08 Marzo 2023

Il libro di Paolo Nori su Anna Achmatova non parla di Anna Achmatova (un inchino per Anna Achmatova)

Il libro di Paolo Nori su Anna Achmatova, Vi avverto che vivo per l’ultima volta. Noi e Anna Achmatova, stampato da Mondadori, non parla di Anna Achmatova. Per lo più, parla di Paolo Nori che, con tutto il rispetto, non è Anna Achmatova. In copertina, dunque, più che il profilo, magistrale, aristocratico, ipnotico, di Anna Achmatova dovevano mettere Paolo Nori vestito da Anna Achmatova. Oppure soltanto una fotografia di Paolo Nori. Sarebbe stato più onesto – non ho detto più bello.

Il libro di Paolo Nori su Anna Achmatova va bene per i fan di Paolo Nori. Leggendolo – uso la parola libro in vece di romanzo: il romanzo, davvero, è un’altra cosa, magari non più bella, ma più seria – ho imparato molte cose su Paolo Nori. Ad esempio:

*che Paolo Nori ha fatto sei libri con Alberto Rollo (“questo è il settimo”, p.73);

*che Paolo Nori chiama la moglie Togliatti e che si sono conosciuti “perché lei si stava per laureare in Storia dell’Unione Sovietica” etc. etc. (p.114 ss.);

*che Paolo Nori ha una figlia che chiama, pittorescamente, Battaglia: “quando aveva cinque anni” Battaglia andò dal babbo dicendogli “Io voglio fare la pittrice” (p.127);

*che Paolo Nori si è trasferito nel 1999 a Bologna, da Parma (p.139);

*che insieme a Nicola Borghesi, Paolo Nori porta in giro uno spettacolo dal titolo Se mi dicono di vestirmi da italiano non so come vestirmi (p.187);

*che a Paolo Nori piace Kurt Vonnegut tradotto da Luigi Brioschi (pp.130-133);

*che Paolo Nori ha cominciato “a scrivere dei romanzi nel 1996” (p.141);

*che Paolo Nori si è mollato con la moglie, Togliatti, nel 2005, ma sono tornati insieme nel 2014 (p.125).

Tra le tante altre cose futili che sappiamo su Paolo Nori dall’ultimo libro di Paolo Nori è che Paolo Nori ha la carta oro di Trenitalia (p.68), che la nonna di Paolo Nori si chiama Carmela, “era figlia di mezzadri”, la sedicesima di diciassette fratelli (p.8), che Paolo Nori ha visto un film di Jim Jarmusch “che si intitola Paterson” (p.11). Naturalmente, più volte, reiteratamente, nel corso del libro, Paolo Nori ci ricorda che ha scritto un altro libro su un altro grande scrittore russo, s’intitola Sanguina ancora, è dedicato a Dostoevskij, stampa sempre Mondadori: comprate gente!

Nel libro in cui Paolo Nori per parlare di sé usa il nome della grande poetessa russa Anna Achmatova – non bisogna mai prendere per il cu*o i grandi, cari estinti, soprattutto se, come A.A., discendono dal khan mongolo Akhmat, parere mio – compaiono, in un cammeo – pertinente, però – anche Jonny Depp e Amber Heard. Una delle cose più sciocche del libro, in un libro scioccamente dedicato ad Anna Achmatova, è a pagina 92: Paolo Nori – che con ogni evidenza disprezza la Achmatova – scrive che una frase di A.A. gli ha ricordato, per assonanza, una frase di “Alain Elkann, il padre di Lapo e John Elkann”. Naturalmente, a pagina 29, in favore di fan, Paolo Nori ricorda l’episodio per cui è ricordato: “la rettrice della Bicocca, in accordo con il prorettore della Bicocca, per evitare tensioni, soprattutto interne, ha deciso di non dare seguito ai miei seminari su Dostoevskij”. Ne è seguito il noto putiferio.

Ora, è ovvio: uno scrittore, anche se non se la sente di imbracciare il genere ‘romanzo biografico’, può parlare dei fatti suoi simulando di scrivere la biografia di uno più grande di lui. Probabilmente, essendo uno scrittore, deve farlo. Il problema è che Paolo Nori non è dotato dell’egotismo di un André Malraux o di un Henry de Montherlant, faccio per dire, o di un Curzio Malaparte, per stare a casa nostra, tanto meno della minima protervia verbale necessaria. Paolo Nori chiacchiera, fa le battute, a volte fa il finto tonto, finge di mantenere un profilo rasoterra; il suo libro non è cattivo – magari! – ma semplicemente scaltro, non è malizioso, insinuante, velenoso – magari! – ma banalmente furbo. Non è sublime – categoria legata alla Achmatova – ma mediocre.

Di fatto, il libro di Paolo Nori, oltre a parlare di Paolo Nori, parla del conflitto tra Ucraina e Russia. Lo fa con saggia equidistanza, dicendo cose buone & giuste, di buon senso: che non si può demonizzare la cultura russa, straordinaria, al contrario, occorre studiarla con più passione; che benché Putin sia brutto & cattivo chiedere a un direttore d’orchestra come Valerij Gergiev di “prendere posizione contro la Russia” per poter dirigere la Dama di picche di Čajkovskijalla Scala di Milano è “una cosa un po’ esagerata”; che noi non sappiamo quasi nulla dello ‘spirito russo’; e comunque “io non ho una visione precisa, di quel che succede in Russia, non sono un esperto” (p.214), così sono felici tutti.

