06 Febbraio 2018

Reportage da Buenos Aires, ovvero: quando Mick Jagger si inchinò davanti a Borges (che ascoltava i Pink Floyd)

A Buenos Aires sembrano tutti in fuga, tutti stranieri. Questo, forse, è affascinante. Una città impossibile costruita con genio europeo sulle sponde livide del rio de la Plata. Come addomesticare una anaconda. Come insegnare a un giaguaro a mangiare con forchetta, coltello e fazzoletto al collo. Tutti, a Buenos Aires, sono eredi di migranti. Sono di questa terra, ma hanno il cuore sepolto in un’altra, solo sognata, immaginaria. Per questo, c’è una specie di devozione ai lari della malinconia e quando cade, la sera, disintegra viali eleganti, palazzi, uomini. Il giaguaro si sveglia e divora ogni cosa. Anacleto viene dal Portogallo, abita a Zárate, 90 chilometri da Buenos Aires, sulle sponde del Paraná. Non gli piace Zárate. In assoluto, non gli piace questo mondo né questo tempo. “La gente ha perso il senso dell’identità, tutto corre, tutto si distrugge”, dice. Poi mi indica una tizia. “Tipica argentina”. Anni 45, labbra gonfie come Zeppelin, pelle tirata, tette in esposizione. Anacleto la piglia in giro, “questa è una donna?”. Anacleto, la domenica, pranza al Cafe Tabac con la figlia, ‘Sole’, eccellente scrittrice di reportage. Quella domenica c’ero anch’io. Il Cafe Tabac è il bar più elegante della Recoleta, la zona di Buenos Aires eternata da Jorge Luis Borges in una delle sue prime poesie, La Recoleta. Il grande cieco amava il cimitero della Recoleta, “la comunione del marmo e del fiore”, dove “esaltiamo il sogno e l’indifferenza”. “Me lo ricordo, l’ho vissuto il tempo in cui andavi Cafe La Biela o al Tortoni e lo vedevi, Borges, appollaiato al suo bastone, e potevi fargli qualche domanda, e lui ti guardava, guardando nei gangli del tuo destino, forse, guardingo, e forse rispondeva”, mi dice, e con una mano cancella gli ultimi trent’anni, come se fossero una falange di piccioni. Anacleto ha una eleganza innata. Ha letto molti libri. Un po’ se ne vanta. “Ormai non ho nessuno con cui parlare, sa, gli amici sono quasi tutti morti”. La sua passione è Federico Fellini: cita brani di film, ricorda quando ha visto Amarcord, ha una passione viscerale per Otto e mezzo, è un florilegio di aneddoti. Mi racconta le malizie con cui Fellini rifiutò, per il suo Casanova, di affidare il ruolo del protagonista a Robert Redford, contravvenendo ai desideri del produttore. Che strano. All’altro capo del mondo un ‘fellinologo’. Che si offende quando non lo seguo, quando non gli do spago nel delirio filologico felliniano. Poi attacca con i libri. Adora William Faulkner. “Il suo libro più bello è Le palme selvagge: lo sa che lo ha tradotto anche Borges?”. Ovviamente non lo so. Poi mi parla di Cesare Pavese, di Pasolini (“mi piace Ragazzi di vita”), di Albert Camus e di André Malraux. Mi obbliga a comprare un libro di Isidoro Blaisten, “uno dei grandi scrittori argentini contemporanei. E poi, mi creda, se vuole conoscere l’Argentina lasci perdere Martin Fierro o Don Segundo Sombra”. E… cosa dovrei leggere? “Ovvio. Il Facundo di Domingo Faustino Sarmiento, quella è la quintessenza dell’argentinità… se esiste”. Mi informo. Sarmiento, che è stato anche Presidente dell’Argentina dal 1868 al 1874, ha pubblicato nel 1845 la storia di Facundo Quiroga, caudillo argentino vissuto nei primi dell’Ottocento, durante i turbini che seguirono la dichiarazione d’indipendenza, noto per il coraggio e l’avventatezza. Anacleto, figura eroica, a suo modo, fuori tempo, avrà 75 anni, fa il parrucchiere a Zárate, il peluquero. La sua barberia è una specie di antro filosofico, dove si discute di libri, di cinema, della vita e della morte. Ha fatto radio per decenni e ha portato il rock nei domini argentini. “Si informi, a Borges piaceva il rock… ed era adorato da Mick Jagger”. Poi Anacleto se ne va, con la sua aura leggendaria. Mi informo. Lì per lì penso che sia una battuta. Che cavolo c’entra lo scrittore de L’Aleph con il cantante di Satisfaction? In effetti, c’entra.

