21 Dicembre 2021

“Un abbraccio dal tuo Pasolini”. Le lettere di PPP a Cesare Padovani, un diverso

L’anno pasoliniano, è certo, ci regalerà rari libri indimenticabili, diverse sciocchezze, molte chiacchiere. Il tentativo di tradurre lo scandalo in santo, l’inarginabile in norma avrà pieno successo: da tempo Pier Paolo Pasolini è canone, viene citato dai più intrepidi interlocutori (degna sorte, finire su labbra impure). Garzanti ha cominciato a festeggiare il secolo Pasolini – PPP nasce il 5 marzo del ’22 a Bologna – raccogliendo in tomi economici I grandi romanzi, I grandi interventi civili, Le grandi poesie. Opera pia, al netto dell’aggettivo: che vuol dire grandi?, chi giudica l’entità della grandezza?, s’intende una grandezza spaziale (numero di pagine), estetica, morale, spirituale? Il libro davvero importante, però, è la raccolta delle Lettere: 1500 e passa pagine, a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini a completare il lavoro – introvabile da tempo – pubblicato nel 1986 da Einaudi, in due volumi (a cura del solo Naldini). Ne hanno parlato tutti, citando diversi, importanti amici epistolari di Pasolini: Luciano Anceschi, Franco Fortini, Giuseppe Ungaretti, Gianfranco Contini, Elsa Morante, Attilio Bertolucci, Leonardo Sciascia…

Nella mastodontica raccolta, tuttavia, sono le lettere di Pasolini a Cesare Padovani più che ai papaveri della cultura a svelare l’indole dello scrittore, la furiosa vitalità. Doveva ancora compiere 15 anni, Padovani, veneto di Nogara, quando la rivista “Oggi” gli dedica un articolo, “alquanto patetico, a dire il vero, e un po’ umiliante per te” (Pasolini), esaltandolo. Padovani è un giovane spastico – a causa di una lesione cerebrale provocata alla nascita, dal forcipe – che scrive poesie in dialetto. È il diverso di genio, preda di rimbaudiana precocità. Pasolini ha da poco pubblicato, con Guanda, l’epocale antologia sulla Poesia dialettale del Novecento, si è trasferito a Roma, sta elaborando Ragazzi di vita, e il 16 maggio del 1953, irrompe nella vita di Padovani, con l’enfasi del maestro: “Tu cerca di essere inattaccabile… sii geloso di quello che fai, abbine assoluto pudore…”. Pasolini riconosce in sé i tratti del diverso, del mostro; semmai rivela nella poesia la natura terribile dell’alterità atra: il poeta in sé è handicappato al mondo, spastico, spergiusto, spostato. La fratellanza tra l’uomo Pasolini e il ragazzino disabile sta nella dedica a Tal còur di un frut, stampato proprio nel ’53 dalle Edizioni di Lingua Friulana di Tricesimo, placca di versi in dialetto inviata insieme alla lettera: “A Cesarino Padovani come a un antico me stesso miracolosamente nuovo, coi più affettuosi auguri…”. Da allora, per tutta la vita, Cesare Padovani sarà, per tutti, Cesarino; e darà nitore a quel patto – come a un antico me stesso – con fede abbacinante. Percorre gli studi classici, abbandona l’estro lirico per la prosa saggistica, spesso irriverente, come gli ha consigliato Pasolini (“credo di capire che in te prevarrà la vocazione critica su quella poetica”); sulla Poetica di Pier Paolo Pasolini discute la tesi, all’Università di Bologna, nel 1965, davanti a Luciano Anceschi e Renato Barilli. Naturalmente, Pasolini, che a un certo punto si dimentica quasi del suo allievo – il 21 ottobre del 1959 si rivolge a lui con l’inadempienza del lei e una improvvisa freddezza: “Caro Padovani… spero che in questi anni lei abbia lavorato bene…” –, non andrà ad ascoltare la discussione accademica di Cesarino, tuttavia “la tua tesi era molto bella”, gli scrive nel dicembre del ’65, “non mancherà occasione di parlarne”, e non ne parleranno mai, quello è l’ultimo biglietto di un rapporto epistolare decennale, perché Pasolini è rapace, entra in una vita, la benedice e la inaugura, la scombina e la vampirizza, poi va, preda di un delirare del desiderio. Non si vedranno mai, Pasolini e Padovani – d’altronde, che bisogno c’è di dare un volto a colui a cui hai dato la vita? –, Cesarino sarà segnato per sempre da quegli insegnamenti, dal morso di PPP. Licenziato Il Vangelo secondo Matteo, quell’anno Pasolini gira Uccellacci e uccellini, a volte inviava lettere dattiloscritte, altre di suo pugno; si rammaricava che Cesarino fosse cresciuto (“Ti ho lasciato ragazzo, e ti ritrovo giovane uomo…”, 21 febbraio 1964), forse credeva che la diversità coincidesse con un’infanzia perenne, perennemente al di là del mondo; non conservò le sue lettere.

