20 Gennaio 2020

“Io, figlia di un pittore pedofilo, vi dico che l’arte non si può scindere dall’artista”: una lettrice si confessa a Matteo Fais, dopo il suo articolo in difesa di Gabriel Matzneff

Credevo di aver fatto semplicemente il mio dovere: difendere l’indifendibile. Avevo scritto un articolo su Gabriel Matzneff, un noto scrittore – noto in Francia, soprattutto – che, dopo essere stato accusato di pedofilia, si è visto ritirare tutti i testi dal commercio. Personalmente, questa assimilazione tra opera e artista mi ha profondamente indignato e sono partito, lancia in resta, a dire peste e corna di un simile isterismo, a mio avviso figlio del #metoo, che oggi tende a portare ogni cosa alle sue estreme conseguenze, senza che si possa avere prima un dibattito sereno e ragionato.

È stato a quel punto che L. mi ha scritto in chat, su Facebook, facendomi una inaspettata confessione, ovvero di essere figlia di un defunto pittore pedofilo. Avevo già avuto modo di conversare privatamente con lei, a mezzo chat, ma ignoravo simili particolari della sua vita. Siccome non sono stato aggredito verbalmente, ma invitato a confrontarmi con un punto di vista diverso, ho deciso di proporre alla donna un’intervista sulla sua traumatica esperienza, nella speranza di poter portare ai lettori una prospettiva alternativa alla mia. Lascio, poi, a ognuno di trarre le sue conclusioni, finché ci sarà concessa un minimo di democrazia.

Precisazione: Naturalmente, non riporto il nome completo della donna, né indico il paese in cui risiede, onde tutelare i suoi figli. L., comunque esiste, non è un fake: ho avuto modo di sentirla personalmente per telefono.

Se non ho capito male dalla nostra breve conversazione precedente in chat, tuo padre era un pedofilo, pittore e professore di scuola superiore…

Sì, ha girato parecchie scuole, dal Classico allo Scientifico, concludendo la carriera all’Istituto Tecnico. Ma ciò, adesso, poco importa…

Naturalmente… Capisco che la domanda suoni indiscreta, ma da cosa hai arguito che era un pedofilo?

Innanzitutto, ci tengo a specificare che né io né le mie sorelle siamo mai state propriamente violentate da lui. Però, ecco, diciamo che aveva nei nostri confronti delle attenzioni morbose. Queste andavano in crescendo, da una determinata età in poi. È iniziato tutto spiandoci. Credo ci fosse in mio padre una tendenza voyeuristica. Poi da lì la cosa si è complicata, con l’utilizzo di oggetti personali, miei e delle mie sorelle, come ad esempio lo spazzolino da denti – temo fosse anche un feticista. Successivamente, è passato a metterci le mani addosso, a toccarci.

Questi quadri che lui dipingeva avevano una natura smaccatamente erotica?

Non tutti. Optava spesso per soggetti come paesaggi e cavalli. Era anche un ritrattista molto bravo. Ci sono poi dei quadri di nudo… Se li vedessi tu, o chiunque altro, non capireste. Per voi sarebbe solo un nudo, ma io so che quella ritratta sono io. So che certe pose derivano dall’avermi osservata in momenti particolari. E ciò mi ha fatto capire che si ispirava alla vita intorno a sé, a noi, a me. Io ero l’oggetto.

Tu avanzavi, rispetto al mio discorso in difesa di quell’autore francese, Gabriel Matzneff, un’obiezione, ovvero che non si possa scindere l’artista, quindi l’uomo, dalla sua arte. Nel senso che questa sarebbe una derivazione diretta di certi suoi gusti, o perversioni…

Beh, almeno in parte, sì. Io, poi, non conosco l’autore francese, ma ripensando agli anni vissuti in casa con mio padre, ritengo che, per uno scrittore, come per un pittore o artista in generale, ciò che pensa e sente – e quindi anche le sue perversioni – si riflettano nell’opera. Immagino che la giornalista, allora ragazzina, possa ritrovarsi in alcuni lavori dello scrittore, come io in quelli di mio padre e, credimi, è terribile. C’è questo quadro, che mia madre continua imperterrita ad esporre a casa sua, in cui si vede una ragazza nuda, e io so benissimo di essere il soggetto – lo so anche per via di un determinato particolare ben visibile che posso conoscere solo io e chi mi ha visto senza vestiti. Ciò mi fa star male. È come se mi avesse rubato l’intimità, contro la mia volontà. Non è paragonabile al posare volontariamente. È semplicemente disgustoso.

E tu credi che la pittura di tuo padre fosse così influenzata dalle sue ossessioni?

In parte, sì. Ho anche ripensato alla sua mania per i cavalli. Ricordo che lui sapeva sempre tutto di me, anche i libri che leggevo e che, suppongo, lui avesse già letto a sua volta, essendo una persona colta. Nel momento in cui io mi dedicavo a una lettura, capitava che lui mi dicesse “Ho visto che stai leggendo questo libro”… Sai, c’è quell’età in cui ti incuriosiscono testi un po’ particolari. In un certo periodo, stavo leggendo La cosa di Moravia e lui aveva stranamente fatto questo disegno, di un cavallo… E ho pensato “Oddio, in qualche modo mi sembra di aiutarlo a concretizzare certe sue fantasie”…

Spiegami meglio, scusami, la connessione fra il libro di Moravia e il cavallo del disegno…

Nel libro di Moravia si parla di una ragazza che masturba un cavallo. E il suo disegno…

Il suo disegno raffigurava un cavallo masturbato da una ragazza?

