Siamo negli anni d’oro, della celebrità fiammante. Paul Valéry ha già scritto le opere memorabili – Le Jeune Parque, Le Cimetière marin, Charmes, Monsieur Teste –, raccatta onori. La sua fama è statuaria, condivisa con interlocutori alati (Henri Bergson, Albert Einstein, Louis de Broglie). Nel 1924 era diventato presidente del PEN francese; nel 1931 era stato eletto comandante della Legion d’Onore. Nominato per 27 volte, tuttavia, fallì sempre il Nobel per la letteratura; rischiò di vincerlo nel 1930 (spinto da Bergson e Poincaré, tra gli altri): gli fu preferito lo statunitense Sinclair Lewis (oggi per lo più dimenticato). Nel 1936 raccolse diverse preferenze, ma il premio andò a un altro americano, Eugene O’Neill. Quell’anno, Paul Valéry era ad Algeri, stava preparando una conferenza dal titolo “Impression de Méditerranéen”, e prende ad appuntare su un taccuino i paragrafi che costituiscono Les principes d’an-archie pure et appliquée. Gli appunti, di livida potenza, cardinali, dimostrano, tra le altre cose, che Valéry disprezzava gli onori – o forse che amava riceverli per disprezzarli. Il testo, recluso in 184 fogli, concluso nel settembre del 1938, l’anno della crisi cecoslovacca e della bestiale Conferenza di Monaco (dove partecipò, come alto membro dello stato francese, un altro poeta, Saint-John Perse, unico a opporsi alle sibilline strategie di Hitler), viene pubblicato la prima volta nel 1984, da Gallimard. In Italia è stato tradotto nel 1990 da Guerini e Associati (a cura di Renata Gorgani), e ripreso da Ortica nel 2019 (a cura di Matteo Pinna); qui, per l’invernale necessità del momento, si propongono alcune pagine, in nuova traduzione.
La cupa ironia di Valéry taccia ogni forma di potere che ragiona per astrazioni – cioè che fa leva sul ‘bene di tutti’, sul ‘popolo’, sulla ‘volontà popolare’, sulla ‘storia’ – come inaccettabile, ingiusto, vile. Il potere è coercitivo di per sé: annette le differenze per annientarle, distrugge la creatività individuale e le identità regionali per i fini di pochi; agisce con la forza del ricatto e assoldando orde di legislatori e di giudici: ciò che ‘dice la legge’ è ciò che dice chi ha scritto le leggi. Ogni forma di potere che fa leva sulla ‘ragione’, sulla ‘ragionevolezza’, sul ‘rispetto delle norme’, infine, è complice di una stortura: allontana dal dato primo, dalle origini, dal nitore evidente degli alberi, stermina “gli uccelli dal linguaggio”. A una vita consuetudinaria, china all’obbedire, consegue così un linguaggio burocratico, che accetta le ‘stranezze’ e le avanguardie come puro gioco, un tarlo da espiare, affinità col diletto, addomesticando il verbo, liquidandone il senso e ancor più il rischio. Il fatto che questi siano appunti sparsi, tra rapina e rabbia – come la più vasta opera di Valéry –, dimostra un’anarchia sovrapposta: quella di chi si aggira col taccuino in mano, senza altro intento che saggiare i sommovimenti del creato e i moti del proprio pensiero, altro dal mercato, dal pubblico, dalla gestazione di una carriera, estremista, semmai, di un vagabondaggio senza utili, dunque, da re. Anche le sgrammaticature, le sbavature, le dimenticanze sono nobili.
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I principi d’an-archia pura e applicata
Luminosamente venuti a mente mentre il corpo è a bagno ad Algeri, lamentosamente un cane grida e i bambini ridono nel giardino gonfio di palme molli e chiuso da pini oscuri fino alla cresta.
A Mustapha, il 23 aprile 1936, alle 10 del mattino.
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Decido di scrivere sul retro perché il cane è insopportabile, a volte si lamenta, a volte abbaia, non permette che idee rotte e lo scannerei volentieri se potessi, se credessi davvero che il suo pianto si arrendesse ai miei pensieri?
