Adora la luna e la sua luce argentea; prova orrore per il calore giallognolo e vitale del sole. Per indole, ma anche per vezzo, è un inconcludente perdigiorno. Ha la faccia infarinata, per rendersi più simile al suo astro prediletto; ha un marcato fondotinta, per mettere in mostra e far vanto della sua insonnia. Stiamo parlando di Pierrot: personaggio crepuscolare, animato da un’ironia pungente e malinconica, destinato a illanguidirsi dietro ad amori impossibili.
Pierrot conosce una certa fama nella seconda metà dell’Ottocento, in Francia. Questo si deve, principalmente, alle esibizioni di Jean-Gaspard Deburau e del figlio Charles, noti mimi che riuscirono a conquistare il favore del pubblico proprio impersonando la nota maschera, con un successo tale da rendere canonici i tratti caratteristici del suo costume. Forse proprio a causa della sua vena malinconica, non furono pochi i letterati e artisti del tempo affascinati da questo personaggio: nel 1877 Henry Céard aveva lavorato alla rappresentazione di un Pierrot Spadassin; nel 1881, il più noto Huysmans aveva confezionato la pantomima Pierrot sceptique insieme al drammaturgo Léon Hennique. A rimanere particolarmente impressionata da questa maschera, però, pare essere la penna di un giovane poeta francese, nato nella lontana Montevideo, ovvero Jules Laforgue.
Jean-Perre Bertrand, presentando il poeta in coda all’edizione Flammarion di Les complaintes, afferma ironicamente che Laforgue è «il più conosciuto tra i poeti sconosciuti» della fine del XIX secolo.Nonostante la morte prematura, avvenuta a soli 27 anni, Laforgue ha comunque lasciato ai posteri un buon numero di opere poetiche, guadagnandosi un’ottima fama sia tra i suoi contemporanei, sia tra le generazioni successive. Ci basti ricordare che, ancora oggi, è nominato tra i maggiori ispiratori dei nostri poeti crepuscolari, che ebbe ammiratori del calibro di T.S. Eliot ed Ezra Pound, e che fu trattato da “maestro” anche dalla masnada dei surrealisti. Purtroppo, tutte queste “medaglie” letterarie non sono servite a far spiccare troppo il suo nome all’interno del vasto arcipelago dei simbolisti francesi. Eppure, soprattutto nella sua produzione pubblicata postuma, sono presenti vere e proprie perle letterarie, come le Moralités légendaires, da cui Carmelo Bene ha ripreso una suggestiva riscrittura dell’Amleto, ma anche la breve opera teatrale Pierrot fumiste, scritta nel 1882 ma mai data alle stampe.
Ora, proprio Pierrot sembra avere un peso rilevante, nella produzione di Laforgue, anche fuori dal dramma precedentemente citato. L’opera in versi, infatti, è costellata di riferimenti a questa maschera, celebrata per la sua natura notturna e sognante. In questo senso, è molto significativa la poesia Pierrots, presente nella raccolta L’imitation de Notre-Dame la Lune. In un’atmosfera crepuscolare, sospesa, Pierrot si fa plurale, diventando una vera e propria «setta» di persone accomunate da caratteristiche alquanto stravaganti. Sono, infatti, una sorta di «dandys de la Lune» che «vanno cibandosi d’azzurro, / e qualche volta anche di verdura, / di riso più bianco del loro costume, / di mandarini e uova sode». Di notte, poi, «vanno a molestare / nel fondo dei parchi le statue, / ma offrendo soltanto alle meno spogliate / il loro braccio e tutto quel che segue». La passione per le statue, però, non è che una compensazione, in mancanza di compagnia femminile. Proprio alle donne i lunari Pierrot rivolgono, se possono, la più totale attenzione: «Giurano “je t’aime” con aria assente / con voce piatta, estatica, / e chiudono le frasi più folli / con dei: “Mio Dio, perché insistere?” / Finché ebbra, ella s’oblia, / presa da chissà quale bisogno / di luna! Si oblia tra le loro braccia / assai oltre quanto converrebbe».