Borges Kodoma
Jorge Luis Borges con la sua musa (e moglie) María Kodama

L’aneddoto lo ha raccontato, un decennio fa, María Kodama, la musa di Borges, la vedova – se l’è sposato due mesi prima della morte – presidente della ‘Fundación International Jorge Luis Borges’. Intanto, la Kodama recensisce la discografia di Borges. “Non gli piaceva Beethoven. Ma ascoltava Brahms, Bach, la musica antica, medioevale, e il folclore, la milonga e il tango”. Fin qui, ci siamo. Il resto ci stupisce. “Gli piacevano alcuni pezzi dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Pink Floyd. I Pink Floyd gli piacevano molto. L’inno del suo compleanno non era Happy Birthday ma The Wall”. Incredibile. Il cieco che coniuga la gnosi alla saga islandese, l’apocrifo antico e la leggenda coranica che ascolta i Pink Floyd per la festa di compleanno. Siamo ancora lontani da Mick Jagger, comunque. “Eravamo al Palace Hotel di Madrid”, attacca la Kodama. “Aspettavamo che venissero a prenderci per la cena quando vedo Mick Jagger. La rockstar si inginocchia e afferra la mano di Borges, ‘Maestro, io la ammiro’, dice. Borges, un po’ stupito, fa, ‘E lei chi è?’. E lui, ‘Sono Mick Jagger’. ‘Ah, quello dei Rolling Stones’, risponde Borges. Mick Jagger quasi sviene dall’emozione, ‘E come fa a conoscermi?’”. Già. Come fa? Merito della Kodama. Che gli fa vedere un film. Il film si chiama Performance, in Italia è tradotto come Sadismo, è girato nel 1968 ma mandato al cinema nel 1970, in un tripudio di critiche. Il film è un manifesto pulp della Swinging London, tra violenza gratuita a go-go, droghe, allucinazioni, deliri sessuali. Nel film, girato da Donald Cammell, Mick Jagger interpreta una rockstar torturata dalla vita. Nel film le labbra da carnefice di Jagger pronunciano frasi elusive, “And the Tetrarchs of Sodom, and Orbis Tertius”, che rimandano al più rappresentativo dei racconti di Borges, Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, raccolto in Finzioni. In un fotogramma del film, inoltre, si vede, rapidissima, una immagine di Borges dentro uno specchio, poi infranto. Già. Ma come fa Borges a essere finito in un film con Mick Jagger protagonista? Chiedo a Nicolás Helft, micidiale esperto di Borges. Il giro è questo. “Nel 1950 lo scrittore francese Roger Callois, che vive a Buenos Aires sotto la protezione di Victoria Ocampo, traduce Finzioni in Francia, per Gallimard. Segue una notevole recensione di Jean-Paul Sartre”. Segue, nel 1961, vittoria, insieme a Samuel Beckett, di un importante premio internazionale degli editori. Quell’anno, cominciano le traduzioni negli States e Borges, “nella decade degli hippie diventa lettura obbligata per i concetti che sa creare, la manipolazione del tempo e dell’identità, la civiltà umana che sparisce al cospetto della memoria artificiale, la biblioteca dove tutto è scritto e nulla si può creare, tutti temi che esaltano chi vuole sperimentare le droghe, gli eccessi dell’intelletto”. Ecco, questa è la storia di come Borges divenne l’autore preferito di Mick Jagger. (d.b.)

 

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