23 Dicembre 2017

Regalare un libro di Fabio Volo è cosa buona&giusta o è l’assassinio della letteratura? I lettori veri infrangono il settimo comandamento

A Natale, ogni libro vale. Ovvero, Fabio Volo è comunque meglio di niente

Lo sappiamo tutti come andranno le vendite dei libri a Natale. È così terribilmente ineluttabile che pare un destino già segnato. E, del resto, lo è. Il mercato va, in buona misura, dove viene orientato. Trionfa ciò che è stato deciso debba trionfare. Niente di strano. Nella lotta per l’affermazione di sé, non si gioca mai ad armi pari. Volo prevarrà a mani basse, almeno tra i testi dei narratori italiani. Metterà tutti noi autori semisconosciuti k.o., senza neanche averci sferrato un bel gancio. Il punto è: ciò è necessariamente un male? La verità è che provo e ho provato a farmi stare sulle palle Fabio Volo, ma non ci sono riuscito. Forse dovrei. Del resto, gli scrittori sono un branco di invidiosi. Da ragazzino infatuato per la letteratura pensavo che i poeti e i narratori fossero superiori alle miserie dell’uomo comune. Dopo averli visti da vicino posso dire, con cognizione di causa, che sono i più bassi esempi della specie umana. Tanto che, oggi, frequento preferibilmente persone che non hanno mai scritto un libro – almeno non mi rompono le palle con la loro nuova o imminente pubblicazione da recensire. Meglio ancora se non sono persone laureate: si tratta con sicurezza di individui, umanamente parlando, più spassionati e meno somiglianti a dei patetici venditori di Bibbie porta a porta. Ma torniamo a lui, a Fabio Volo. La sua presenza in libreria mi arreca un qualche danno? No, non ne sono convinto. Anzi, sono persuaso che, se Volo non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. So bene che non arriverò mai ad avere un pubblico vasto come il suo. È dura da ammettere, ma è un fatto innegabile: non so intercettare il sentimento delle masse. Altrimenti, non avrei scritto un libro, avrei fatto il politico.

fais
Lui è Matteo Fais…

È per questo che la sua presenza diffusa – in un qualsiasi negozio, o centro commerciale – non mi tange. Se, per ipotesi, liberassimo gli scaffali da Quando tutto inizia e li riempissimo con il mio testo, o con uno di Krauspenhaar, sono certo che ciò non sortirebbe alcun effetto. O meglio, forse venderei il quintuplo, ma comunque non raggiungerei mai le cifre dell’ex Iena. Al contrario, vorrei far notare, io e Krauspenhaar potremmo solo essere, paradossalmente, avvantaggiati da uno come lui, mentre non vale il contrario. Mi spiego meglio. È ben possibile che un ragazzino, destinatario di uno dei tanti titoli di Volo come regalo natalizio, arrivi poi per percorsi insondabili a sviluppare un qualche gusto per la letteratura. In sostanza, non è da escludersi che, provenendo da una famiglia aliena alle buone letture, costui passi dal leggere un testo da supermercato a un prodotto di nicchia. È, invece, praticamente impossibile che io porti un qualche lettore all’autore di È tutta vita. Chi arriva a me, a Krauspenhaar, a Giuseppe Casa, ma pure a Balzac, o Houellebecq, è difficile che torni indietro o, per così dire, abbia gusti paralleli ma antitetici. Peraltro, io ho deciso autonomamente per la mia stessa condanna: voglio fare letteratura, non voglio scrivere libri per lasciare il mondo come l’ho trovato. Sogno l’impossibile. Sono pazzo, un furioso, un malato di mente. Volo, sotto tutti i punti di vista, fa bene a fare ciò che fa. Se ci riuscissi, lo farei anch’io. Il problema è che, da quando sono alto così – diciamo cinquanta centimetri –, mi riesce difficile conformarmi. A lui riesce facile e buon pro gli faccia! È un bel ragazzo – uomo? –, ci sa fare, sa stare al mondo, è simpatico. Ha la faccia di quelli che, comunque, non moriranno mai fucilati. Io sono diverso, direi l’esatto contrario e non me ne rammarico – esser fucilato, anzi, per me, sarebbe un onore come per Brasillach. Ognuno ha il suo ruolo e alcuni non sono versatili. Ci sarebbe poi un’altra questione da discutere: ma siamo sicuri che tutti quelli che sorridono di superiorità, quando si nomina Volo, siano poi realmente superiori? Ogni pirla con cui ho parlato era convinto di aver scritto la Recherche e, posso garantire che, nove volte su dieci, si trattava solo di un povero illuso il quale, anche a volerlo trattare bene, non potrà mai andare oltre la parallela di casa sua. Davvero, nel grosso dei casi, la strenua difesa della letteratura e l’indignazione per il successo dei testi più commerciali nasconde solo l’inconfessabile invidia di chi non finirà mai nel carrello della spesa, accanto al Dixan.

