Un due tre, si parte. Armatevi di carta&penna, a sfidare i marosi del vostro cuore, le Amazzonie che si spalancano appena oltre il confine dell’intestino tenue. “Pangea” diventa palestra di scritture. Abbiamo chiesto ad alcuni studenti della Scuola Holden di Torino di costruire una redazione parallela. Un laboratorio di follie. Simile a una mongolfiera. All’opificio di un alchimista. Che si chiama Il Cannibale. Perché? Perché la scrittura è sempre ‘cannibale’, cioè, divora la vita. Saranno loro, questi baldi scrittori intrisi di futuro, a leggere e a giudicare i vostri racconti. Che potete inviare qui: info@pangea.news.
L’esatto contrario di chi pensa che sia possibile insegnare qualcosa
“Il Cannibale” rappresenta l’esatto contrario della volontà di qualsiasi becchino legato alla mercificazione editoriale. Qui sono ammessi racconti, critiche e recensioni (anche extra-letterarie), e soprattutto lampi d’identità: perché scrivere? È possibile inviare racconti o proporre spunti di qualsiasi tipo: saranno letti e analizzati dalla nostra redazione di giudiziosi sfaticati e successivamente – se considerati meritevoli – pubblicati suPangea. Eventualmente e a vostra richiesta potrete firmare con uno pseudonimo: grazie alla scrittura si può essere trasparenti, mettere al centro la propria idea – che è parallela alla persona, ma più importante – e lasciare che il contenuto rimanga in primo piano, libero e sanguinario come il selfie di un cannibale nella homepage di Facebook. “Il Cannibale”, dopotutto, è l’esatto contrario di chi pensa che sia possibile insegnare qualcosa. (Nicolò Locatelli)
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La crisi del settore metalmeccanico
Sara mi diede il mio primo bacio un 4 Luglio alle 12:01, prima di partire. Si trasferiva con il padre a Latina, ma ero contento così. Per quel che mi ricordi, l’amavo da sempre. O almeno dalla quarta elementare. Da quando non aveva più le tette a punta mi permetteva anche di toccarle. Stavano spiegando i vulcani la prima volta che mi disse di farlo.
Vai ora – mi diceva.
Io poggiavo la mano per qualche secondo e le guardavo il viso, lei verso la lavagna per controllare se la professoressa si girava. Maria Rosa era l’unica della classe con le tette più grandi ma era brutta e grassa e quindi non valeva, nessuno la pensava. Un giorno, finita l’ora di Educazione Fisica, mentre tutt’intorno aprivano le finestre e bevevano dalle loro bottigliette, Sara si girò verso di me.
Nel bagno dei maschi c’è pieno di piselli disegnati, ci sono entrata! Ma voi la sapreste disegnare una patata?
Davide, che era seduto dietro di noi, mi guardò. Io avevo un solo video porno sul telefono e me l’aveva mandato lui che con il nuovotelefonocellulareduegigabyte chissà quanti ne nascondeva. Sara ci diede un minuto e poi giudicò.
– Non mi è venuto un granché – pensai.
Stavo riguardando il mio foglietto. Era uscito un triangolo isoscele, due lati uguali e uno disuguale, capovolto. Davide aveva disegnato una linea. Vinse lui. Poi si girò verso di me e fece
– E tu lo sai quanti buchi ha una patata?
Tre! – dissi io senza pensarci.
Bravo.
Davide fu il suo primo ragazzo. Lei lo veniva a guardare quando giocavamo a calcetto, in pizzeria si tenevano per mano, e lui mangiava i cornicioni che lei lasciava. A scuola, quando io ero assente, lui si sedeva al mio posto. Sara però non mi disse mai di smetterla. Quando glielo chiedevo poggiava la penna e faceva
Se non dà fastidio a lui, a me non dà fastidio! – Poi si girava, – ti dà fastidio?
– No, – rispondeva lui, – ma posso toccarle anche io? – Certo, ma dovete fare a turno.
Ci dividemmo le ore: lui aveva la precedenza in tutte le ore di italiano, storia e geografia. Io feci in modo di ottenere scienze, matematica e geometria che erano di meno, lo sapevo, ma erano quelle in cui la professoressa stava più tempo girata. Avevo appena scoperto la masturbazione, me ne parlò un amico alla prima pizza di classe. Sul suo significato però ancora nessuno azzardava nulla. Quello però era un piacere vergine, che non aveva nulla a che fare con il seno di mia madre o le mutande appiccicate. Iniziava e si confinava nel suo sollievo tattile, e nella scoperta che su un corpo potessero esserci protuberanze simili, palloncini di riso anti stress, gratis e naturali, e che io potessi toccarli.
Si fidanzò sette volte durante il primo anno di scuola, io fui l’ottavo. D’estate. E non l’avevo ancora mai baciata. Ci vedevamo solo al mare, la sera l’Italia andava avanti nei mondiali. Davamo un passaggio a lei e sua madre che erano sole e ce lo chiedevano visto che il papà di Sara ultimamente lavorava il doppio. A volte in acqua mi parlava di lui, dell’industria di motociclette, della crisi, aveva sentito dire che probabilmente lo avrebbero trasferito, e con lui anche lei. Continuavo a toccarle i seni sott’acqua, e anche fuori se non ci guardava nessuno. Pensavo al costume e a quanto sarebbe stato facile lasciar scivolare il laccetto lungo la spalla e sfilarglielo. Ma sembrava tutto più difficile al mare, tutto più grande e complicato. Anche baciarla.
Come baciano i ragazzi di terza?
Direi bene.
Tipo?
Be’, alcuni meglio di altri.
E Davide?
Davide meglio.
Io non so se lo so fare.
Provaci.
In acqua anche il mio costume s’ingrossava e la mia erezione gonfiandosi sembrava più dignitosa. Pensavo che fosse normale, che ce ne fossero di due tipi: quella artificiale e quella naturale. Quando sei davanti ad una bella ragazza e quando invece te la stai solamente immaginando seduto sul water.
C’è tua mamma che ci guarda, facciamo un’altra volta.
Come vuoi – diceva, e poi mi raccontava della legge di rifrazione. La spiegava la professoressa di scienze quando era girata. Sembravano più grandi le cose sott’acqua.
Anche le erezioni? – Chiedevo io.
Anche le erezioni.
Anche la paura?
Sara mi diede il mio primo bacio un 4 Luglio alle 12:01, prima di partire. L’industria di motociclette aveva chiuso bottega e il papà era stato trasferito, ma ero contento così. Tornai a casa e quel giorno assaggiai il formaggio sulla pasta. Poi mi stesi sul divano senza nemmeno togliermi il sale dalla pelle e dormii tutto il pomeriggio. Mi svegliò mio padre con la bandiera dell’Italia in mano che diceva di sbrigarmi. In televisione c’era Del Piero che esultava, il paese era in festa e suonavano le trombe. La crisi del settore metalmeccanico non importava a nessuno. Nemmeno a me.
Marc De Maco