
“Non voglio continuare a vivere così”. Christian Kracht, uno scrittore di culto
Letterature
Edoardo Pisani
Poeta, sceneggiatore per il cinema (Smoke, Blue in the Face, Lulu on the Bridge), traduttore dal francese (Mallarmé, Maurice Blanchot, Jacques Dupin), saggista, autore di libri autobiografici (L’invenzione della solitudine, Il taccuino rosso, Diario d’inverno, Notizie dall’interno); promotore di progetti editoriali come l’edizione delle opere complete di Samuel Beckett; protagonista di un lucido carteggio con J. M. Coetzee (Qui e ora); Paul Auster (New Jersey, 74 anni) è soprattutto romanziere. Autore di oltre quindici romanzi tra cui Trilogia di New York, Leviatano, Moon Palace, Nel paese delle ultime cose, La musica del caso, Il libro delle illusioni, La notte dell’oracolo e 4 3 2 1, l’opera di Auster è tradotta in una quarantina di lingue. La sua prosa è intrisa di una magia contagiosa, come dimostra il libro più recente Burning Boy. The Life and Work of Stephen Crane, un approccio del tutto originale alla vita e all’opera del poliedrico scrittore (1871-1900) che secondo Auster ha cambiato il corso della letteratura nel suo paese prima di soccombere alla tubercolosi a soli 28 anni.
Insomma, perché Crane?
L’ho letto da giovane, mi piacque molto, non l’ho preso in mano per molti anni. Quando ho terminato 4 3 2 1 ero totalmente esaurito. Dopo un periodo di assoluta abnegazione alla scrittura, sette giorni su sette, ero consapevole che sarebbe stato del tutto impossibile scrivere qualcosa in poco tempo, così mi sono dedicato a leggere libri che mi avevano interessato da tempo ma ai quali per un motivo o per un altro non ero mai riuscito ad avvicinarmi come Middlemarch di George Eliot o Al faro di Virginia Woolf. Stephen Crane era nella lista. Avevo un’antologia di 500 pagine. La aprii a caso e mi imbattei nel racconto Il mostro, di cui non avevo mai sentito parlare. La lettura mi ha sconvolto. Ho divorato il resto dell’antologia, sono andato a comprarmi un’edizione di 1.400 pagine delle opere scelte. Mi sembrarono così affascinanti che lessi dall’inizio alla fine i 10 volumi delle sue opere complete: narrativa, giornalismo, poesia, racconti brevi, tutto. Entusiasta, mi misi a esplorare la sua vita, piena di episodi appassionanti. Mi sono deciso quindi a scrivere un libro su di lui di 200 pagine più o meno: alla fine ne sono uscite 800.
Soddisfatto?
Moltissimo. La cosa curiosa è che non so perché mi sono messo a scrivere questo libro. Non ho mai scritto nulla di simile nella mia vita. E l’unica cosa che mi veniva in mente era che, in modo piuttosto strano, Crane era il seguito del mio ultimo romanzo, 4 3 2 1, la versione numero cinque della vita del protagonista, Ferguson.
Burning Boy. The Life and Work of Stephen Crane è un libro difficile da classificare. Non è narrativa ma si legge come se fosse un altro romanzo di Paul Auster.
L’energia emozionale e intellettuale che vi ho messo è la stessa che profondo quando scrivo un romanzo. Non è una biografia, né un’opera di critica letteraria, genere che detesto. Crane è una figura enigmatica. La sua personalità ha sfaccettature contradditorie, tutte affascinanti. Mi sono reso conto che se volevo capirlo veramente, dovevo filtrarlo attraverso il vaglio dell’immaginazione. È stato un processo molto simile a quello che intraprendo quando creo per un romanzo un personaggio complesso. A mano a mano che approfondisco, diventa sempre più accessibile.
Cosa le interessa del Crane scrittore?
Ha cambiato le regole del gioco. Ha elevato l’arte di narrare, portandola su un altro piano. Ha liberato il romanzo statunitense dalle convenzioni che lo tenevano soggiogato da 150 anni. Il segno rosso del coraggio, per esempio. È un romanzo di guerra ma è stato scritto in un modo in cui non si era mai scritto prima: trasmette le sensazioni di un ragazzo di 16 o 17 anni che si vede coinvolto in una situazione che non capisce. Crane riesce a tradurre le sue percezioni in un linguaggio crudo ma pieno di vita. E il ritratto della povertà che presenta in Maggie, ragazza di strada ci sbalordisce se teniamo conto che quando ha scritto quel romanzo aveva poco più di 20 anni.
Il suo libro comincia parlando di geni precoci come Mozart, Glenn Gould, Bobby Fischer… Nel caso di Crane occorre aggiungere un dettaglio: è morto molto giovane.
In letteratura non esistono geni precoci, non è possibile. Ci possono essere nella musica, nelle arti plastiche, negli scacchi, nella matematica ma non in letteratura perché per padroneggiare il linguaggio occorre che trascorra molto tempo.
Ciò che stupisce di Crane è che nonostante sia morto a 28 anni ha goduto dell’ammirazione di giganti come Joseph Conrad o Henry James…
James era un genio: non capì che Crane era il futuro della letteratura. Crane ebbe una grandissima influenza su Conrad. Poco tempo fa ho letto un articolo piuttosto brillante in cui si indaga l’impatto di Crane su Lord Jim, il capolavoro di Conrad. Secondo questo articolo, il personaggio di Lord Jim è ispirato in parte alla figura di Crane.
Nel suo libro afferma che l’immenso valore letterario di Stephen Crane poggia su cinque o sei opere molto brevi.
La sua reputazione si basa su Il segno rosso del coraggio e Maggie, ragazza di strada, i due romanzi per cui è conosciuto. Sono i suoi capolavori… ma a me ciò che ha più colpito sono i testi brevi, in special modo i racconti di una trentina di pagine come La scialuppa e L’hotel azzurro.
Mi dica di più.
La scialuppa rispecchia un’esperienza reale vissuta da Crane: riuscì a sopravvivere a un naufragio al largo delle coste della Florida mentre si dirigeva verso Cuba da giornalista. È la cronaca del giorno e mezzo che trascorre in alto mare assieme al capitano e a due membri dell’equipaggio, tentando di raggiungere la costa. La solidarietà tra i quattro uomini che erano sulla scialuppa gli fa capire che nel mondo regna il non senso. Non c’è un dio che possa controllare tutto, non c’è nessun’altra forza se non quella della natura che è totalmente indifferente nei confronti della sorte dell’umanità. In questo contesto, l’unica cosa che dà senso all’esistenza è la solidarietà.
E L’hotel azzurro?
Lo ha scritto un anno dopo e va addirittura oltre. È una storia enigmatica, un racconto raccapricciante nel quale in nessun momento si sa con esattezza cosa succeda né perché. Ha luogo in un paesaggio onirico del Nebraska. In mezzo a una prateria si staglia un hotel azzurro in cui restano intrappolati alcuni uomini che giocano a poker in attesa che la tempesta di vento e neve si plachi. Alla fine, si verifica un omicidio dalle circostanze inspiegabili. Viene assassinato il protagonista, lo svedese, che è mezzo pazzo. Uno dei personaggi, l’alter ego di Crane, cerca di capire cosa sia successo e parla con un altro giocatore, un cow boy. Crane si accosta agli aspetti più sordidi del comportamento umano a soli 26 anni.
Cosa dobbiamo aspettarci da Paul Auster dopo questo libro?
Ho deciso di tornare alla narrativa. Sto scrivendo dei racconti.
È molto diverso dallo scrivere romanzi?
Me lo chieda tra un anno.
Eduardo Lago