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Dobbiamo porre fine al dogma fatale della sovranità e sostenere il qualsiasi contro gli idoli che dovrebbero essere nient’altro che strumenti di scambio eguale.
Nulla è sacro di per sé.
Nulla è dovuto ad alcuno se non nella misura in cui da questi si è ricevuto.
La tassa è il contributo di ciascuno alla spesa pubblica nella misura in cui ciascuno è servito dalla cosa pubblica.
Nulla deve essere creduto né seguito a causa della sua posizione, della sua potenza fittizia.
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La superiorità è connotata dall’ineguaglianza dello scambio.
Dò poco e ne ricevo molto. Mi basta dire per far agire.
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Ricco è l’uomo a cui tutti i poveri donano un soldo.
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Libertà
Bisogna guardarsi da chi parla a un megafono; da chi insulta e apostrofa; da chi fa discorsi che sono discorsi di potenze più grandi dell’uomo; di chi dà voce alle cose fittizie, il Popolo, la Storia, gli dèi e gli idoli; da chi fa la tratta degli altri, e li considera e ne ragiona come fossero parte dei loro giudizi, dei loro progetti;
che fanno agire, pagare, combattere;
che stipulano per gli altri;
che pretendono di conoscere meglio degli altri i loro interessi e i loro bisogni.
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Ogni mistico è un vaso d’anarchia.
Davanti a Dio considerato nel segreto di sé, e come un segreto a sé, nulla tiene.
Ogni potere è spregevole.
Tuttavia, cos’è Dio e cos’è il potere?
L’uno, è il più forte in assoluto (per definizione).
L’altro, il più forte ma pragmaticamente.
Pascal è il tipo dell’anarchico ed è ciò che di meglio si trova in lui.
“Anarchico” è chi vede ciò che vede e non ciò che la consuetudine ci fa vedere.
E ci ragiona sopra.
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Libertà
An-archia è il tentativo di ciascuno di rifiutare ogni sottomissione alle ingiunzioni che si fondano sull’inverificabile.
L’individuo distingue l’individuo nella norma o nella dottrina che si vuole egli adotti e che si riveste di termini di cui nessun individuo è capace.
“Sii sicuro di ciò che ti assicuro e di cui non sono sicuro, e non posso esserlo”.
“Fai, obbedisci per il bene di tutti che è l’idea che ne ho, io”.
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I re di Francia hanno fatto la “Francia”. È la loro creazione artificiale.
Più si è affermato, annunciato e perfetto, il loro potere, meno è stata possibile la creazione individuale.
Non si è vista la formazione di diversi centri di ricchezza, libertà, produzione originale, come nelle Fiandre, sul Reno, in Italia.
Hanno abolito le municipalità del Midi, i grandi signori; le lingue diverse; le forme naturali dell’esistere;
Tutto da loro e per loro.
Il potere non aveva che una testa, tranciata di colpo.
La “democrazia” è opera loro.
Come una nave troppo grande. Si rovescia e il basso diventa alto.
Assemblarono terre e uomini, con la forza e i vantaggi dell’ordine imposto;
Hanno usato legislatori e giuristi, le scritture, gente generosamente vile, per abbattere tutto ciò che spiccava, eletto.
Raffinarono così la loro opera ammirevole,
Unità e autorità;
La bellezza di una piramide.
I Francesi hanno perso la natura;
creando un mondo astratto, un nitore, una volontà.
Non più uccelli nel linguaggio, e gli alberi obbedirono all’architetto, e l’architetto alla ragione. Da Cartesio a Robespierre.
Accadde che il potere raccolto in un solo uomo, e in qualche altro, in un palazzo e pochi altri edifici, fu soffiato in un colpo.
Ci fu la Rivoluzione, che figliò figlie lungo i XX anni nel corso del secolo.
La Rivoluzione fu perché fu possibile. Essa fu possibile e immaginabile, e perfino facile, perché tutto era estremamente ordinato, a tal punto che in qualche ora, catturati alcuni uomini e invasi alcuni palazzi, tutto un grande regno fu preso e un potere sostituito. Quest’ordine fu opera di tre regni e di Richelieu+Luigi XIV.
Paul Valéry