Dalle citazioni riportate, vediamo che Laforgue tiene a conservare gli stereotipi che animano la maschera di Pierrot: il suo legame con la luna e la notte, l’irriverenza e l’acuta ironia, la passione amorosa. Tutto questo, però, si colora di nuovi significati simbolici, che diventano più espliciti nel Pierrot fumiste.
La breve opera teatrale è divisa in tre parti: La noce de Pierrot, in cui viene inscenato il corteo nuziale di Pierrot, che finalmente è riuscito a coronare il suo sogno d’amore e sposarsi con la dolce Colombinetta; Nuit de noces, in cui si rappresentano i giorni e le notti immediatamente successive alle nozze; Le fumiste, pezzo in prosa, nella quale si descrive la crisi matrimoniale e il congedo del marito dall’ormai ex moglie.
Nella prima parte, a dominare è il carattere dirompente e dissacrante di Pierrot, che si slancia in una serie di provocazioni mal sopportate da tutti gli invitati. Il novello sposo ostenta una finta ricchezza che illude tutti gli invitati; infatti, questi ne sopportano le continue provocazioni solo in virtù del suo denaro, che pare annunciare ricchi doni per tutti. Il punto più alto e significativo, senza dubbio, è quando Pierrot compra, coi soldi della povera Colombinetta, la sua rivista preferita, ovvero il “Pornografo illustrato”, e comincia a declamare prima alla famiglia della sposa, poi a un senzatetto ricolmo di prole, il suo articolo ivi contenuto sulle gioie della vita matrimoniale. Questa parte si chiude con il corteo che, insofferente ormai alle continue perdite di tempo di Pierrot, lo infila forzatamente in carrozza e fa ripartire finalmente la processione.
La seconda parte comincia direttamente dalla prima notte di nozze. Colombinetta è stanca per la giornata, e Pierrot prende la palla al balzo per rimandare al giorno dopo l’adempimento del dovere coniugale. Colombinetta, inizialmente, è spaesata da questa scelta, poi si sente grata e addirittura colpita dalla sensibilità dimostrata dal marito. La sera dopo, però, un’altra scusa interviene a rimandare l’amplesso, e così la sera dopo ancora. Pare, insomma, che Pierrot non abbia alcuna intenzione di consumare il matrimonio. Si arriva, così, all’ultima parte, in cui Colombinetta, preoccupata, confida il problema, protrattosi per mesi, alla madre, che non tarda a inviare un medico in casa della coppia. Pierrot risulta sano, ma continua a negarsi alle grazie della moglie, che oramai sfiorisce vistosamente e perde il suo colorito per l’ansia e la nevrosi. Infine, i genitori di lei, con anche il suo consenso, chiedono ed ottengono l’annullamento del matrimonio. Solo a quel punto, prima di abbandonarla, Pierrot usa «la sua ultima notte di marito per sfiancarla d’amore come un toro», e le dice, prima di partire per il Cairo: «T’amavo per davvero; saresti stata la più felice fra le donne, ma non l’hanno capito. E ora eccoti qua, vedova e non più maritabile».
È inevitabile chiedersi le ragioni del comportamento di Pierrot: come mai negarsi sessualmente a Colombinetta per tutto il breve periodo delle nozze, per poi concedersi solo nel momento in cui sa di averla irrimediabilmente perduta? Per rispondere a questa domanda, è bene partire dalla confessione che Pierrot, in lacrime, fa a Colombinetta, proprio la prima notte di nozze:
«Ho tanto bisogno d’essere amato, sai? Pierrot, il letterato burattino, è la tristezza eterna delle cose. Ma non parliamo di questo. Tu mi ami, ridimmelo».
