Nella penombra alligna l’illecito, si situa il bramito di libertà, la brama.
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Leggendo la notizia sui giornali, Flaubert andò in estro. Non cercava altro, narrativamente: il pudore che sfocia nell’osceno. Pigliò carta e penna, era il 14 dicembre 1876, scrisse all’amico Ivan Turgenev: “La storia di Germiny arrestato come un ladro… l’hai letta? Questo sono aneddoti che confortano, aiutano a sopportare l’esistenza”.
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Una settimana prima, il 6 dicembre del 1876, al tizio andò di traverso, per sempre, la festa natalizia. Charles-Eugène La Bègue, conte di Germiny era avvocato, cattolico, conservatore. Monarchico, ostile alla società secolarizzata, aderiva al culto della famiglia e alla fede in Dio. Il pio Eugène fu beccato da un poliziotto, quel giorno, all’ombra di un pisciatoio pubblico, a farsi un ragazzino, un operaio di 18 anni, Pierre Chouard. Ne sortì uno scandalo totale: alla vigilia dell’ultimo dell’anno del 1876, il tribunale condannò l’austero politico a due mesi di reclusione e a una multa di 200 franchi. I giornali (e i politici d’altra sponda) continuarono a satireggiare per decenni. La carriera del candido e callido Germiny fu stroncata: uscito di galera si separò dalla moglie, partì per Buenos Aires, scombinò il suo cognome in “Lebègue” e visse con un bel mulatto. In Argentina tornò a fare l’avvocato: nel testamento, perdonando chi lo aveva sfottuto e arrestato, chiese che di lui ci si dimenticasse, per sempre. Magari.
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In argot il pisciatoio – o meglio, ‘vespasiano’, così chiamato perché l’imperatore romano lo aveva costruito e fiaccato di tasse – si chiamava la tasse, la tazza, che delicatezza. Di pisciatoi pubblici era fitta Parigi: per evitare che la città, mostruosamente grande, avvilisse nei miasmi. La struttura dei ‘vespasiani’ era aggraziata: un tempo la tecnica non uccideva l’uomo, ma ne esaltava la grazia. Per lo più libery, i pisciatoi s’ergevano come enormi pistilli di metallo, più o meno arditi. Una protezione sferica a metà, impediva che si vedessero le pudenda. Restava scoperta la testa e i piedi, ma lì sotto, effettivamente, poteva accadere di tutto.
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Voglio dire, se un orinatoio ha rivoluzionato la storia dell’arte, i pisciatoi pubblici hanno cambiato i costumi e… fatto vincere una guerra. “I pissotières godono di cattiva reputazione. Per lo più, sono un sinonimo di vergogna più che di orgoglio. Eppure, questi edifici, legati alle avventure di gay, travestiti, prostitute, rivoluzionari, offrivano una libertà aliena da ogni interesse economico… Accusati di essere sordidi, questi luoghi, in un ambiente ostile alla diversità, hanno sfidato il proibito”. Questo è un po’ il logo di una mostra anomala di Marc Martin, Les tasses, ora in atto a Parigi (a Le Point Éphémère), poi al Leslie-Lohman Museum of Art di New York.
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Creati all’inizio del XIX secolo, gradualmente smantellati dal 1960, accusati fin da subito di essere “tane del vizio” – memorabile il commento di un moralista di pieno Ottocento: “sono l’equivalente di un vaso da notte sul tavolo in salotto” – diventarono, sotto Vichy, un opificio di resistenza e di rivolta. “Tra il 1940 e il 1944 le strade erano vuote ma i pissotières erano pieni, il luogo in cui soldati e spie si incontravano per scambiarsi informazioni”.
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Tra orinatoio e Parlamento c’è poi poca distanza: entrambi accolgono una impellenza. Atto privato in mezzo pubblico.
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Mettere in penombra il bisogno – fisiologico, biologico, naturale – scandalizza. Pisciatoi come chiostri, zone franche, di riparo, di ristoro, di famelici desideri. Al politicamente corretto si risponde con l’esattamente umano, dice un logo legato alla mostra. Meglio l’ombra, decretò il perbenismo sociale. Così il pisciatoio – rappresentato, in mostra, da fotografie e documenti (compresi quelli del ‘caso Germiny’) – da luogo in cui ostentare le vergogne è diventato, vergognosamente, pezzo di Storia. (d.b.)