Cesare Padovani (1938-2014) riceve la prima lettera da Pier Paolo Pasolini nel 1953; si scriveranno fino al 1965

Padovani era un uomo affamato, rude. Con l’energia di un’intelligenza anomala – sì, davvero anormale – era diventato docente di sociologia del linguaggio a Urbino, poi assistente presso la facoltà di Psicologia a Padova; ha collaborato alla nascita dell’Università degli Studi di San Marino. L’ho conosciuto a Rimini, dove si era trasferito da ragazzo, rendendo effervescente un clima culturale di per sé anomalo. Sfruttava la disabilità per permettersi ogni cosa: i suoi scritti, a volte magistrali, sputtanavano la pruderie dell’accademia italiana, toccavano ambiti altrimenti tabù, erano animati da una rabbia d’oro. S’incazzava e sbraitava, Padovani. I suoi libri, pionieristici, come La speranza handicappata (1974), Handicap e sesso (1978), Autobiograffiata (1983), Paflasmòs (2008), sono per lo più scomparsi, dimostrandone, dunque, lo scandalo permanente. Padovani godeva nel dare fastidio e nel dire ciò che non si deve – qualcuno, con enfasi, l’ha detto “l’ultimo dei sapienti” proprio per questo: i suoi guaiti mettevano il panico, la sua arguzia denudava l’interlocutore. Tutti erano diversi ai suoi occhi, lui, lo spastico, il solo normale. L’ho conosciuto nel 2014; era un uomo felicemente difficile. L’editore Guaraldi, astro delle anomalie, stava per pubblicare la sua ultima raccolta di racconti, intitolata Da uomo a uomo. Quando ho saputo del legame di Cesarino con Pasolini, ho voluto vedere gli autografi, ho convinto Padovani, come gesto testamentario e temerario, a pubblicare in appendice al libro tutte le lettere di PPP, nove. Così è stato; e in quella formula – come Carteggio con Pier Paolo Pasolini – sono state pubblicate nell’edizione Garzanti. Il libro è uscito nell’ottobre del 2014, Padovani sembrava felice, è morto poco aver ricevuto le prime copie.

**

Roma, 16 maggio 1953

Caro Cesarino,

scusa se intervengo così, sconosciuto e irrichiesto, nella tua vita, diciamo nella tua vita letteraria. Ho finito in questo momento di leggere (per caso, perché non leggo mai questa roba) un articolo che ti riguarda su “Oggi”: alquanto patetico, a dire il vero, e un po’ umiliante per te. Tu cerca di essere inattaccabile dal male di questa gente che per aumentare la tiratura di un giornale sarebbe capace di qualsiasi cosa, anche di fare (come nel tuo caso) degli indelicatissimi excursus in una vita interiore, approfittando del fatto ch’è la vita interiore di un ragazzo… Bada che la tua posizione è pericolosissima: non c’è niente di peggio di divenire subito della “merce”. Se tu dipingi e scrivi poesie sul serio, per una ragione profonda e non solo per consolarti delle tue disavventure fisiche (o magari, come dicono, per ragioni terapeutiche…), sii geloso di quello che fai, abbine un assoluto pudore: anche perché non sei che un ragazzo, e i tuoi disegni, le tue poesie non possono essere che il prodotto di un ragazzo. Eccettuati, ch’io sappia, Rimbaud e Mozart, tutti i ragazzi prodigio hanno avuto una mediocre riuscita, e io penso, appunto, che l’unico modo per preservartene è chiuderti in te stesso, e lavorare, ma lavorare sul serio.

Non era per dirti queste cose, però, che ti scritto: ho voluto mettermi in contatto con te solo perché ho visto nel famigerato articolo che scrivi delle poesie in dialetto. Ciò m’incuriosisce tremendamente. Devi sapere che anche io a diciotto anni ho cominciato a scrivere dei versi in dialetto (friulano) (ma anch’io avevo cominciato a scrivere versi prestissimo, a sette anni: la mia malattia non era fisica né nervosa, ma psicologica); ho poi continuato a lavorare cercando, oltre che esprimermi, di capirmi. Sono passati una dozzina d’anni e ora, laureato in lettere e insegnante (insegno a dei ragazzi come te) sono nel pieno del mio lavoro letterario. Te ne mando alcuni documenti: non posso mandarti una grossa “Antologia della poesia dialettale del ‘900”, uscita presso l’editore Guanda di Parma quest’anno, perché non ne ho più che una copia per me.

Tutte queste cose te le scrivo perché tu sappia regolarti sul mio conto, e mi risponda sinceramente: perché scrivi in dialetto? o se proprio il perché non lo sai (è un difficile atto critico il saperlo) perché ami il dialetto? Ti sarei molto grato se tu mi rispondessi e mi mandassi magari qualche saggio delle tue poesie dialettali, su cui io potrei darti un giudizio assolutamente privo delle sdolcinature giornalistiche che ti dicevo, e darti magari qualche consiglio di tecnica o di lettura.

Una stretta di mano dal tuo

Pier Paolo Pasolini

*

Roma, 11 gennaio 1955

Caro Cesare,

non meravigliarti e non prendertela per i miei lunghi silenzi, dovuti non a pigrizia, ma a accesso di lavoro. Verrà il momento in cui avrò un po’ di requie, e allora ti scriverò più a lungo: ma tu intanto, senza scoraggiarti, mandami qualcosa di tuo da leggere. Te ne parlerò poi con tutta chiarezza e sincerità. Intanto quello che soprattutto ti raccomando è di lavorare con assoluta modestia, quasi in segreto: sei tanto giovane, così incredibilmente giovane, non vorrei che prematuri successi ti viziassero.

Ricevi i più affettuosi saluti dal tuo

Pier Paolo Pasolini

 

 

Gruppo MAGOG