23 Dicembre 2023

“Chi può salvarsi in un mondo come questo?”. I padri del deserto e la necessità della lotta interiore

Festa, giorno solenne. Ogni giorno, pur nella più umile veste, è una preparazione alla festa. Camminare verso l’incontro: il cuore deposto nel sacrario.

Nel giorno solenne, rivestiamoci di parole che trafiggono, che danno pace togliendoci il sonno. Dei padri del deserto è affascinante il fuoco della provocazione, il linguaggio senza fronzoli o moine teologiche. I padri, con instancabile ferocia, ribaltano il senso del pensare comune: chi cerca Dio non vuole la pace ma la lotta, non vuole stare nel confort ma preferisce la scomodità, alla sana sapienza contrappone la santa insipienza. Le parole dei padri forzano la ragione per eliminarne tutti i veleni: all’epoca degli influencer predicano la necessità di essere ininfluenti; all’era del protagonismo all’eccesso oppongono le virtù dell’umiliazione, il coraggio della rinuncia. Al millennio dei tiepidi e degli esagitati, i padri contrappongono la violenza contro se stessi, il genio della contraddizione, l’ardua via della vita nascosta.

La traduzione che si propone è quella pionieristica del sacerdote irlandese James Owen Hannay (1865-1950), raccolta in The Wisdom of the Desert (1904). È una traduzione, per schiettezza narrativa – Hannay, con il nome fittizio di George A. Birmingham è stato romanziere di un certo successo –, non priva di invenzioni, di imperitura bellezza: fu apprezzata da William B. Yeats, che usò il libro come fonte ‘spirituale’ per alcune sue poesie. Negli anni in cui studia il monachesimo delle origini, James Hannay serve a Westport ed è impegnato nei gangli della Gaelic League. Feconda l’amicizia con Douglas Hyde, leader della Gaelic League, poeta (nel 1904 la Dum Emer Press dei fratelli Yeats gli pubblica, in trecento copie, il poemetto The Love Songs of Connacht), che diventerà, nel 1938, primo presidente d’Irlanda.

Naturalmente, la lettura dei padri è inesatta se ci si ferma alla frase ad effetto, al virtuosismo della selvaggia intelligenza. La cultura – disprezzata dai padri – qui non ha quartiere: si legge per mettersi in cammino, senza cautela.

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La saggezza del deserto. I detti dei padri

Sulla lotta interiore

I

Come l’abate Giovanni imparò che la lotta interiore è preferibile alla pace interiore.

L’abate Pastor racconta che un giorno Giovanni il Corto pregò Dio di levarlo da ogni passione. Dio esaudì la sua preghiera: libero da invidia, rabbia e pensieri malvagi, Giovanni era in pace. Con grande gioia, andò da un anziano e disse: “Davanti a te c’è un uomo che non reca più lotta né contesa. Sono del tutto in pace”. Il vecchio, addolorato a causa di Giovanni, gli rispose: “Figlio mio, va’ e chiedi al Potente che ti conceda occasione di discordia. Non esiste altro modo perché l’anima proceda verso Dio se non lottando”.

Giovanni sapeva che il vecchio diceva il vero. In seguito, di fronte a un conflitto, non pregò più che gli venisse sottratta occasione di lotta.

Supplicate sempre in questo modo l’Altissimo: “Signore, graziami, dammi la forze di uscire vincitore dalla lotta”.

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II

Un vecchio viveva nel deserto: la sua cella era distante più di tre chilometri dall’acqua.

Spesso, quando andava ad attingere l’acqua, il sole lo falciava, con furia, e lui era sfiancato dal dolore. Una volta, mentre andava verso la fonte, disse a se stesso: “Non c’è ragione che sopporti tale fatica. Andrò ad abitare presso l’acqua”. Mentre parlava tra sé, si accorse che qualcuno lo seguiva e che segnava i suoi passi. Il vecchio gli chiese, “Chi sei?”. Lo sconosciuto rispose: “Sono un angelo. Il Signore mi ha inviato a contare i tuoi passi, per darti la giusta ricompensa”. D’improvviso, il vecchio capì che non aveva scelto il deserto per una vita comoda, ma per percorrere la via più stretta, quella che porta alla vera vita. Con cuore audace, felice della sua violenza, collocò allora la propria cella più lontano dall’acqua.