Matteo Fais

 

Fabio Volo? Se leggi cazzate non diventerai mai un genio…

L’unico pregio che riconosco a Fabio Volo è che si crede Fabio Volo, è quello che è. Non pensa di avere il carisma di Carmelo Bene, il fascino di Marcello Mastroianni, la penna di Rocco Siffredi né il pennino di Carlo Emilio Gadda. Questo, però, non è sufficiente. Fabio Volo è ‘Fabio Volo’, un marchio, come Armani. Chi lo compra desidera essere come lui, Fabio Volo, un ragazzo piacione, simpatico, che ‘ci sa fare’, che si farà. Fabio Volo è l’emblema della modestia italica, è come un virus, dirompente e opalescente: col ca**o che dopo aver letto Volo arrivi, per direttissima, a Joyce a Paul Celan, figuriamoci se leggi Fais. Quando mai si è visto uno con i timpani trafitti dai vocalizzi di Tiziano Ferro sterzare e scoprirsi amante di Gustav Mahler, quando mai ascoltare Fedez ha prodotto migliaia di fan di Richard Strauss, ma fatemi il piacere, in che mondo vivete?, i Puffi non crescono mica se semini carote, se semini schifezze non cresce l’albero della vita, se leggi cazzate non diventerai mai un genio. Provo a sterzare di un grado il tono avaro della discussione. Intanto. A Natale i libri non vanno regalati. Intanto, perché nelle librerie del rione si trovano solo libri incomprabili, invendibili, di merda. Poi, soprattutto, perché i libri non si devono regalare. I libri bisogna rubarli. Proprio così. Arrestatemi per istigazione a infrangere il settimo comandamento. Il primo libro l’ho comprato a 14 anni rubando i soldi dalla nonna. Erano le poesie di Dylan Thomas pubblicate da Einaudi. In casa, nessuno leggeva poesia.

Tanzio da Varallo
…questo è Davide Brullo ritratto da Tanzio da Varallo

Ma le poesie di Dylan Thomas – di cui non capivo nulla, era pura sinfonia verbale, stordimento grammaticale – mi parevano la più alta forma di ribellione al mondo di merda – la periferia torinese – dove ero atterrato a vivere. Mi piaceva l’idea di una vita votata agli estremi, tra insussistenza, grandi bevuti e deliri lirici. Il resto, sono una sinfonia libraria di libri rubati. Da biblioteche o librerie. Se non lo rubi, vuol dire che quel libro non lo ami davvero. Devi desiderare il libro, devi desiderarlo a tal punto da credere che soltanto quel libro possa sussurrarti il segreto ultimo della vita, della tua vita. Giunto a quel punto d’amore insostenibile, architetti il modo di rubare il libro. Per liberarlo dalla prigionia della biblioteca e dalle ‘leggi di mercato’ che avviliscono la potenza sapienziale del libro, perché diventi solo tuo, il tuo personale amante. Se non c’è questo rapporto violento e sinuoso, perverso, tra il lettore e il libro – come se quel libro in particolare fosse stato scritto solo perché lo legga tu, e non le altre migliaia di bastardi compratori dal portafogli ampio come una portaerei – meglio non leggere. Per paradosso, non esistono grandi libri che non siano una confessione privata tra scrittore e lettore, tra lui e te, entrambi sullo stesso piano, sullo stesso rischio. Se non si ha il coraggio di rubare, meglio non leggere. Leggere, d’altronde, non fa bene al cuore: attraversare Dostoevskij o Rilke o la Woolf aumenta esponenzialmente la nostra capacità percettiva, la nostra sensibilità, la nostra acutezza spirituale, dunque vivremo sempre peggio in un mondo di scaltri rincretiniti. Leggere Volo, invece, fa solo male all’intestino, meglio vomitarlo là dove sta bene, nelle librerie dove non metterò mai piedi. Non è degno neppure del rogo.

Davide Brullo

 

 

 

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