Il poeta, geniale tombarolo, fa così: piglia i propri lari per i capelli. Lacera i legacci del proprio tempo per sondare le carcasse altrui – porre maschere d’oro sul volto degli andati. Nessuna carineria filologica lo agisce, ma il principio dell’alchimia simpatica – oppure, quello della razzia.
Per questo si leggono le traduzioni dei poeti. Si tratta di cucirsi l’abito addosso, di sperimentare una via non tanto estetica bensì estatica. Di aderire a un voto, di esporre alla concia il vaticinio.
In questa rapina, l’Hölderlin secondo Pierre Jean Jouve ha avuto risonanza di profezia. Nel 1930, per l’editore Fourcade di Parigi, PJJ, già autore di rilievo – Paulina 1880, il romanzo più noto di PJJ, esce per Gallimard nel 1925 – e poeta in corso, che sta forgiando il proprio spirito, pubblica i Poèmes de la folie de Hölderlin “avec la collaboration de Pierre Klossowski”. All’epoca, Klossowski ha poco più di vent’anni: PJJ lo ha conosciuto conoscendone la madre, Baladine Klossowska, e il fratello, Balthus, futuro pittore. Genia di perturbanti artisti, la nota non è futile: Baladine, ‘Merline’, è la compagna di Rainer Maria Rilke. Pierre Jean Jouve incontra Baladine e Rilke nel 1925: la cristallina compostezza delle poesie di Rilke – pronte ad auscultare il petto d’angelo – hanno per alter ego l’alterità allucinata delle poesie di Hölderlin.
In latitanza dal proprio tempo, Hölderlin fa parte di quella ristretta cerchia di poeti vissuti nell’Ottocento – insieme a lui: Emily Dickinson, William Blake, Rimbaud, Georg Büchner, il nostro Leopardi – che con furia preveggente hanno forgiato il Novecento. Pierre Jean Jouve legge Hölderlin attraverso la mediazione del filosofo Bernard Groethuysen, allievo di Simmel, studioso di Nietzsche, e l’amicizia di Stefan Zweig. Ad ogni modo, quella di PJJ è la prima traduzione di Hölderlin in Francia. Basandosi sull’edizione di Franz Zinkernagel, completata nel 1926 per Insel-Verlag, il poeta francese – a suo gusto – sceglie l’opera frantumata di Hölderlin, va a spigare tra i frammenti, i lacerti linguistici che dimostrerebbero la follia – dunque: la veggenza – del tedesco.
La traduzione di Hölderlin curata da PJJ seminò imitatori. David Gascoyne, il precocissimo poeta inglese, pubblica nel 1938 Hölderlin’s Madness, di fatto traducendo PJJ, inserendo alcune poesie proprie d’après Hölderlin. Arte da trappista della poesia: il tedesco passa all’inglese tramite il francese – come una specie di virus, trascina tutti nella follia (Gascoyne vivrà anni in cliniche psichiatriche). Nel 1963 Gallimard riprende la traduzione di Hölderlin a cura di Pierre Jean Jouve, che giustifica il lavoro con queste parole:
“Friedrich Hölderlin, senza alcun dubbio il più grande poeta tedesco, fu per lo più ignorato dai suoi contemporanei. Nel 1797, dopo diversi crolli nella depressione, il suo stato mentale lo condusse all’internamento. Nel 1807 trovò posto in una piccola camera sul Neckar: vi dimorò per trentasei anni, scrivendo strani frammenti, propri di un genio senza tempo. Nel 1929, Pierre Klossowski e io abbiamo voluto dare una traduzione di questi frammenti, così straordinari nonostante il parto del caos”.
