03 Maggio 2019

Muore Chewbecca. Ovvero, storia minima di Peter Mayhew, il gigante gentile che sacrificò il suo viso (e la sua vanità) per dare vita al mito di “Star Wars”

Ci sono storie che fanno la storia. Il ruolo doveva andare a David Prowse, ma lo scultoreo ex sollevatore di pesi inglese era un narciso. Alto due metri, un ruolo di passaggio in Arancia meccanica, aveva già lavorato pure per Terry Gilliam. No. A lui, che aveva quarant’anni suonati, andava di fare la parte più grande, più granitica, tenebrosa, quella capitale. Di interpretare un mostro peloso che fa grugniti tutto il tempo non andava, a Prowse. Così, per il primo ciclo della trilogia, fu lui Dart Fener.

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Peter funzionava meglio. George Lucas lo capì subito. Era più giovane, era più alto (2 metri e 20), era sostanzialmente privo di curriculum, aveva due occhi azzurri abbacinanti. Era gentile. Non alzava la voce. Eccellente. Fu così – dice la leggenda: alzandosi semplicemente dalla sedia, quando il direttore del casting fece il suo nome – che Peter Mayhew ottenne la parte. Da allora fu Chewbecca, il Wookiee – ergo: quel cagnolone in stazione eretta – fedele amico di Ian Solo, asso alla guida del Millennium Falcon, indimenticabile icona del ciclo di “Star Wars”, successo sfrenato tra i fan della saga.

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Peter Mayhew è morto il 30 aprile, la notizia è stata divulgata ieri, e a me sorprendono due cose. Primo. La sua carriera è interamente legata alla saga stellare. In tutti i film del ciclo originario, Chewbecca è lui. Negli ultimissimi (Star Wars: The Last Jedi e Solo: A Star Wars Story) si scambia con Joonas Suotamo, ex cestista finlandese, svezzato al ruolo. L’altra cosa che mi affascina di questa storia è che Peter è una icona del cinema americano, eppure, ha prestato la sua identità intera a un altro. Non lo vediamo mai. Non sappiamo che faccia ha. Peter ha fatto a meno del suo viso (l’impronta digitale, miliare, di un attore) per far esistere Chewbecca. Si è fatto a lato, ha ingollato l’ego, chi lo conosce? Il suo compagno d’avventure – Harrison Ford – è una icona da poster. Lui, Peter, è per sempre un marziano bestione. Non sappiamo neanche – via film – che voce abbia. Restano i suoi occhi, quell’azzurro cinematico, bellissimo.

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“Un grande uomo con un grande cuore”, lo hanno detto i colleghi di “Star Wars”, esempio di come un film sia una comunità, di come la finzione, poi, evolve nel vero, nel mito. “Il più gentile tra i giganti, era un amico che ho amato teneramente, mi ha sempre fatto sorridere… sono un uomo migliore per il fatto di averlo conosciuto”, ha scritto Luke Skywalker (pardon, Mark Hamill)

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Questa idea di un uomo che perde se stesso – cioè, il papavero della vanità – per dare vita a un altro mi piace molto. Cosa non secondaria alla natura dell’articolo: il primo, piccolo ruolo di Peter, nel 1976, nel film fantasy di Sam Wanamaker, Sindbad and the Eye of the Tiger, fu quello del Minotauro. Peter fu Minotauro. Anche in quel caso, una bestia eretta, anche in quel caso, il viso celato da una maschera. Che cinematografica solitudine. (d.b.)

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