19 Aprile 2021

Go East! Philip Roth, Praga e i servizi segreti

La mattina del 26 aprile 1973 agenti in borghese della polizia segreta cecoslovacca (la StB) seguivano “uno sconosciuto di circa 40 anni, alto un metro e 75 cm, snello, viso allungato, capelli neri e radi, occhiali… con una mappa di Praga in mano…”. L’uomo fu pedinato per tutta la mattina. Verso le 11.35 uscì da una mostra di arte ‘socialista’, indugiò un poco, prese qualche appunto, si diresse verso il Castello. Gli agenti scoprirono più tardi l’identità dell’uomo. Era lo scrittore americano Philip Roth, soggiornava allo Yalta Hotel di Praga con una compagna di nome Barbara Sproul.

L’StB aprì un fascicolo su Philip Roth dacché aveva incontrato “persone importanti in Cecoslovacchia, che nel 1968 hanno partecipato attivamente all’azione strisciante e opportunistica della destra contro la Repubblica Socialista Cecoslovacca”. Roth era segnalato come un possibile “sostenitore del sionismo internazionale”. Dato che Roth era a Praga con un visto turistico, al caso fu assegnato il nome “Turista” e lui ribattezzato “Il turista”. Le “persone importanti” cui alludeva il rapporto erano Ivan Klíma, Milan Kundera, Ludvik Vaculik, Stanislav Budin, le cui opere furono soppresse nell’era di insidiosa banalità conosciuta come ‘Normalizzazione’. Gli incontri di Roth con questi scrittori si svolgevano spesso in appartamenti oscuri, periferici, anonimi: era stato un informatore, infiltrato nella cerchia di Budin, noto come “Agente Jan”, ad allertare la polizia segreta in merito agli spostamenti di Roth.

La prima visita di Roth in Cecoslovacchia era avvenuta nel 1972. Lui e la Sproul stavano facendo un viaggio in Europa centrale, volevano passare per Praga, la città di Franz Kafka. Mentre era lì, Roth incontrò i redattori di una casa editrice cecoslovacca. Finita la riunione, una giovane donna lì presente prese da parte Roth e gli disse che quelli che aveva appena incontrato erano tutti ossequiosi lacchè di partito, installati nell’industria editoriale dopo i fatti del 1968, quando la stampa libera del paese era stata abolita. Fu così che Roth imparò qualcosa sullo stato della letteratura in Urss e nei paesi sotto l’orbita sovietica, e iniziò ad aiutare gli scrittori imprigionati oltre la cortina di ferro.

I romanzi di Roth scritti in quel periodo, The Breast (1972), The Professor of Desire (1977), sono ossessionati dalla figura di Kafka. Klíma aveva detto a Roth che Kafka era inviso al regime comunista, non solo per le critiche al potere e alla burocrazia che trasudano dai suoi romanzi, ma soprattutto perché la sua opera è quella di un’anima che rifiuta di essere colonizzata. Nel 1963 Kafka diventò effettivamente il collettore dell’attività intellettuale sovversiva: l’Unione degli scrittori cecoslovacchi organizzò un congresso in cui si discusse del suo lavoro, bandito come “anti-realismo decadente” negli anni Cinquanta. Nell’estate del 1967, un gruppo di autori (tra cui Kundera, Klíma e Vaculik) si incontrò di nuovo a Praga, criticando la dottrina del Partito comunista e chiedendo la fine di ogni censura. In quel periodo, fiorì una intensa attività artistica e intellettuale: uscì Al fuoco, pompieri! di Miloš Forman, fu pubblicato Lo scherzo di Milan Kundera, Memorandum – una grottesca satira sulla burocrazia comunista – di Václav Havel riempiva le sale dei teatri. Nel gennaio successivo, il riformista Alexander Dubček salì al potere dando vita a un “socialismo dal volto umano”. Lo sforzo fu rapidamente soppresso nell’estate del 1968, con l’invasione delle truppe sovietiche del Patto di Varsavia: le strade di Praga furono invase dai militari, Dubček fu tradotto a Mosca e costretto a rivedere le sue iniziative. Seguì un’epoca monotona, ignorante e intransigente: in questo grigiore giunse Philip Roth.

Gran parte del tempo in Cecoslovacchia, Roth lo passò con Klíma, il suo “istruttore di realtà”. Nato in una famiglia ebrea, lui e i suoi genitori erano stati inviati a Theresienstadt (un campo di concentramento che i Nazisti avevano presentato come una specie di rifugio con recinto per gli ebrei d’Europa); da adolescente aveva assistito al colpo di stato del partito comunista del 1948; da adulto vedeva la propria libertà di espressione ostacolata dalle autorità. Come umiliazione ulteriore, gli artisti e gli intellettuali erano relegati a lavori umili, diversi: spazzini, fattorini, magazzinieri, custodi di remoti musei obbligati a fare mostre di arte russa. Il disprezzo di Roth era viscerale, verboso. “Prevalgono i soliti riti del degrado: il disancoraggio dalla propria identità personale, la soppressione dell’individuo, la paura… L’inatteso è la norma, l’ansia è il risultato. La rabbia ha una monotonia bruciante… il delirio maniacale di essere ammanettati… sorbisci tirannia insieme al caffè. La spietata macchina traumatica del totalitarismo sfoggia il peggio del suo armamento”. Klíma portò Roth in giro, a vedere “i chioschi all’angolo delle strade dove gli scrittori vendevano sigarette, gli edifici pubblici dove pulivano i pavimenti, i cantieri dove maneggiavano mattoni; in periferia, intorno all’acquedotto comunale, sgattaiolavano in tuta e stivali, con una chiave inglese in una tasca e un libro nell’altra”. Roth incontrava questi scrittori di nascosto, nell’appartamento di Klíma. “Era vietato pubblicare, insegnare, viaggiare, guidare un’auto, scegliere come guadagnarsi da vivere”…