Pierrot sfoga tutta la sua malinconia, rivelando di essere «la tristezza eterna delle cose». Ciò che eternamente accomuna tutte le cose, è il fatto che un giorno dovranno sparire. Si tratta, dunque, della consapevolezza della morte. Questo è il punto di partenza fondamentale: se ogni cosa è destinata a scomparire, l’atto creativo, in sé, risulta essere totalmente privo di significato. Ma Pierrot si spinge ancora più in là: la riproduzione diventa un atto barbarico, spregevole, che distrae e deforma la realtà contingente. Spieghiamo meglio quest’ultimo punto: il romantico Pierrot ricerca la bellezza e la soddisfazione dei suoi sentimenti in una fanciulla. Le sue grazie, la sua dolcezza devono rimanere il più possibile intatte e, se è possibile, è necessario cercare di salvarle dal loro destino funesto eternandole tramite l’arte. Ma l’atto sessuale, forma più alta di creazione – poiché genera nuova vita – deforma quelle grazie, fa scoprire lati ripugnanti dell’amata. Tutto questo solo per un prodotto futuro che però Pierrot, per sua natura, non può concepire, poiché per lui ha più valore la ricerca estetica e la cristallizzazione artistica, a fini conservativi, piuttosto che la procreazione volta al futuro. Ritornando alla lirica Pierrots, essi, negli ultimi versi, affermano di sapere «che questo basso mondo scandaloso / è solo uno dei mille colpi di dado // d’un giuoco che l’Idea e l’Amore, / senz’alcun dubbio anche per conoscere / la loro propria ragione d’esistere, / han ritenuto di dare alla luce», e «che la parte più bella, fratelli, / è vivere di punto in bianco / e, magari battendosi il fianco / alzar le spalle davanti a ogni cosa». Tutto il mondo, dunque, è un gioco con esiti incerti e casuali, ingestibili dall’uomo. Non curarsi del futuro, «vivere di punto in bianco» nella consapevolezza del mutamento e della distruzione porta il Pierrot di Laforgue a farsi adoratore della sterilità, a rendersi assolutamente inconcludente – “fumiste”, appunto. È questo che lo porta a disprezzare il sole, simbolo di crescita e vita, e preferire la luna. Così, in una scena grottesca, i Pierrot della già citata poesia donano il loro vigore a delle statue inanimate nel parco – scegliendo solo le più vestite – ma poi si tirano indietro di fronte a delle fanciulle in carne ed ossa, nonostante le loro disperate dichiarazioni d’amore.
Eppure, si potrebbe obiettare, alla fine del Fumiste, Pierrot e Colombinetta arrivano all’amplesso. In questo caso, però, l’atto sessuale è un atto di rivalsa, apertamente spregevole, nei confronti della sposa che, non avendolo capito, ha male interpretato i suoi atteggiamenti, non capendo ch’egli si stava trattenendo e sacrificando per preservare la sua bellezza. Come un fanciullo dispettoso ma arguto, dunque, Pierrot decide di “punirla” concedendole ciò che per tanto tempo ella aveva desiderato. La fanciulla, infatti, sarà molto probabilmente destinata alla solitudine, poiché, non essendo più vergine, difficilmente ritroverà marito, e allo stesso tempo ha perduto per sempre l’amore puro di Pierrot.
Colombinetta e la sua famiglia rappresentano al meglio le convenzioni sociali borghesi, legate in maniera quasi ottusa a prassi materiali, quindi prive di fondamento. Il carattere di Pierrot li pone in totale confusione, ma se al corteo hanno sopportato le sue ridicolaggini, in nome del denaro e del rifiuto, da parte del promesso sposo, di ricevere la dote, l’inadempimento al dovere coniugale non può essere tollerato. In questo, Laforgue intuisce una delle più pronunciate ossessioni della società borghese, ovvero la proiezione totale verso il futuro e l’ansia della sua programmazione. Il povero Pierrot, invece, al futuro del mondo non può che anteporre il sincero, tenero abbraccio della fanciulla amata, e la vana e triste speranza che non possa mai spezzarsi.