La pretesa che il rimosso, il marginale, la scrittura distratta, distrutta, sulla soglia del dire e del blaterare, sia più rivelativo dell’opera piena, nata nell’aura lirica, è tutta di Jouve e del suo mondo (due eventi su tutti: il Surrealismo e la psicanalisi, vissuta dal poeta con possente prossimità – la moglie, Blanche Reverchon, psicanalista, è stata traduttrice di Freud e amica di Lacan). Soltanto nell’eresia linguistica, nello sbaglio e nel fecondo neologismo, nello sbaragliare il sé, nell’errare tra sgrammaticature ed entusiasmi verbali, nella frattura tra vocabolo e vocazione, si scopre, senza i veli del dizionario, il vero. Il poeta: speleologo nell’aldilà del linguaggio, ancora con la stola dello sciamano. Ma chi si cura del suo baluginare balbettii?
L’Hölderlin secondo Jouve consegna al poeta francese una via lirica a lui propria (magia alchemica del tradurre, che sublima il poeta): da allora escono le raccolte miliari, Les Noces (1925-1931), Seur de Sang (1933-1935), Matière céleste (1937). Sono poesie che creano accoliti e colgono entusiasmi: René Char – “la poesia vi deve vette pari a quelle di Rimbaud e di Hölderlin” –, Yves Bonnefoy – “Pierre Jean Jouve è uno dei grandi poeti della nostra lingua” – tra tutti. È percorrendo la via oscura di Hölderlin – il poeta, invero, dell’eccesso di luce – che PJJ può scrivere una poesia come Cervo della Notte:
“Se vai in cerca del cervo tu devi disporti Raggomitolato nel calore del tutto Defilato in ginocchio prima che faccia giorno Senz’alito tra la massa dei monti
Essere ansioso, sottile, terribile e scaltro Pronto a tutto, indispensabile anche E tenero come una donna È un farsi avanti dunque nella tua sorte,
La tua sorte si tira dietro l’altra Della bestia incredibile della bestia invisibile Della bestia che non si affaccia mai per prima Agli spazi carichi di minacce,
La tua anima, questo dannato cacciatore, È uscita a far la posta all’anima del cervo Molto prima che esso appaia, e l’anima della bestia Molto prima che essa ti aliti in faccia.
Quando il fremito divino occupa la roccia Invisibile, datti da fare scappa! Esperta e sottile è la lotta delle tue voglie Che avrà fine solo con la pallottola,
E giunto al punto, finalmente La pallottola sarà l’ultima tua voglia E tutta la tua sorte proiettata in quella Sublime bestia
Mentre il sangue nel più oscuro dei modi ti ricompensa”.
La traduzione che ricalco è di Nelo Risi, poeta e coinvolto traduttore di Pierre Jean Jouve, fin dalle versioni delle Poesie edite da Carocci nel 1957, con uno scritto di Ungaretti. Sono seguite diverse altre edizioni – quella curata per Lerici, nel 1963; Conoscenza Dubbio Rivelazione, per le Edizioni Accademia, nel 1971; Paradiso perduto, Einaudi, 1972; una versione, presto scomparsa, delle Poesie edita da Mondadori nel 2001 – fino all’attuale nulla. È un peccato che un poeta così importante come PJJ sia pressoché irreperibile in libreria e vada setacciato nel mercato secondario. L’impotenza del poeta, la sua anti-sublime follia, l’accattonaggio dell’ascolto, gli strattoni dello straccione erano previsti da Jouve, per altro, in una poesia raccolta in Langue (1952):
“Gli atti del poeta, incerti e duri come un colpo di mare Volubili e leggeri come la sabbia O laceranti come contro le rocce il vento, Questi atti non sono un nostro bene ma appannaggio di antiche mandòle O rive, rive impervie, erte scoscese!
Abbiate pietà dei suoi atti da accattone Guardate la sua magra sporta da devoto Abbiate a cuore la sua dolcezza e non la tocca ignoranza Onorate il suo appartarsi (solo il sesso in lui è memore); Prestate orecchio alla cima del vento sulle rocce del lutto Attorno a quest’uomo inutile e accanto agli abissi senz’epoca”.
