05 Luglio 2018

Premio Strega: è l’ora del piagnisteo. Neri Pozza si scaglia contro Mondadori, ma nessuno si è mai lamentato perché Usain Bolt vinceva sempre. Il problema, come sempre, è estetico. I libri belli li pubblicano i piccoli editori. Che non sono rappresentati

Non sopporto il piagnisteo, eppure dovrei piagnucolare: questa notte ho l’onorevole onere di scrivere un ‘pezzo’ sul Premio Strega, per Linkiesta. A proposito di piagnisteo. L’editore Neri Pozza invia via newsletter, oggi, un articolo del direttore editoriale Giuseppe Russo, pubblicato su L’Arena di Verona, in cui costui ci spiega “Perché Sandra Petrignani dovrebbe vincere il Premio Strega”. Ora. Sandra Petrignani, che ha scritto il bel “Ritratto di Natalia Ginzburg” dal titolo La corsara, non merita il Premio Strega come il restante poker di scrittori – strologo e auspico: il premio andrà a Helena Janeczeck, ‘per la carriera’ – perché i cinque della cinquina, semplicemente, non rappresentano il meglio della narrativa italiana della ‘stagione’ in corso. Detto questo, questi sono.

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Le motivazioni addotte da Russo per giustificare “Perché Sandra Petrignani dovrebbe vincere il Premio Strega”, però, fanno sorridere, rientrano nella categoria del piagnisteo. “L’eventuale vittoria di Lia Levi, pubblicata da E/O, o di Sandra Petrignani, pubblicata da Neri Pozza, costituirebbe il vero evento capace di segnare una svolta radicale”, scrive Russo, perché il Gruppo Mondadori è grande, grosso e cattivo. “Le concentrazioni avvenute da anni nel nostro mondo editoriale – un pallido e, forse, inefficace tentativo di opporsi alla calata di Amazon e dei veri grandi gruppi editoriali internazionali nel mercato del libro italiano – hanno fatto sì che il gruppo Mondadori abbia vinto le ultime 4 edizioni del Premio e ben 9 delle ultime 11 edizioni (l’en-plein gli è sfuggito unicamente perché non era ancora fatta l’acquisizione di Rizzoli)”. Il problema, pare, riguarda solo il Gruppo Mondadori, non il Gruppo Mauri Spagnol per una cui sigla (Guanda) pubblica la Janeczeck, l’unica, a onor del niente, a dover vincere lo Strega.

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Dove sta il problema? I problemi sono due. Più uno. Intanto. Russo ne fa una questione di politica editoriale, mentre un premio letterario come lo Strega dovrebbe solo porsi un problema di ordine estetico: qual è il libro più bello uscito tra il primo aprile del 2017 e il 31 marzo del 2018? Se il premio letterario è una competizione, beh, di solito vince il più competente. Usain Bolt, per un bel tot, ha sempre tagliato per primo il traguardo dei cento metri – e nessuno si è preoccupato che ogni tanto, poveretto, avrebbe dovuto vincere anche il secondo. Perciò, per quel che mi riguarda, se i marchi del Gruppo Mondadori pubblicassero davvero i più bei libri d’Italia – e chi scrive pensa che non sia così – dovrebbero vincere tutte le edizioni del Premio Strega, del Campiello, del Viareggio e via gareggiando. Se la questione, invece, è di politica editoriale, cioè se un direttore editoriale ‘nasa’ la solita mafietta degli amici del quartierino tra le aule di cristallo dello Strega, beh, ritiri i suoi libri dalla corsa, si rifiuti di partecipare per ‘resistenza morale’. Altrimenti, è sempre il solito gioco di chi sbraita più forte, ognuno come può.

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Secondo problema. Neri Pozza è una nobile e grande casa editrice. Personalmente (faccio due nomi: Nick Hunt e Hernan Diaz, autori di libri notevoli) penso che pubblichi alcuni dei libri più intelligenti e interessanti del quartiere Italia (faccio il terzo nome: Stenio Solinas che ha scritto la biografia di Wyndham Lewis, domani ne leggerete delle belle sulla stampa patria). Quando però Russo impalca il piagnisteo, allineando “le sigle editoriali più rilevanti che contribuiscono oggi in maniera decisiva alla diffusione nel nostro paese di libri e autori di talento che «non piacciono affatto meno» di quelli dei grandi gruppi: Adelphi, E/O, La Nave di Teseo, Neri Pozza, Sellerio”, m’incazzo. Russo fa la lista delle nobildonne dell’editoria. Il problema vero è che le vere piccole sigle editoriali non hanno alcuna rappresentanza nelle aule belle dell’editoria italiana. Senza tema di smentita, benché sia dotato di un ego da formica rispetto a quello di Russo, posso dire che con l’editore Guaraldi, non proprio un avventato, certamente un avventuriero, ho pubblicato il più bel romanzo italiano degli ultimi anni (Tutte le voci di questo aldilà, firma Andrea Temporelli), uno dei più bravi e corsari scrittori italiani degli ultimi decenni (Gian Ruggero Manzoni) e l’esordio del Premio Strega del 2028 (Nicolò Locatelli: ha tempra, sagacia e scaltrezza). Non s’è mossa foglia, gli stoccafissi dell’editoria ‘che conta’ son rimasti fermi lì, il mausoleo dei morti viventi. Insomma, il problema è la rappresentanza delle piccole, grandi sigle editoriali. Ne dico alcune a casaccio. Aragno, Donzelli, Mimesis, Quodlibet, Raffaelli, Melville, Theoria, Giuliano Ladolfi Editore, Passigli, Manni, Italic Pequod, Luca Sossella, Fazi, Fandango, Nutrimenti, Mattioli 1885… tutti editori che, diversamente, fanno grande la nostra letteratura e senza i quali saremmo incredibilmente orfani, muti, stronzi.

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Ultimo problema, poi vi lascio a stappare lo Strega e ubriacarvi di boriosi piagnistei. Lo ripeto fino alla morte. Un premio non deve premiare il noto, deve aprire prospettive al futuro della letteratura italiana. Per uno scrittore è più interessante vincere una ‘borsa’ per lavorare uno o due anni, intensamente, interamente, al nuovo romanzo che una bottiglia di amaro e qualche applauso a onorare il vecchio libro, il morto. (d.b.)

 

 

 

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