21 Aprile 2019

“Fa pensare a quegli insetti complicati e rilucenti”: il 21 aprile muore Racine e nasce Henry de Montherlant. Un passaggio di testimone lungo due secoli

Come un revenant di Duelle, di Noîrot, o di un racconto di Balzac, Jean Racine è il fantasma che da oltre tre secoli attraversa la grande arte francese dalla pittura allo stesso autore del Papà Goriot, a Ibsen, a Henry James, a Marcel Proust, fino alla delicata tragicità dei romanzi di Drieu La Rochelle – il quale non a caso scelse un distico del poeta di Andromaca e di Berenice come esergo a uno dei suoi capolavori, Beloukia –, ai film di Jacques Rivette – il genio più misconosciuto irreprensibile della Nouvelle Vague che lo mise in scena in Paris nous appartient –, e a Samuel Beckett.

Anche André Malraux… “I francesi amano Racine perché hanno stabilito una volta per tutte che Racine incarna la Francia. Ora, la Francia può incarnarsi in qualcosa di mediocre e pertanto sono costretti a dire che Racine è meraviglioso”. Come l’Italia con Dante…

Se non che a Parigi può capitare di vedere una compagnia di giovani attori mettere in scena Racine in un piccolo anfiteatro di cemento in un parco pubblico, mentre a Roma, beh, a Roma, qualcuno ha mai visto dei pianoforti a disposizione del “pubblico” nelle stazioni romane, come se ne vedono a Parigi e nelle gares di provincia, ovviamente bene accordati, non vandalizzati e pure suonati? D’altronde il mondo di Racine è tragico e meraviglioso, elegante e giansenista – e pur con tutte le debolezze, passioni, tribolazioni, la Francia non è “misera” (Inf. VI 85). Alla storia non si sfugge…

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E proprio Dante e Racine erano gli unici poeti per cui nutrisse un po’ d’interesse il più grande autore teatrale “classico” del XX secolo, Henry de Montherlant – il quale, in un articolo del 1969, ripreso da Gallimard negli Essais critiques, editi nel 1995, ribadiva la propria ammirazione motivata in quattro ragioni: la meccanica delle sue opere; i loro intrighi essenziali; la psicologia dei personaggi; il tono di certi suoi versi (“Non assurdo scrivere che ci sono trenta suoi versi che sono qualcosa di unico in tutta la poesia francese, e, ai miei occhi, ciò che essa contiene di più incantatore”).

E ancora, il 22 dicembre 1959, in occasione di una rappresentazione messa in scena alla Comédie-Française, per celebrare il trecentoventesimo anniversario della nascita del grande drammaturgo di La Ferté-Milon, in un discorso anch’esso ripreso negli Essais critiques, l’autore del Malatesta, e di non pochi capolavori teatrali neoclassici, ne descrive lo stile con una metafora naturalistica, entomologica, approfittandone per denunciare le derive della cultura verso la metà del XX secolo, allorché l’arte della lingua pare diventare sempre più incomprensibile per l’uomo comune francese:

“Questa ‘tenuta’ di Racine – questa poesia così interiore, e così rigidamente corsettata, che fa pensare a quegli insetti complicati e rilucenti, protetti da un’armatura ma che quando li si schiude lasciano vedere il loro corpo tenero, da cui fuoriesce un sangue cremisi – insomma quest’arte che porta sulla scena dei soggetti il cui quadro storico o mitico non corrisponde alla cultura francese odierna, dei sentimenti poco familiari a un uomo medio del 1960, in una lingua che ogni giorno si allontana sempre più dalla lingua parlata, scritta e compresa, quest’arte è estremamente minacciata, tanto nel nostro paese quanto nel resto del mondo. Racine è rimasto sempre uno straniero per le nazioni non francesi. Non ci vorrebbe molto perché diventasse straniero anche per i francesi”.

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Un 21 aprile muore Jean Racine. Un 21 aprile nasce Montherlant. La vera data era il 20, ma l’autore toreador scelse per vezzo il lato taurino della cuspide astrologica – ma davvero poco importa il segno zodiacale – ciò che conta è la raccolta di quel testimone…

Un testimone di grandezza, perché, morto a quasi sessant’anni nel 1699, Racine è stato il più grande autore teatrale francese, nominato storiografo ufficiale di corte nello stesso anno in cui scrisse la sua opera più celebre, Fedra, accademico di Francia nonché poeta d’occasione e di versioni degli inni sacri cristiani, tradotti su impulso del giansenismo e di cui testimonia un volume edito da Olschki di Firenze nel 2011, Poesie sacre: Cantici spirituali. Inni tradotti dal breviario romano, inni dei quali due sono qui ritradotti assieme a una “Variazione” ispirata alle note di Bach e Chopin.

Marco Settimini

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Dalla lettera in forma di poesia al signor Vitard (Uzès, Gard, 1662):
“Variazione” in alessandrini tronchi su un notturno di Jean Racine

Della notte la nave
spiega infine le vele

Mentre la luna sale
col suo cangiante volto

E con le stelle chiare
in circolo si muove

Nell’ascesa regale
verso il trono d’argento.

Il cielo è sempre chiaro
finché si volge intorno:

Più belle notti abbiamo
di ogni vostro giorno.

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Dagli Inni dal breviario romano (1655-1656)

Il lunedì – Ai vespri

Vedesti i cieli formarsi senza materia,
Oh grande Dio, grazie alla tua voce soltanto,
Separasti le acque e come barriera
Ponesti quindi loro il vasto firmamento.

Ha le sue piane liquide la celeste folla,
E, in mezzo ai campi, dei ruscelli c’è il corso,
Che, nella calura, porta alla terra brulla
Delle loro acque il necessario soccorso.

Così le acque del tuo amore fecondo,
Oh Signore, riparino i nostri languori;
Che i nostri sensi verso i fascini del mondo
Non si trascinino più via i nostri cuori.

Della tua fede le luci fa’ scintillare
Propizie ai nostri occhi così illuminati:
Che strappi il velo a ogni cosa artificiale
Degli inferni che sono i nostri congiurati.

Oh Padre eterno, Figlio saggezza increata,
Spirito santo, oh Dio di pace, comanda,
Tu che fai cambiare l’incostante durata
Dei tempi, mentre in te non c’è nulla che cambia.

*

Il mercoledì – Ai mattinali

Grande, da cui dal nulla ogni cosa è formata,
Volgi i tuoi occhi sui nostri molti bisogni,
Rompi il sonno fatale in cui, tutta incantata,
L’anima riposa sul bordo degli inferni.

Degna, Divino che la nostra voce implora,
Di prendere a pietà noi fragili mortali,
Guarda come dal letto, prima dell’aurora,
Il pentimento ci trascina ai tuoi altari.

È là che la nostra truppa, afflitta e inquieta,
Sollevando al cielo il cuore e le mani oranti,
Imita san Paolo e segue ciò che un profeta
Ci ha prescritto un tempo nei suoi cantici santi.

A tuoi occhi le mani e gli allarmi mostriamo,
Confessiamo le nostre segrete mancanze;
Ti offriamo voti e lacrime vi mescoliamo.
Che la tua bontà revochi le tue sentenze!

Esaudisci oh Dio l’ardente preghiera nostra,
Verbo il figlio tuo, Spirito trame divine,
Padre che illumini con la tua luce propria,
Regna nel cielo senza principio né fine.

*In copertina: Henry de Montherlant nel 1957

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