20 Luglio 2020

Evviva, torna l’opera di Piero Scanziani! Mircea Eliade lo voleva al Nobel, “Lo leggo, rapito, per alcune ore. La gioia di scoprire, alla mia età, un nuovo scrittore”. Ovvero: elogio delle piccole, avventurose imprese editoriali

Prima cosa che mi preme. Elogio delle imprese editoriali che al di là dei meandri del mercato (i libri si devono vendere è ovvio: dipende cosa, come, perché) s’impegnano in vaste avventure. Un esempio. Lindau che pubblica tutto Carlo Coccioli. Secondo esempio. La neonata casa editrice Utopia, che ha vaghi intenti da enogastronomia libraria (annunciano di voler fare “letteratura di qualità” all’ombra della parola “coerenza”: io sono un lettore del sottosuolo, mi bastano i buoni libri e gli autori impeccabili) e una proposta magnetica. Oltre alla pubblicazione di testi importanti (La famiglia di Pascual Duarte di Camilo José Cela, un tempo in catalogo Einaudi, e Gente nel tempo di Massimo Bontempelli, un tempo Mondadori poi SE), infatti, Utopia ha annunciato di voler investire sull’opera di Piero Scanziani. Una notizia magnifica.

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Di Piero Scanziani, scrittore svizzero, studi a Milano, talento anomalo, desto a scandagliare gli ignoti, ho avuto modo di scrivere, interpellando la moglie, Magì, che con dedizione ne custodisce l’opera. Autore di libri spesso spiazzanti – mi ha appassionato, per qualità narrativa e foga intellettuale, Entronauti, il viaggio, dagli Stati Uniti al Giappone, tra Monte Athos e santoni indiani, che lo scrittore compie alla ricerca degli ultimi maestri, delle residue tracce del sacro – ho conosciuto Scanziani scontrandomi con la scrittura intrepida e tremante di Mircea Eliade. Era il 21 luglio del 1984, Provenza, quando il grande studioso scriveva a Scanziani, denunciando la gioia di averlo scoperto. “Caro Piero Scanziani, come ringraziarLa? Da due settimane mi sono immerso nei suoi libri. (Una cataratta, per ora inoperabile, limita la mia lettura a tre, quattro ore al giorno). Dopo Aurobindo, l’appassionante Avventura dell’uomo, poi I cinque continenti e gli straordinari incontri di Entronauti! M’inoltro, adesso, meravigliato in Libro bianco… Vorrei parlarle più a lungo. Ahimé! Scrivo con fatica (artrite reumatoide) e non sono capace di dettare (ho provato il dittafono, ma i risultati mi deprimono!) Ancora una volta, grazie! In tutta sincerità e amicizia, il suo Mircea Eliade”.

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Quella lettera è preceduta da un appunto, il 28 luglio del 1984, che ho trovato per caso – come se il caso fosse la provvidenza, bendata – sfogliando il Diario di Eliade in una bancarella bolognese, edizione Jaca Book. Ecco il testo: “Ieri sera con gli Ionesco e Cioran abbiamo cenato da Colette e Claude Gallimard. Ero di cattivo umore, apatico e, infine, depresso. La conversazione generale: si è parlato soprattutto di malattie… Ho ricevuto oggi, per espresso aereo, tre volumi di Piero Scanziani. Tutti con la stessa dedica: ‘A frate Mircea, frate Piero’. Apro a caso il Libro bianco. Il testo mi conquista subito e leggo, rapito, per alcune ore. La gioia di scoprire, alla mia età, un nuovo scrittore”. I libri di Scanziani dovettero davvero coinvolgere e sconvolgere Eliade, se è vero che uno degli ultimi atti dello studioso – morirà nel 1986 – sarà quello di candidare lo scrittore svizzero al Nobel per la letteratura (nei cui archivi, per altro, risulta, ad ora, anche una candidatura cascata sul capo di Eliade: era il 1957, l’alloro andò ad Albert Camus, come si sa).

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Alcuni, grandi autori, passati negli altri mondi (Scanziani muore nel 2003), meritano di essere imbracciati solo da editori intrepidi, avventati, votati al nuovo e all’antico, desti alla maestria. Altrimenti, verrebbero massacrati dal carrarmato editoriale. Scanziani non otterrà il Nobel – che in quegli anni va a Jaroslav Seifert, Claude Simon, Wole Soynka: non per forza autori “maggiori” – ma nel 1997 è onorato con il Premio Schiller, “per l’opera omnia”, nell’anno in cui viene riconosciuto anche Maurice Chappaz.

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Eliade preferiva Libro bianco, romanzo inclassificabile del 1968; Utopia non denuncia il piano editoriale, ma partirà – da ciò che si annusa in giro – con Avventura dell’uomo, uno dei libri felici e inquieti di Scanziani, di cui riproduciamo un brano.  

“Nel momento in cui il pensiero della morte ci opprime, è importante per noi capire come mai l’uomo antico si convinse che i morti non erano morti, anzi ben vivi, tanto d’aver bisogno d’aiuto e di parola. Qual era dunque per lui questa evidenza?

Una storiella ottocentesca, che ancora qualcuno ripete, pretendeva che l’uomo dei primordi fosse quasi bestiale. Ma era una storiella mal inventata, poiché l’uomo sarebbe stato una bestia così gracile da non poter certo sopravvivere, con il solo aiuto di qualche selce aguzza, in un immane mondo nemico. Cos’è mai una selce dinanzi al mammut di cento quintali, all’orso cavernicolo alto cinque metri, ai sauri lunghi dieci? Come potrebbe un bambino, lanciando pietre, sopravvivere nella lotta contro uno stuolo di carri blindati?…

Se rileggiamo i primissimi libri, se interroghiamo le superstiti popolazioni primitive, ci persuadiamo che gli antenati vedevano il creato diversamente da noi. Vedevano anche un universo etero, sovrasensibile, sottile, mentre noi vediamo soltanto un cosmo denso e pesante, tutto terrestrità.

Nipoti e pronipoti di pazzi, noi soli dunque siamo savi? Certo erano pazzi, ma con le loro follie vinsero i cento quintali del mammut. Certo erano visionari, ma la loro veggenza non doveva essere contraria al vero, altrimenti la terra li avrebbe cancellati.

Per tutti i millenni antichi gli uomini di ogni latitudine costruirono grandi civiltà intorno ai loro Dei e ai loro morti, ossia intorno a ciò che ci sembra inesistente. Tutte quelle civiltà erano sacre, compreso il Medioevo: soltanto la nostra è profana. Tutte quelle civiltà affermavano che dietro la realtà corporea ve n’è un’altra, più importante, animata da forze e da potenze, da anime e da Divinità. Furono dunque dei pazzi i costruttori della Grande Muraglia, del Tempio di Boro Budur, delle Piramidi, dell’Acropoli, del Colosseo e di San Pietro? Furono dunque dei pazzi Mosè, Budda, Pitagora, Platone, Maometto, Francesco e Gesù? Se noi siamo savi, dobbiamo dire che i più grandi popoli e i più grandi uomini dell’umanità furono tutti pazzi. Ma dirlo non sarebbe una pazzia?

Forse non vi sono né pazzi né savi, ma esistono due dimensioni del reale, l’una sottile che si raggiunge con la sola anima, l’altra pesante, che si raggiunge con i soli senti. Per l’una il morto è vivo, per l’altra è morto”.

Piero Scanziani

*Il testo è tratto da: Piero Scanziani, “Avventura dell’uomo”, Elvetica Edizioni, 200

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