Per contrastare in qualche modo questo sistema, nel 1975 Philip Roth aiutò la Penguin a lanciare una collana sugli “Scrittori dell’altra Europa”, che ha pubblicato 17 titoli, principalmente di autori cechi e polacchi, fino al 1989. I primi due titoli furono un romanzo di Vaculik, The Guinea Pigs e Amori ridicoli di Kundera. Secondo Roth, l’obbiettivo era quello di “pubblicare opere di narrativa di grandi scrittori dell’Europa orientale che, sebbene riconosciute come straordinarie nella loro cultura sono pressoché ignote in America”.

Kundera, che si era trasferito in Francia quell’anno, aveva quietamente dissentito con la didascalia scelta da Roth, “l’altra Europa”, che fondeva, a suo dire, la tradizione intellettuale della Mitteleuropa con gli stati influenzati dalla Russia. Kundera credeva che Roth stesse inconsapevolmente rafforzando i propositi dell’Unione sovietica di dividere in due l’Europa, supportando, inoltre, la nozione americana dell’esistenza di “due mondi”.

Martin Amis, una volta, aveva detto che soltanto gli scrittori che vivono sotto un totalitarismo “sanno di che pasta sono fatti”. Sebbene Roth non abbia mai vissuto sotto un totalitarismo, costruì rapporti con uomini che lo hanno combattuto. Kundera optò per una vita solitaria, scrivendo in francese; Klíma e Vaculik continuarono a far circolare illegalmente i propri romanzi (spesso copiati a mano, o su macchine da scrivere improvvisate); Havel entrava e usciva di prigione. Roth restò in contatto con Klíma e Kundera e continuò a fare viaggi in Cecoslovacchia per tutti gli anni Settanta. “Ero seguito per la maggior parte del tempo da un agente in borghese… la mia camera d’albergo era spiata, così come il telefono”.

La sua ultima visita si concluse con un arresto da parte del StB: “accadde nel 1977, mentre stavo andando a vedere una ridicola mostra di arte socialista. Fui arrestato dalla polizia. L’incidente fu clamoroso, e il giorno dopo dovetti lasciare il paese”. Le richieste di visto da parte di Roth nei successivi dodici anni furono respinte: riuscì a tornare a Praga soltanto nel febbraio del 1990. In quel contesto, contattò Klíma: parlarono a lungo di come la letteratura opera sotto un regime, del ruolo di “salvagente” che ha in comunità politiche libere o coercitive. Roth negò la cosiddetta “musa della censura”, le fantasie romantiche che agitavano gli scrittori del mondo libero: invidiavano i governi che prendevano sul serio la letteratura tanto da censurarla, e desideravano con ardore che i loro libri fossero sigillati dal samizdat. Roth mise in guardia Klíma sui pericoli della cultura di massa, banale e commerciale dell’Europa ‘libera’. Le catene di un sistema autoritario sono ovvie, quelle di una società dominata dal libero mercato sono più infide e sottili: l’autore vive sotto la tirannia degli interessi monetari, del filisteismo, dell’opinione pubblica e del “buon gusto”. Roth conosceva bene le pressioni che doveva affrontare “l’uomo ricco di libertà”. “Hai combattuto per qualcosa da così tanti anni, qualcosa di cui hai bisogno come l’aria: ora ti dico che l’aria per cui hai combattuto è un po’ avvelenata”. Klíma ricordò a Roth che la Cecoslovacchia, quel piccolo ponte tra Europa orientale e occidentale, era stata sempre sotto un impero straniero, e sempre aveva resistito.

Nel 1990 sembrava davvero che la letteratura avesse vinto. Gli scrittori che nel 1963 avevano partecipato alla conferenza su Kafka e avevano firmato la dissidente “Carta 77”, si trovarono in Forum Civico; molti dei suoi membri furono eletti dopo la “Rivoluzione di velluto”. Vaclav Havel divenne il presidente-filosofo, Jaroslav Korán (uno scrittore che aveva tradotto in ceco Henry Miller e Charles Bukowski) fu eletto sindaco di Praga. Mai così tanti scrittori si sono trovati nelle sale del potere. Nel corso di questo viaggio, Klíma condusse Roth davanti alle bancarelle: ora i libri di Kafka erano disponibili, gratuiti.

Jared Marcel Pollen

*L’articolo è pubblicato su “Tablet” come “The Tourist. Philip Roth’s Czech KGB file”. Qui se ne traduce una parte  

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