, che abbandona le ricchezze per fare incetta di altri vizi. Cosa c’è di peggio di un povero gonfio di orgoglio? Cosa c’è di più disprezzabile di un mendicante esperto nell’invidia?

Se davvero vuoi abbandonare ogni cosa per metterti sulle tracce di Dio, guarda a ciò che disprezzi più che a ciò che abbandoni. Presta attenzione a come persegui Cristo nelle maniere di ogni giorno. La povertà, di per sé, non è una virtù; è mera miseria e non va di per sé lodata, fino a farne un idolo: è uno strumento. Aiuta a ottenere la beatitudine, a fuggire dal peccato. È dunque per questo da desiderare. Non reca onori ma infamia e sopraffazione; verrete scacciati da chi ama il mondo, ma soffrire tutto per Cristo è necessario.

Chi brilla per mansuetudine e umiltà conquista la destra di Cristo, benché di tutto sia privo. Chi dice di non poter lasciare tutto perché è malato e necessita del giusto per poter vivere, è ragionevole, troppo. Non osa affrontare l’angoscia e la povertà e il bisogno per Dio. Contemplare le cose celesti, abbandonando occupazioni e commissioni secolari, dimorando instancabilmente nella preghiera è grazia di Dio. Non trattenete i beni, abbandonateli. Cercare più del necessario è turpe cupidigia; trattenere più del necessario è viltà; abbandonare ogni cosa è perfezione.

Richard Rolle

Gruppo MAGOG