La vita degli scrittori russi è magnifica!
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A 140 anni dalla nascita del presbitero, matematico, teologo e filosofo russo Pavel Alexandrovic Florenskij (21 gennaio 1882 – 8 dicembre 1937) la sua opera trova sempre più spazio e considerazione tra gli studiosi e gli editori italiani: solo per citare le uscite degli ultimi mesi, segnaliamo la nuova edizione dello straordinario saggio sull’icona, Le porte regali, tradotta da Leonardo Marcello Pignataro per Adelphi, e la prima traduzione integrale, curata da Anna Maiorova, Andrea Oppo e Massimiliano Spano, de Gli immaginari in geometria, per Mimesis.
Per chi si avvicina a Florenskij, ai suoi scritti, lo stupore non è suscitato soltanto dall’incontro con una poderosa opera filosofica, teologica e scientifica, ma soprattutto con la sua esperienza di vita, con l’integrità luminosa della sua persona. In Florenskij la vita e l’opera, malgrado siano rimaste tragicamente incompiute (il regime sovietico, dopo che lui lo aveva servito con il suo lavoro, lo arrestò nel maggio del 1933 per poi fucilarlo nel 1937), costituiscono un’unità indissolubile, o come egli stesso ebbe a dire, un unico, fine tessuto i cui fili si annodano in motivi complessi e diversi. Ciò che più interpella di Florenskij, che nel 1911 si fece sacerdote della Chiesa ortodossa russa, prima ancora della vastità delle sue conoscenze, è la sua “opera” testimoniale, la sua fedeltà insopprimibile alla verità pagata con il sangue. Chi ha letto gli atti del processo ordito conto di lui (resi noti alla famiglia solo nel 1990) resta sconcertato non solo per la menzogna e la barbarie messe in atto dal governo dei Soviet nei confronti di una delle personalità più illuminate della cultura russa, ma soprattutto per l’emergere del nitido profilo di martire, fino al sacrificio di sé per la liberazione di altri compagni di cella. Tuttavia, come ci ricordano le ultime Lettere dal gulag, dalle isole Solovki, la sorte di questo dono per il mondo è paradossalmente il disprezzo e il negligente rifiuto: «È chiaro che il mondo è fatto in modo che non gli si possa donare nulla se non pagandolo con sofferenza e persecuzione. E tanto più disinteressato è il dono, tanto più crudeli saranno le persecuzioni e atroci le sofferenze (…). Per il proprio dono, la grandezza, bisogna pagare con il sangue» (13.2.1937).
Anche se in più di un’occasione, in forma disorganica, spesso frammentaria, e con traduzioni e curatele non sempre all’altezza, in Italia risultano ormai edita gran parte delle opere più importanti di Florenskij. Sono le riflessioni maturate da Florenskij sull’arte cristiana e sull’icona (vedi Iconosotasi. Saggio sull’icona, Lo spazio e il tempo nell’arte, La colonna e il fondamento della verità), come pure più in generale quelle sulla filosofia dell’arte e sulle avanguardie, a risultare quanto di più acuto e originale sia stato scritto sull’argomento. Per due motivi: la competenza scientifica (archeologica, estetica, semiotica, ma anche filosofica e di teoria fisica della spazialità) e la continua ricerca di una visione d’insieme dell’opera d’arte entro una Weltanschauung integrale della cultura. Tutto questo trova un suo compimento nel culto liturgico ortodosso, inteso da Florenskij come “sintesi delle arti”.
Per Florenskij «la fede definisce il culto e il culto la comprensione del mondo, dalla quale poi deriva la cultura». Il legame originario tra culto, memoria e simbolo è posto a fondamento del fenomeno originario della cultura, in quanto il cultus custodisce l’anima della cultura e infatti originariamente «la maggior parte delle culture (…) fu proprio la maturazione del seme della religione, l’albero di senape nato dal seme della fede».
Natalino Valentini e Ludomir Žak sono coloro che negli ultimi vent’anni più si sono prodigati per promuovere la conoscenza dell’opera di Florenskij. Ed è a loro che si deve anche la raccolta di testi del russo intitolata Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, tradotti da Rossella Zugan per San Paolo nel 2014, su cui vorrei soffermarmi. Una parte dei testi lì raccolti furono pubblicati per mano degli stessi curatori nel 1999 da Piemme. E tuttavia, insieme ad alcuni inediti (Il grido di sangue, Il tempio dello Spirito Santo, La forza di Dio, Questo sangue non è stato versato invano e Il cammino terrestre della Madre di Dio) il libro presenta scritti brevi e asistematici, ma richiamanti tutto lo spessore del tentativo sempre estremo, mai banale, di trovare le parole per raccontare il “confine”, la “mistica del confine”. Così La gioia eterna, un sermone pronunciato da Florenskij durante la Divina Liturgia del 7 gennaio 1907 nel villaggio di Tolpygin, che dà ragione del titolo scelto per il libro: “Noi rappresentiamo i Cherubini”, scrive il russo, “ciò significa che in ciascuno di noi c’è qualcosa di somigliante all’angelo divino dai molti occhi, come la coscienza. Ma questa somiglianza non è esteriore, né apparente. Non è palese, non è corporale; non è come la somiglianza dell’uomo con il suo ritratto. La somiglianza con il Cherubino è interiore, misteriosa e nascosta nel profondo dell’anima. È una somiglianza spirituale”. È il “cuore cherubico” che abita l’anima di ogni uomo. Ed è il “cuore” l’organo della visione mistica, lo strumento attraverso cui fare esperienza della realtà di confine, cogliere “momenti (per quanto brevi, ridotti a volte addirittura a un solo istante) in cui i due mondi [quello visibile e quello invisibile] si toccano”, così ha scritto Florenskij in un testo fondamentale, Iconostasi.
In un altro scritto breve, Sulla collina Makovec, che è parte di una lettera scritta nel 1913 a Vasilij V. Rozanov (ma concepita come prefazione ad un testo filosofico) Florenskij indaga la “mistica di confine”, ma in relazione alla luce: “Esiste una mistica della notte e una mistica del giorno; ma esiste anche una mistica della sera e del mattino”. Luce crescente e luce decrescente: “Questi due misteri, queste due luci sono i confini della vita. La morte e la nascita si intrecciano e si intessono una con l’altra”, scrive il russo. “Questi due misteri, il mistero della sera e il mistero del mattino, sono i confini del Tempo”. E in quella grande narrazione del mondo che è la Bibbia, ricorda Florenskij, “dal libro della Genesi fino all’Apocalisse, si svolge la storia cosmica, dalla sera del mondo fino al suo mattino”. Il cielo e la terra infatti furono creati verso sera. “Colui che è eterno”, aggiunge il russo, “si manifestò alle genti quando soffiava il tiepido vento serotino. Non c’era dolore, né tormento, né pianto”. E così sarà quando con l’Apocalisse avverrà la distruzione e la rovina del mondo: “Di nuovo gioia ed esultanza”, scrive con lingua visionaria Florenskij, “di nuovo né dolore, né pianto. Di nuovo non c’è la morte. Di nuovo un banchetto nuziale. Ma questa non è più la sera, ma il mattino della Luce eterna che sopraggiunge. Gesù stella luminosa del Mattino. […] La Bibbia comincia con l’Eden e con l’Eden finisce, poiché l’Angelo dell’Apocalisse è la gioia dell’Eden. Con le nozze comincia e con le nozze termina. Inizia con lo Spirito e con lo Spirito termina”.
Vito Punzi