Nelo Risi ha parlato di PJJ come di “uno spirito solitario portato per inclinazione a riflettere incessantemente sul problema dell’essere e a detestare qualsiasi forma di autocommiserazione”. In particolare, “L’opera di Jouve supera il nostro secolo: essa si rifà alle radici della lirica francese moderna per proiettarsi sopra le mode e le scuole del nostro tempo nel tentativo di conciliare, in un solo istante e con un atto d’amore, un principio e una fine”. Verrebbe da dire che PJJ si è impantanato nel nuovo millennio, chino alle mode, all’empireo balocco dell’ego. In tale palude, anche l’airone pare rospo.
In Hölderlin, PJJ trova un confratello nel male (“Ho vissuto sbriciolato da crisi depressive per anni, recluso tra agorafobia e ossessivi sensi di colpa che avrebbero potuto disintegrare l’autonomia della mia persona”, ha detto il poeta francese), il genio del vagabondaggio nell’insensato. E dunque: prestare cura alla parola altrui, benedirla come propria singolare eredità in singulti, bendarla con verbi nuovi, passati al vaglio della grazia, imporsi la veglia – non sarà armonico, il tutto, ma amabile, sì.
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Tinian
Grato errare nel deserto sacro.
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E alle mammelle della lupa, spirito buono, alle acque, che dalla terra natale errano
, un tempo selvaggio appena addomesticato, beve come il trovatello; durante la primavera, quando la fonte è calda il legno rivela ali straniere
il giorno si riposa in solitudine e presso il palmeto ragazzo con gli uccelli dell’estate si radunano le api,
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per via dei fiori non posseduti dalla terra, si fanno grandi da soli sul suolo nudo, ne riflette, e non è felice di cogliere queste fioriture già nell’odore dell’oro e scarni sembrano pensieri,
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L’aquila
Mio padre viaggiava sul Gottardo dove si snodano i fiumi……….. e poi verso le coste d’Etruria e per diritto cammino sopraffà le nevi verso Olimpo e Hemos dove l’Athos getta un’ombra verso le caverne di Lemno. Originarie foreste dell’Indo dal possente profumo da cui provengono i progenitori. Ma il grande avo volò sul mare ricco di artigliati pensieri e la testa d’oro del re restò attonita dal mistero delle acque, quando le rosse nuvole si incollinano sopra la nave e le bestie si fissano l’un l’altra mute pensano al pasto, ma le montagne restano silenziose, e noi, dove mai riposeremo?
Friedrich Hölderlin nella traduzione di Pierre Jean Jouve
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I soli spariti sono parole eterne la cui frase ben limata ha questa forma: estasi della terra musicale e del verde e dell’oro del villaggio appeso al più raro balcone dei prati e delle rocche glaciali intrecciate; o bellezza di là, sogno dell’estrema ora, un furioso incendio d’autunno si forma nelle valli sotto le erbe dell’orto, la discesa fa l’amore con la calura le baite di legno tormentano le luci e la nobiltà passa ai castagni partendo, sentimmo la perdita della speranza per la privazione di desideri insensati.
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La donna e la terra
Quando fu, questo cuore fu più forte della luce il suo sangue, sotto l’influenza della luna, più ampio del sangue versato e la notte più oscura e dal pelo duro della notte ma perfino scintillante e cruda un sesso più che un’anima, un astro più che un sesso una chiesa con la criniera in cima
E tu che dormi! altri graniti e vecchie rose che passano e dispaiono in un bagno puro senza fragilità, senza distanza come alte terre straniere azzurre
Posa su colei che più non è nel tempo né seno né spasmi né lacrime di chi è tornato sulla terra verso l’altro più ceruleo sole.
STRANIERO! O SONO ANCORA una cosa vera contro il tuo seno, globo mistico profumato, più soave della rotonda primavera e quella rosea morte, carica di vene, il capezzolo di femmina delle valli mia Elena! vedo gonfiarsi i tuoi capelli rosa purpurea e magnetica del mondo nelle spaventose trecce dell’infanzia il meraviglioso sentiero nella gloria e nel fumo la fenditura della vita, la rosa della lingua.