Pier Paolo Pasolini, perdona loro…
Politica culturale
Davide Grittani
Cara Blu,
pareva di assistere alle linee di uno sguardo caduto da inizio Novecento fino a raggiungere un tempo distante un secolo. Una geometria di rabbia, un pudore di stupore. Inizierò là dove tu termini. Le puttane di stampa senza regime. Ogni cosa oramai si regge da sé; il loro corpo ne è macchinalmente cosciente mentre lo spirito è lasciato al reggicalze delle loro asserzioni. Ed è lì che altri assertivi, ma capovolti, vedono il complotto, lo urlano inseguendo la vanità della lungimiranza, perseguendo la fede nell’uomo. Il complotto prevede, come sai, un lotto di uomini rinneganti lo spirito della lotteria, le contingenze del caso. Tutti, nessuno escluso, dimenticano che un tempo poteva darsi la trama occulta, il conciliabolo illuminato. Sì, sto parlando del mondo delle trame, dell’essenza analogica in cui i racconti avevano premura di intrecciarsi. Uno strato sopra l’altro, macerie di coscienza, di classe e d’impudicizia. In quel mondo si tramava, oggi resta un tremolio all’oscillare di un patos agitato nell’attesa della mossa finale.
Dimenticano Mattei e parlano di democrazia. La colonizzazione del popolo, la decolonizzazione dell’immaginario. Come osano? Semplificare per essere, essere stati per non capire. Il potere nella transazione: denaro formale. Sospensioni, azioni differite, attraversate per essere certificati. Ecco sopraggiungere il prenotato, come tu lo chiami. Questa buffa figura di uomo saltellante e fermo. Uno che usa il dito come monopattino silenzioso tra l’intenzione e l’atto. Pre-notato: prima dell’attenzione, a pochi minuti dalla rilevanza, a pochi metri dagli occhi di una spia silenziosa. Il prenotato ha risolto le possibilità, le ha sciolte in un infinito anticipo in cui a svelarsi resta soltanto l’esecuzione. Un’esecuzione solitaria, depressa, capace di vedersi anticipata, timorosa del sapersi svelata. Il prenotato costituisce la cellula fondamentale della bolla burocratica di certificazioni lasciate al consulente digitale. Ente senza consulto. Gridano all’ordine, alla vendetta contro le disfunzioni, all’umiliazioni delle perdite di tempo. Non osano chiamarlo, ma è chiaro da tempo oramai. Il loro nemico è l’attesa, lo sversamento di un atto nel suo prossimo, quella lieve emorragia di spazio che deve pur determinare l’essenza del tempo. Ebbene il prenotato ce l’ha fatta. La testa che rotola reca il nome di attesa e attizza le telecamere dei manifestanti senza manifesto. Quei cartelli, di cui parla la letizia delle tue parole, da decenni erano diventati cartelloni, grafici pubblicitari. Oggi sono schermi, barriere, scudi individuali a cui si affida la presenza con l’unico sottostante, onnipresente obiettivo di rimuovere l’attesa.
E qui si arriva al paradosso o forse all’ironia. Coloro che hanno eletto a diritto la democratica uccisione dell’attesa, si piegano ad aspettare l’evento decisivo, l’apocalisse dell’umano. Con le spalle coperte e le ginocchia poggiate a terra, si fa strada uno starnuto, poi due, la tosse, gli occhi rossi, il catarro riversato dall’anima. L’influenza infine! Si diffonde, sulla sua strada incontra avvocati e preti, braccio a braccio in una breve passeggiata domenicale. I popoli si ammalano, hanno freddo. La colpa è dei soliti irresponsabili. Dei vecchi imperialisti, del potere che osa ancora incarnarsi nei lineamenti di un uomo. Il potere personificato, quale affronto per i seguaci della democrazia gassosa… L’impersonalità ha da regnare, sempre e ovunque. L’atomica minaccia è la migliore difesa dell’atomica separazione, dell’individualità al di sopra di un qualunque principio di individuazione. L’uomo ancora una volta si è rinviato.
Mi dicevi: conservare, restaurare oppure tendere, sperare? Si parla a migliaia, si scrive a milioni, si digita a miliardi. Silenzio. Eppure pochi devono scrivere, attendere e scrivere, vivere e scrivere. E tu tra questi pochi; questa è l’unica certezza che posso offrirti.
In attesa di personali e più profonde ispirazioni
Ti abbraccio
Paolo Grasso