
“Ho un’unica ambizione, quella di inventare storie stupende”. Dialogo intorno a Karen Blixen
Dialoghi
Paola Tonussi
Nonostante Ezra Pound sia morto da quel dì – il primo novembre sono 46 anni – e il suo esordio poetico risalga a più di un secolo fa, era il 1908 – si pagò la ‘placca’, A Lume Spento, a Venezia – basta pronunciare il suo nome per infiammare la Storia. Nessun artista nel Novecento – il secolo che ha rivoltato l’arte fino al suo esaurimento – è stato così decisivo in campo artistico – ha cambiato il modo di fare poesia in Occidente – e così pronto a scendere, pagando tutto, fino all’ultimo, nell’agone del secolo. I Cantos, questa specie di monolite lirico, un totem in pietra lavica, lavacro di ogni sapienza raggiunta, sono il poema ineludibile, l’ultimo tentativo di una poesia ‘totale’, dantesca. Ora, editorialmente, assistiamo a una breve ‘rinascita’ di Pound: Alessandro Rivali ha appena pubblicato con Mondadori Ho cercato di scrivere Paradiso, che è l’esito di un decennio di chiacchierate con la figlia di Pound, Mary de Rachewiltz, mentre Aragno ha in cantiere una raccolta di interviste di Pound; d’altro canto, l’anno scorso, Mondadori ha rimandato in libreria i Cantos scelti, l’editore ‘da collezione’ De Piante ha pubblicato l’inedito di Piero Chiara, Viaggio con Ezra Pound, mentre Guanda ha ristampato i XXX Cantos tradotti da Massimo Bacigalupo, un lavoro essenziale se non altro perché è l’unica traduzione del poema poundiano risolta da uno specialista (I Cantos nei ‘Meridiani’ Mondadori sono per mano della figlia di Pound, Mary). Massimo Bacigalupo, anglista di genio (per i ‘Meridiani’ Mondadori ha curato, tra l’altro, l’opera di Wallace Stevens; curiosità, la nota Wikipedia di Bacigalupo in inglese è assai più densa di quella in italiano…), nato come regista di cinema ‘d’avanguardia’, ha curato i libri più importanti in Italia di Pound, anche per ragioni ‘biografiche’ (a Rapallo, ‘Ez’ giocava a tennis con il papà di Bacigalupo): i Canti postumi (Mondadori, 2002) e il testo esegetico L’ultimo Pound (Edizioni di Storia e Letteratura, 1981). Insomma, è inevitabile invitarlo al dialogo. (d.b.)
110 anni fa, A Lume Spento, a Venezia, la città dove Ezra Pound è sepolto. Come a dire, gli estremi si toccano. Che cosa c’è di ‘poundiano’, già, in quegli esiti d’esordio?
A Lume Spento è fin dal titolo dantesco già un coacervo poundiano, un libretto di versi indifesi che Pound pubblicò a sue spese e che piacque a Yeats per i suoi ritmi insoliti, le mitologie, l’evocazione di menestrelli medievali (Cino, Peire Vidal, Bertran de Born) simili ai suoi rapsodi irlandesi. C’era musica, sensualità, trepidazione… Già l’anno successivo, 1909, molte di quelle poesie tornano in Personae, altro titolo fantasmagorico (mutuato da Browning) che quasi vent’anni dopo sarà il titolo della raccolta d’autore delle liriche poundiane. Raccolta del resto purtroppo mai tradotta integralmente. Il Pound innamorato del passato e il Pound avanguardista al suo meglio, con cose meno riuscite e frivolezze e prosaismi che pure gli valsero il plauso dei nostri lettori più avvertiti, da Montale a Sanguineti. “La poesia deve nascere dalla prosa, questa la sua grande scoperta…”.
Uno dei cuori pulsanti dei Cantos è l’icona del Tempio Malatestiano, se non altro perché lì l’epopea pagana si salda al primo Rinascimento; perché il potere del condottiero si connette con l’impresa artistica; perché c’è il sarcofago di Pletone, maestro del neoplatonismo rinascimentale; perché una analogia c’è tra il romagnolo Malatesta e il romagnolissimo Mussolini. Pound, per altro, torna a Rimini, dopo la gita del 1922-23, insieme a Olga Rudge, nel medesimo Tempio, ad assistere a un concerto, nel cartellone della Sagra Malatestiana. Che cosa c’è di così attrattivo in quel Tempio per Pound? D’altronde, il poeta unisce l’impeto poetico-cosmico di Whitman alla filosofia di Confucio, la parola artistica al fatto politico… Da dove nasce questa facoltà sincretica?
Qui cominciano le infinite storie di Pound, la sua capacità di scoprire e appassionarsi che spesso si comunica al lettore. Sigismondo è un po’ dannunziano, l’esteta armato, e Pound pensava di mettere insieme nei Canti malatestiani (VIII-XI) poesia e filologia, recandosi negli archivi di mezza Italia, trascrivendo e citando. Gli piaceva il sapore del reperto archeologico. Mi sono accanito a seguirne le tracce traducendo per Guanda i XXX Cantos, che appunto comprendono le imprese di Malatesta. Ma che argomento strampalato! Riflettersi in un bandito-condottiero-mecenate-poeta del Quattrocento… Il lettore deve stare al gioco, poiché Pound vede i momenti epici ma anche quelli umoristici ed erotici. Suona la grancassa, poi c’è la vocina stridula del ragazzino innamorato. Le tante voci, i cambi di registro, le tessere del mosaico. Un’esperienza unica per chi ci si immergerà. Fra l’altro nella mia “traduzione” non ritraduco i testi rinascimentali ma li cito dall’originale. C’è da smarrirsi e divertirsi: “Ala capella de li martori non avemo comenzato ancora a metere in opera prede vive per do casione”… E un reperto di cui mi vanto per la chiusa del Canto X: “Loro sonno più giente assai che noi semo, / ma noi semo più homini” (alla vigilia di una battaglia).
