All’anagrafe della mia città funziona così: si entra opportunamente mascherati e subito un addetto indica una colonnina in grado di misurare la temperatura corporea; superata questa prova, l’addetto porge un liquido con cui disinfettarsi le mani, poi richiede di esibire la certificazione verde. Soltanto dopo aver superato questi passaggi si può accedere al Totem, un computer che, una volta interrogato, genera un cartellino con sopra un numero. Ma questo rituale non è che la facciata di un più complesso sistema di codici, numerazioni, protocolli e bolli custoditi nel grande apparato dell’ufficio anagrafico, dove ogni singola identità è custodita e schedata.
Oggi le persone si sentono lontane da tutto quel che concerne la religione, e quando capita di assistere a una cerimonia religiosa guardano con occhi interrogativi quei gesti, quei segni, posti dal sacerdote e dai fedeli a sigillo della celebrazione. Guardano con estraneità quel linguaggio un tempo tanto familiare, ma oggi quasi del tutto sconosciuto. Insomma, la religione presto sarà folklore, curiosità da museo o documentario, una” bella reliquia”, nelle parole di Zapatero.
Ma l’uomo di oggi non comprende una cosa essenziale: non ha escluso la religione dalla propria vita; ne ha semplicemente ceduto il posto a qualcos’altro. In parte al culto del proprio ego, in parte ai suoi desideri, in parte a qualcosa di indefinito e sfuggente, soprattutto per quanto riguarda questi gesti, questi rituali.
Un tempo i rituali di passaggio erano segnati da precisi momenti legati alla religione; oggi vengono sostituiti da certificazioni, patenti e passaporti. L’utilizzo di nomi che hanno affinità religiose, come il Totem di cui sopra, non è che lo specchio semantico, divertente o inquietante. Così, l’idea per cui gli uomini, sbarazzatisi della religione, sfoghino il loro bisogno di regole e codici con la burocrazia, è seducente. L’uomo, ormai inadatto a vivere senza regole sociali, trova nella burocrazia quelle prassi in grado di farlo sentire al sicuro, protetto. Una sicurezza che credeva di non volere, una sicurezza che non credeva necessaria, un tempo demandata alle istituzioni religiose.
Quel che spaventa oggi non è l’imposizione di regole e costrizioni del tutto arbitrarie (non suffragate dalla scienza, la quale oggi è considerata un dogma, finendo così per generare un tragico ossimoro); spaventa vedere come certe persone apprezzino queste regole. Insomma, l’uomo inizia a trovarsi a suo agio in questa rete di permessi, bolli, assicurazioni, certificazioni. Negli ultimi tempi l’illogicità burocratica si è abbattuta in modo più violento sulla salute.
La burocrazia va sempre più sostituendosi alla natura, generando un nuovo tipo di natura, poiché una volta raggiunto un grado di complessità tale da autoalimentarsi essa potrà dirsi indipendente dall’uomo. Diviene un mondo a parte, lontano dall’infanzia, vero Tempo dell’Uomo, e il passaggio dalla vita del bambino alla vita adulta è sancito dall’ingresso nel mondo della burocrazia.
«In passato, nella mia fantasia giovanile, amavo immaginarmi ora Pericle, ora Mario, ora un cristiano ai tempi di Nerone, ora cavaliere ad un torneo» scrive Dostoevskij. «Mi sono talmente perduto nelle fantasticherie da lasciar passare senza accorgermene tutta la mia giovinezza, e quando il destino mi improvvisamente sospinto nella burocrazia, io… io… be’ svolgevo il mio dovere in modo esemplare ma, appena terminate le ore d’ufficio, correvo nella mia soffitta, indossavo la mia vecchia vestaglia, aprivo Schiller e sognavo, e m’inebriavo, e soffrivo le pene più dolci di tutte le delizie del mondo» (Tratto da Tra carte e scartoffie di Luciano Vandelli).
Allora rifugiamoci, barrichiamoci dentro le nostre soffitte di fantasia, e contrastiamo questa macchia che si spande in ogni anfratto della società. Ma quanto c’è più da temere è che la burocrazia non permei anche lo spirito dell’uomo, perché il vero orrore sta nel vedere uomini abituati a condurre l’esistenza in un simile labirinto di carte, perché non ha nulla di umano. E a nulla vale puntare il dito su un politico o un virologo; Kafka ci insegna che risalendo la lunga e terribile catena della burocrazia non troveremo un grande burocrate maligno e perverso, ma soltanto altre leggi a cui, allo stato attuale, è impossibile sottrarsi, non solo per quel noto masochismo kafkiano, ma perché quelle leggi ormai ci possiedono nello spirito, e senza di esse non esistiamo.
Quella della burocrazia è una religione vuota, fatta di segni, gesti, prassi, ma senza alcun risultato, senza uno scopo. Ancora una volta, al vertice non troveremo Dio, ma soltanto altra burocrazia.
La partita si gioca tutta dentro noi individui, rendersi inassimilabili, continuare a credere in una vita le cui fondamenta poggino su di un terreno naturale, non artificiale. Perché la burocrazia è ormai una creatura sfuggita al controllo del suo inventore, qualcosa di assolutamente non-umano; come scrive Gianluca Cuozzo nel suo Castelli di carta quando cita Kafka, «la burocrazia del potere corrisponde alla “menzogna elevata a regola universale”; sicché “tutto è inganno”».
Valerio Ragazzini