Sì, esatto, qualcosa di questo tipo. E mi aveva colpito il fatto che lui, nel mostrarmelo, avesse sottolineato di sapere che io stavo leggendo quel libro. Sono dei collegamenti sottili…

Quindi, perdonami, ma tu dici che l’arte di personaggi simili, come tuo padre, con particolari pulsioni, cela in sé il dolore di coloro che sono stati oggetto di certe attenzioni che in qualche modo hanno ispirato il prodotto finale?

Sì, esattamente. Non tutto. Nel suo caso, certo non i bellissimi paesaggi, o le nature morte e i fiori… Però, tanti nudi hanno quell’ambiguità…

Richiamavano te?

Sì, secondo me, sì.

Perdonami, ma all’interno della tua comunità, che non credo sia molto ampia…

Siamo sui dodici mila abitanti, un piccolo paese.

Lui non ha mai dato adito a far comprendere che avesse un certo tipo di propensioni?

Questo l’ho saputo dopo. Io sono la più grande. Le mie sorelle hanno più o meno sei anni di differenza, quindi sono abbastanza piccole rispetto a me. Io sono stata la sua prima vittima e poi è passato a loro più o meno verso i dodici anni, dopo la prima mestruazione. Le mie sorelle sono gemelle, quindi si sono trovate alleate e per loro è stato più facile liberarsi da una simile situazione. È grazie a loro se siamo riusciti a far venire fuori il tutto, perché da parte di mia madre e dei miei familiari si è cercato unicamente di mettere a tacere. Nella comunità, sicuramente, se ne è parlato a livello di pettegolezzo. È venuto fuori che mio padre, anche nel periodo in cui era fidanzato con mia madre, aveva il vizio di allungare le mani sulle ragazzine. Lo so perché sua sorella aveva una scuola di cucito… Lui era solito spiare, o insinuare le mani sulle ragazze. Qualcosa di simile ha fatto anche con mia cugina… Sai, quelle cose che sono note, ma che in qualche modo si riesce sempre a mettere a tacere, per non perdere la facciata di famiglia perbene. Mia madre, poi, non voleva smarrire certi privilegi, anche economici: mio padre vendeva i suoi quadri a prezzi elevati per quei tempi. Considera che lei era un’insegnante della scuola dell’infanzia. La cosa è curiosa: non eravamo neanche una famiglia ignorante, o meglio non è per ignoranza che quanto accaduto è stato nascosto.

Tu, quindi, da una certa età in poi, non sei più riuscita ad avere a che fare con tuo padre?

Mia madre non voleva mandarlo via di casa, finché non l’abbiamo costretta. Lui, infatti, non è morto nel nostro paese, ma in un altro, in una casa di riposo gestita dalle suore.

Quindi tua madre l’ha mandato via, in ultimo?

Sì, per nostra insistenza. Anche perché sono subentrate ulteriori problematiche, ad esempio il fatto che mia sorella è diventata anoressica, a causa di ciò che ha subito. Non è facile fare finta di niente con gli altri, in qualche modo ti logora. Il suo corpo ha reagito così. Vedi, le mie sorelle sono riuscite in un certo modo a far esplodere la situazione. Invece, con me, essendoci sei anni di differenza, ha avuto il tempo di andare più a fondo. Quando io guardavo questi ritratti, in cui mi riconoscevo, mi chiedevo cosa trovasse in me da portarlo a dipingermi, anche in certi difetti. Finisci così per mettere in discussione te stessa. Le mie sorelle sono molto belle, io invece mi limito a non essere brutta. Eppure, il fatto che fosse attratto da me mi portava a pensare. Mi dicevo “Non sono bella, ma avrò qualcosa di perverso che lo attrae”. Quindi, vedi, la tua logica, rispetto alla distinzione tra arte e vita, non fa una piega, però leggendoti pensavo continuamente a quel quadro che mi ritrae. Non si può scindere completamente l’opera dall’artista. Probabilmente mio padre non era neanche una persona malvagia. Lui diceva di fare quel che faceva con me perché mi voleva tanto bene. Però i miei parenti, che sono persone normali… Da loro mi sarei aspettata delle condanne. Invece, per esempio, una mia zia giustificava la cosa dicendo che io da ragazzina giravo per casa in mutande. Sì, è vero, ma non è che lo facessi per attirare la sua attenzione…

P.S: da questo momento in poi, la conversazione con L. divaga. Verso la fine torniamo a parlare di suo padre e lei confessa una violenza da questo attuata ai danni di un’altra ragazza. Non è dato sapere chi sia e oramai non importa. Il lettore ha già comunque tutti gli elementi per fare una sua valutazione e stabilire se l’opera d’arte sia poi considerabile come altro dall’artista.

Matteo Fais

In copertina: Una fotografia di David Hamilton (1933-2016) da “The Age of Innocence”, 1995

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