In L’ultimo Pound lei riconosce nei Pisani una ‘svolta’ della lirica dei Cantos: la vita e l’opera del poeta, in qualche modo, finalmente, coincidono. Ma l’utopia di Pound, della poesia come maestra di vita politica, è realizzabile, non è un mirabile, tragico fallimento?
Ma certo, l’utopia è caratterizzata dal fallimento. Pound è uno scrittore epidermico, parla di quel che ha sotto gli occhi e gli passa per la testa. Ha la fortuna di imbroccare delle magnifiche trovate, memorabili. Tutto il resto, come dice lui, è zavorra, scoria. Politica, economia, blablah…
Chi fu sinceramente vicino a Pound durante gli anni dell’internamento al St. Elizabeths tra i poeti e gli scrittori del suo tempo?
Quasi in prima fila l’allora giovane Robert Lowell, con problemi psichiatrici suoi. Era assai autorevole e fece avere all’amica indigente Elizabeth Bishop il posto di Consulente per la Poesia alla Library of Congress (che poi si sarebbe chiamato di “poeta laureato”). La Bishop, signora assai per bene, per sdebitarsi visitò spesso Pound. Ne nacque la più bella poesia o critica su di lui scritta, “Visite a St. Elizabeths”. “Questa è la casa dei matti. / Questo è l’uomo che giace nella casa dei matti…”. È uscito di recente un bel libro su quel periodo di deliri e produttività: The Bughouse (cioè il manicomio) di Daniel Swift.
Ne L’ultimo Pound scrive che “il suo progetto irrealizzato d’un paradiso terreste ci è più caro oggi degli esiti pacifici di coloro che non si perdono”. Su questo punto le chiedo: su quale verso Pound intendeva terminare i Cantos?
L’ultimo Canto è il CXVI, che scrisse a Rapallo verso settembre 1959: “Un po’ di luce, come un fuoco di stoppia, / per ricondurre allo splendore”. Era stato colpito dal nome di una stradina di Rapallo, il Vico dell’Oro. I versi sono citati su una targa sul lungomare rapallese… I testi pubblicati dopo il CXVI nell’edizione ‘Meridiani’ (la migliore in circolazione) sono delle rimanenze.
Che cosa ci resta da indagare nell’opera di Pound, a suo avviso?
Resta da divertirsi (se ci si riesce) a leggerlo. Ogni pagina apre dei percorsi stravaganti, e spesso è poesia. Che c’è e non c’è, si fa aspettare. I Canti postumi da me editi nello Specchio Mondadori sono pieni di sorprese. Decine di pagine in italiano, abbozzi del 1945, su cui nessun italianista si è per ora pronunciato. In realtà l’interesse per Pound langue. Basti dire che l’edizione inglese dei Posthumous Cantos da me curata non ha avuto nessuna recensione o quasi in America, e dire che si trattava di un centinaio di pagine di inediti e testi dispersi di una delle massime figure della storia letteraria americana. La ristampa del 2017 dei Cantos scelti negli Oscar ha una lunga e impegnata prefazione di Giuseppe Montesano, un bel testo, raro in Italia, che mostra come è possibile avvicinare Pound oggi, affacciarsi sul turbine. Ma credo che i Canti postumi diano un’idea migliore del poema in fieri, non raggelato nei testi canonici.
Tra le varie donne che hanno agito nella vita di Pound, ricordo l’evanescente dolcezza de ‘La Martinelli’, con cui Pound fa una pubblicazione per Scheiwiller. Di lei si sa molto poco: ce ne può parlare?
Sheri non era per nulla evanescente, una figlia dei fiori eroinomane a cui Pound pagò uno studio e un processo. (Vedi il memoriale Fine al tormento di H.D./Hilda Doolittle, edito da Archinto.) Era una fonte di poesia intemperante di cui Pound si invaghì e che a suo modo sfruttò per tornare adolescente nell’ospedale psichiatrico, giocare a scambiarsi bigliettini, magari qualche bacio rubato. Tutto perché poi la penna scrivesse quei versi memorabili: “Castalia è il nome di quella fonte nella piega del colle / Il mare sotto, battigia sottile”. Magari la fonte e la piega saranno ciò che la musa porta nel grembo. “Hai trovato nido più soffice del cunnus? (la vagina – Canto XLVII). Tenera Martinelli! Raccontò a Bukowski che quando Pound le lesse il “suo” (di Sheri) Canto, il XC, gli vennero (a Pound) le lacrime agli occhi e le disse. “Questa è una delle più belle poesie d’amore mai scritta”. Bukowski era alquanto scettico. Ma questo era l’adorabile e detestabile Pound.