L’Uomo Residuo di Valerio Savioli (Il Cerchio, 2023), è un testo necessario, una sorta di ancora che tiene ferma la nave alla deriva in un mondo ai venti della post modernità, dove ogni cosa è residua, anche l’uomo. Grazie dunque all’editore Adolfo Morganti che – con coerenza e costanza – propone dalla sua casa editrice testi di valore.
Valerio Savioli, classe 1984, scrive questo libro a conclusione di quasi quindici anni di studi e ricerche, una sorta di messa a punto, per fermare il tempo e formare un solco, una linea di demarcazione; l’Uomo Residuo da qui non passa, lo vediamo transitare, consumare e crepare, ma qui ancora esistono uomini e liberi pensatori, in possesso di diritti e doveri concessi da Dio. Qui, in queste pagine, non stiamo “uscendo dalle fabbriche per entrare nei laboratori”, qui ancora troviamo parole vive, che non sono residue, che contengono il pieno.
Savioli scrive un libro che ha la caratteristica del saggio, impeccabile nel citare le fonti e riportare al lettore preziose dichiarazioni o trascrizioni di testi da recuperare; se volessimo classificarlo si potrebbe dire che sfiora l’antropologia e la sociologia, ma è ben oltre tutto questo.
“Dalle droghe, quelle sintetiche, alle dipendenze, anche virtuali, lo schema è lo stesso: tramite l’illusorio pretesto di combattere lo spaccio attraverso la legalizzazione e la vendita e la solita pretesa individualista, il fine altro non è che l’annullamento di qualsivoglia spinta teleologica, al fine di contenere l’Uomo Residuo tra la gabbia e la rete”.
Savioli fa un profondissimo excursus sulla storia del politicamente corretto e della così detta “cancel culture” e di tutte quelle strategie politiche, commerciali e di propaganda di ideali che ci hanno portato fino ai giorni nostri. Quando abbiamo sentito dire “politicamente corretto” la prima volta, ce lo ricordiamo? Ormai certe attenzioni al dire sempre qualcosa di corretto, al non esporsi se non entro certe caselline ben delineate e approvate dal governante di turno, sono tutte insite nel nostro quotidiano, non ce ne accorgiamo quasi più; ci spostiamo lentamente verso un P.C. (politicamente corretto) inconscio, un boa strisciante pronto però a fare le sue uova sopra la nostra testa, a larvarci il cervello. Savioli in questo fa onore al suo stesso cognome, da savius, e ci propone un testo che pare una bella doccia fredda necessaria. Non vi spaventate per l’apparente complessità, è solo cura e precisione, cosa che dovreste gradire in un tempo in cui anche i materassini da spiaggia ormai scrivono un libro ogni sei mesi, rigorosamente nella stagione estiva delle vendite, dello slogan acchiappa like.
“Il P.C. che, tra le altre cose, si occupa di indicare ed imporre quali siano i termini adeguati da utilizzare e quali quelli da vietare, trae da quelli che vedremo essere i suoi inviolabili dogmi – che potremmo intendere anche come miti, qualora volessimo sottolineare gli aspetti pseudo-religiosi –, il portato morale e politico delle opinioni da adottare e l’agenda politica da seguire”.
L’Uomo Residuo è residuo di se stesso, svuotato di senso agisce e pensa in funzione di un senso di giustizia che non è più interno, animico, ma è imposto dal dogma, da ciò che è ritenuto giusto, dal mito propagandato del periodo. E il primo dogma non è altro che la liberalizzazione sessuale, “una felicità che si otterrebbe in un interminabile baccanale”, perché dalle proteste femministe degli anni Sessanta di seconda ondata si sta arrivando a promuovere un “soyboy” ovvero un maschio residuo, femminista e che abbia abdicato completamente a tutte le caratteristiche del maschio. Non parliamo poi della fluidificazione di genere, dove l’etichetta viene vista come puro esercizio di potere, e quindi guai a definirsi, lasciamo pure tutto alla fluidità, alla libera transizione di genere. In questo mondo dove “love is love”, dove l’amore è uno slogan da digitare su google ma non da vivere, non da soffrire e sperimentare vediamo come
“L’uomo residuo vive una sessualità così tanto forzata da creare intere generazioni di giovani e giovanissimi in piena dissonanza con la propria esistenza, capace di rifiutare in favore di una fuga letargica dalla realtà i classici passaggi e interazioni caratteristici dei due sessi”.
Il desiderio è un’ombra, così lo definisce Savioli, che ha la caratteristica di presentarsi come il dolore della perdita, di qualcosa che un tempo l’uomo possedeva e che ora ricorda con malinconia e struggimento, senza la volontà di recuperarlo. Ecco che:
“Sembrerebbe che anche a causa della retrocessione e degradazione di quei valori intesi come tradizionalmente maschili, molti uomini si affaccino all’età adulta senza aver mai definitivamente lasciato, simbolicamente, l’utero materno”.
Il secondo dogma è “io credo nella scienza”; una richiesta di fede cieca e assoluta, un nuovo oppio dei popoli, la religione della scienza, dove la richiesta è ordine, nuovo ordine da eseguire dove tutto è più facile, fluido, nessuna opposizione all’esercizio dei piaceri transitori insiti in un bell’aperitivo a fine giornata. Il terzo dogma è l’ambientalismo: eco-ansia è la parola d’ordine. Ma di questo non voglio svelarvi troppo, Savioli ne descrive i passaggi e i futuri (non tanto lontani) sviluppi, lascio quindi al lettore il piacere di gustarsi il testo per intero.
L’Uomo Residuo è appunto residuo di se stesso, invoca la libertà personale e l’individualismo come mantra sicuro di accettazione, reiterando un se stesso che a forza di essere ripetuto diviene vuoto, svuotato. L’Uomo Residuo è quindi in una condizione di vittimismo, specialmente per le nuove generazioni dagli anni ’90 in poi potremmo dire, dove c’è una ricerca spasmodica e ululante di spazi sicuri in cui sostare, di case da chiudere e serrare. Le porte aperte delle case del sud non esistono più, ognuno è chiuso dentro la sua scatola perfettissima, asettica, ben igienizzata. Ed ecco che nella cultura del politicamente corretto, in apparenza aperta alle minoranze, il vero eroe – secondo Savioli – è la vittima. Siamo passati dall’eroe della mitologia antica che incarnava caratteristiche maschili come il coraggio e la coerenza con i propri valori alla visione di un eroe-vittima, fuso con il proprio ego, residuo anch’esso.
“Il P.C. e la C.C. (cancel culture) ripuliscono, correggono e rimuovono, il risultato è profondamente antropologico e spirituale: se le parole sbriciolano anche la stessa parola, intesa come impegno indefesso, pronuncia immodificabile, reciproco riconoscimento e pretesa di rispetto viene meno: così “l’uomo di parola” dei tempi andati diviene l’uomo di parola residua”.
L’Uomo Residuo di Valerio Savioli è un testo che si dovrebbe tenere in casa, da consultare per chi ancora dorme sonni beati che iniziano a essere costellati di dubbi, incubi o mostri, per un possibile risveglio della coscienza e del senso critico. Un testo che esclude lo stesso uomo residuo, ormai residuo di se stesso, terrorizzato dalla solitudine, “appeso al cavo” internet tutto il giorno, e che quindi questo libro fatto di carta e di studio non saprebbe nemmeno trovare. Ma ci auguriamo che dalla piattaforma digitale in cui si parla di questo testo qualcosa si muova, che il residuo di questo uomo si sleghi dalla sicurezza apparente della casa, che il nodo del cappio si liberi.