A me viene il sospetto che Paolo Nori, per parlare di sé e della guerra in Ucraina, abbia usato Anna Achmatova perché Anna Achmatova è nata nei pressi di Odessa – “tutti mi considerano ucraina”, scriveva lei – ma che, educata a Carskoe Selo, sotto il magistero di Innokentij Annenskij, si sentiva una poetessa – anzi, “un poeta” – russo. Nel libro di Paolo Nori non c’è nulla che ricordi la nobile sprezzatura di Anna Achmatova, la donna che sapeva imporsi, vecchia d’anni e di tragedie, con la calligrafia del silenzio, come scrive Mario Luzi, che la incrocia al premia Etna-Taormina, nel dicembre del 1964:

“Quel mutismo trascendeva la sua persona e arrivava come il grido pietrificato di una storia tragica: la sua e quella del suo popolo e di tutta l’umanità straziata dall’arbitrio e dalla violenza di un’epoca fatale”.

Non c’è grazia, nel libro di Paolo Nori, che osa giocare coi morti, tenere in ostaggio gli spettri con bava di sale: non traluce la feroce gentilezza della Achmatova, la sua impeccabile crudeltà, bensì la sciatteria, il tono svaccato, falsamente fatalista. Non c’è amore, nel libro di Paolo Nori. Lo si capisce perfino da gravi errori storici (non emendati dai vari, variopinti editor Mondadori, ennesimo esempio di un libro che pare scritto in un paio di mesi). La fatidica telefonata tra Stalin e Boris Pasternak intorno alla sorte di Osip Mandel’štam, il grande poeta che morirà in un campo di prigionia presso Vladivostok, non “risale al 1933”, come scrive Paolo Nori (pp.208-211) ma al 1934. Non è una ca**ata, non è notizia che conoscono rari russisti: un utile resoconto della telefonata, accaduta alla fine del giugno del ’34, la trovate nel ‘Meridiano’ Mondadori – l’editore di Paolo Nori! – che raccoglie le Opere narrative di Boris Pasternak (p.LXIII). Meglio ancora, la leggete nel racconto che ne fa Nadežda Mandel’štam, la moglie del poeta, nel suo libro di memorie, recentemente ristampato dalle Edizioni Settecolori come Speranza contro speranza, nel capitolo “Le fonti del miracolo”, da pagina 246. Ecco, se il libro di Paolo Nori è inutile per capire lo ‘spirito russo’, quello di Nadežda Mandel’štam è necessario. È più bello, intendo, ha una forma severa, cupa, che non si dimentica.

Forse per via del mio amore verso Anna Achmatova e della mia curiosità verso quanto scrive Paolo Nori – buon traduttore dal russo, tra l’altro – mi aspettavo qualcosa da questo libro, così brutto. Come tutti i libri brutti, anche questo brutto libro ha qualche pagina bella; quella più bella ha un titolo, La via del disprezzo, è a pagina 217; si dice – citando il poeta sufi Rumi – che “una delle possibilità di crescita spirituale è la via del disprezzo”. Invece, cosa c’entri la vile uccisione di Dar’ja Dugina con Anna Achmatova (pp.248 ss.) resta un mistero: che godere della morte di un altro, fosse pure un avversario, un omicida, sia una “bestialità” è ovvio.

In sostanza: se volete sapere qualcosa di Anna Achmatova è inutile leggere il libro di Paolo Nori su Anna Achmatova. Piuttosto, andate alla Nota bibliografica (pp.251 ss.) per trarre qualche suggerimento. La cosa più onesta – senza scopo di lucro da tombaroli – sarebbe quella di ristampare due libri fuori catalogo da tempo, essenziali per capire la vita di Anna Achmatova (per questo citati a piene mani da Paolo Nori): Io sono la vostra voce…, edito da Studio Tesi nel 1990 (la raccolta dei testi autobiografici di A.A. è magnifica) e Incontri con Anna Achmatova, il miracoloso resoconto di Lidija Cukovskaja, stigma della vera dedizione, edito da Adelphi nel 1990.

In diverse occasioni, nel libro, Paolo Nori ci ricorda quanto gli piace Velimir Chlebnikov, poeta russo, eccentrico rabdomante del verbo, da Paolo Nori, per altro, tradotto (per Quodlibet, 2009). Che sgarbo. È come uscire a cena con una donna dicendole: mi piaci molto, ma preferisco l’altra. Perché Paolo Nori, al posto di parlare di sé attraverso Anna Achmatova, non ha scritto un libro su Chlebnikov? Piaceva molto anche ad Angelo Maria Ripellino, Chlebnikov; lo descrive così nella sua formidabile antologia sulla Poesia russa del 900:

“Era un sognatore, un uomo incapace di cose pratiche, timido e goffo con le sue abitudini di provincia, sempre con la tasca vuota, sempre smanioso di progettare mirabolanti utopie. Egli cercò tutta la vita le ‘leggi del tempo’, propose una ‘ferrovia circum-Imalaia, con diramazioni a Suez e a Malacca’, immaginò che le città del futuro si dovessero fabbricare di alvèoli di vetro. Voleva ‘introdurre le scimmie nella famiglia dell’uomo e conferir loro alcuni diritti di cittadinanza’, fondare una società di ‘presidenti del globo terrestre’, cioè un sodalizio di eruditi e filosofi che avrebbe governato il mondo, e ancora ‘coltivare nei laghi invisibili sostanze mangerecce, perché fosse ogni lago una caldaia di lacustri minestre di cavoli pronte anche se ancora crude’… Fra le altre utopie, Chlebnikov avanzò anche l’idea d’una lingua universale, basata sul significato simbolico delle singole lettere dell’alfabeto: una lingua aliena da fini pratici, composta di sigle magiche e di incantesimi, come il cifrario d’una setta religiosa”.

Che meraviglia. Il cammeo di Ripellino vale un libro intero di Paolo Nori: la sua lingua è ardita, magmatica, pericolosa. Ecco. Perché non ristampiamo tutti i libri di Ripellino?

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