Ritradurre i grandi autori, i grandi poeti classici della letteratura universale, è per me, più che vanto, sfida ‒ orgoglio nel rinnovare un perenne alfabeto fluido nell’empireo olimpico degli dei. Tra questi spicca ‒ per luminosità verbale, insidia senza rima, fiotto di saggezza ‒ il grande Furia e mistero di René Char, del quale propongo, nell’edizione Gallimard del 1962, un breve florilegio di versi.
Va detto, intanto, che preferisco ʻFuriaʼ a “Furoreˮ, per emendare l’ordinario dalla noncuranza di una monotonia effimera, tentando forse di riprodurre la violenza scevra di dubbi, di una parola che tale dev’essere nella verità della creazione.
Il poeta è l’uomo della stabilità unilaterale.
La poesia è l’amore realizzato del desiderio che è rimasto desiderio.
L’immaginazione consiste nell’espellere dalla realtà diverse persone incomplete per ottenere, sfruttando i poteri magici e sovversivi del desiderio, il loro ritorno sotto forma di una presenza del tutto soddisfacente. È allora il reale increato inestinguibile.
La poesia dunque, per Char, è un desiderio indomabile, ciò che resta del formulare un sogno. Il desiderio, magico e sovversivo, è tutto quel che occorre per alambiccare l’immaginazione in nuove forme di creatività.
E ancora:
Hypnos afferra l’inverno e lo riveste di granito.
L’inverno si addormentò e Hypnos divenne fuoco.
Il resto appartiene agli uomini.
Non soffermarti nel solco dei risultati.
Tutta l’autorità, la tattica e l’ingegno non sostituiscono un briciolo di convinzione al servizio della verità. Questo luogo comune, penso di averlo migliorato.
Il tempo visto attraverso l’immagine è un tempo perso. L’essere e il tempo sono molto diversi. L’immagine brilla eterna, quando è andata oltre l’essere e il tempo.
Furono dedicati a Albert Camus questi Fogli d’Hypnos, nei quali primeggia il verso come fuoco; l’allegoria come forma estrema di tempo straniero, se non estraneo, all’uomo. Probabilmente erano messaggi cifrati nella scia dell’eterno, nel solco dell’insopprimibile verità, come nella gora di acque che si specchiavano nell’immagine del cielo.