La generazione senza pari. Sui poeti italiani nati negli anni Sessanta
Politica culturale
Gianfranco Lauretano
Non si può dire di no alla poesia. Chi lo fa è bieco e cieco e sordo. Non è che così facendo non si voglia il bene del poeta (anche); piuttosto, non si ama il mondo, e in esso l’umano. Ora che la frenesia del globo si sta interrompendo, cosa accadrà? Ci sarà bisogno d’ulteriore aiuto e cambiamento. Occorrerà ritrovare quella parola amica che un tempo non c’era, perché dimenticata. Non si può generalizzare al massimo, d’accordo. Gli amanti del bello non sono scomparsi, e non scompariranno (per fortuna). Eppure, quella poesia che tanto amiamo dovrebbe essere coltivata come un fiore, o piantata come un albero, per dare ossigeno al cuore. Cercata come l’amore: quello vero, unico. Non so se mi spiego.
Non è quindi solo una questione di sviste, rinunce, noie. Il mondo che voleva tutto e subito, cosa cercherà, ora?
La poesia la uccidono i poetucoli della domenica, i marchettari, quelli che ci mangiano sopra negli infiniti concorsucoli, tanto da potersi permettere di costruire case su case… La poesia a volte la uccidono persino certi editori. Già. E non è questione di essere piccoli medi o grossi nella filiera. Si tratta di essere dei cinici bastardi.
Cosa servirà allora, per davvero, a farci raggiungere un nuovo umanesimo letterario? La bellezza, sì. Una nuova visione del mondo, forse. Fors’anche, tanta poesia. Dirle di no cosa significa per te che t’interessi soltanto al gossip, e del pettegolezzo fai una ragione di vita? Per una volta soltanto (senza esagerare) scambiamoci i ruoli. Io ciarlo, e tu ascolti il ritmo sinuoso, antico, potente di un ditirambo. Ci stai?
Poiché, dai retta a me, la poesia sta ovunque. È di casa nel mondo. Sta nei capitoli di un romanzo, come nel vestirsi bene. Sta come un messaggio in bottiglia e nel rovescio della medaglia. La poesia sono i tuoi occhi che ammirano determinate sfumature. È un crepuscolo in cielo. L’arcobaleno dopo il temporale. Le tue labbra stupite.
La poesia è dire ti amo a una donna soltanto; è il mese più crudele; è andare contro il regime. Questa cosa, viva, vibra!, ti rende impavido, sognatore, fratello, eroe. Spavaldo come un corsaro!
Non si deve dire di no alla poesia. A quel poeta che fa della voce una lama, una forma nuova. Quel poeta che sta in mezzo a noi, e nessuno lo scorge. Ogni tanto qualcuno lo nomina, eccezionalmente lo indica, raramente lo ama. Che disdetta!, vero?
Non si può dire di no alla poesia, proprio per raggiungere ‒ sì, mi ripeto ‒ un nuovo umanesimo letterario. Se stessimo di più in mezzo al vento, o indicassimo maggiormente la luna. Distesi su un prato, o pronti a nuove sfide. Se dessimo maggior sicurezza ai nostri figli, con autorevolezza, invece che insultarli gettandoli in pasto alla strada. Se vedessimo oltre: che ne so, foreste di farfalle popolare nei tuoi sogni i centri commerciali. O minuscoli samurai abitare, la notte, gli oggetti della tua stanza. Se fossimo noi i visionari di un nuovo mondo, allora la poesia sarà senz’altro lì ad attenderci, a darci una mano. Uscirà, senza più paura, dai nascondigli nei quali si era celata. Accoglierà felice una nuova fiducia nei suoi confronti. D’altro canto, lei, ne sono certo, non s’è mai nascosta per davvero. Siamo noi, piuttosto, ad averla ignorata o ingoiata. Lei è viva, ulula, infiamma! Sta in un bordello dei bassi fondi, come in un buco nero dell’universo. Veste i panni dell’ingiustizia, della povertà, del silenzio: anche se fa un gran chiasso. Eccome se ne fa. Leggerne una vera, è puro godimento. Mi fa provare scosse…
Non possiamo dire di no alla poesia, dunque. Non a una qualunque. Ma a quella che hai nel cuore, fratello caro, e che ti farà osare oltre ogni misura.
Giorgio Anelli
*In copertina: Jozef Israëls, “Saul”, 1899