San Girolamo secondo Beato Angelico

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III

L’abate Pastor disse: “È scritto nel Vangelo: Chi ha una vesta la venda e compri una spada. Intendiamo in questo modo la parola: chi ha la pace, la getti via da sé per indossare al suo posto la lotta. Noi lottiamo contro il demonio”.

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IV

Un fratello disse all’abate Achille: “Come mai i demoni hanno potere sopra di noi?”. Il vecchio rispose in questo modo: “Gli alberi del Libano dicevano: Quanto siamo grandi e alti… eppure, basta una piccola ascia ad abbatterci. Per giunta, il manico dell’ascia è costruito grazie a noi, è di legno. Non concediamo alcuna parte di noi a nessuno, e la scure non avrà più potere su di noi”. Poco dopo giunsero degli uomini in cerca di legna e, malgrado le loro vanterie, proprio con quegli alberi costruirono il manico delle loro asce. Gli alberi furono abbattuti, tutti. Ora: gli alberi sono le anime degli uomini; il manico dell’ascia è la cattiva volontà dell’uomo. Se veniamo annientati è a causa del male che alligna dentro di noi”.

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Sull’umiltà

I

Una volta Sant’Antonio vide in visione le insidie del maligno sparse su tutta la terra. Considerando la loro infinita moltitudine, sospirò: “Chi può salvarsi in un mondo come questo?”. Una voce gli rispose: “Soltanto l’uomo umile può passare indenne a tutto questo, e salvarsi, Antonio. In nessun modo potranno salvarsi gli orgogliosi”.

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II

Un giorno, il diavolo, nelle sembianze di un angelo di luce, visitò un fratello. Disse: “Io sono l’arcangelo Gabriele, a te sono stato inviato”. Il fratello, dapprima, credette che quello fosse davvero un angelo. Poi, con umiltà, rispose: “Sicuramente, per qualcun altro sei stato inviato, perché io non sono degno di essere visitato da un angelo”. Il diavolo, sconcertato, si allontanò da lui.

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III

L’abate Arsenio si intrattenne a parlare con un monaco contadino, ignorante in teologia. Un monaco lo vide e gli domandò: “Come mai, Arsenio, tu che conosci il latino e il greco consulti quel contadino?”. Arsenio gli rispose: “Il latino e il greco contengono la sapienza di questo mondo, è vero, ma io non riesco ancora a imparare l’alfabeto che conosce quel contadino: la sua sapienza è di un altro mondo”.

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IV

Un fratello proveniva da una famiglia d’alto lignaggio secondo i parametri del mondo. Era il figlio di un conte estremamente ricco; la sua educazione era stata impeccabile. Questo fratello fuggì dai genitori e dalla sua casa per entrare in monastero. Per valutare l’ardore della sua fede e l’umiltà del suo carattere, il superiore gli ordinò di portare con sé dieci ceste e di venderle per le vie della città. Gli intimò di vendere una cesta alla volta, non tutte insieme, perché la sua mansione durasse a lungo. Il ragazzo svolse il compito con il massimo zelo. Calpestò la vergogna e lo smarrimento per amore di Cristo e del Suo nome. La novità del lavoro, meschino e insolito, non lo turbò. Non pensava alla sua attuale umiliazione né agli splendori del passato: mirava soltanto a obbedire, per dedicarsi a Cristo.

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V

Evagrio disse: “Principio di salvezza è disprezzare se stessi”.

Pastor disse: “Un uomo dovrebbe respirare umiltà come le narici respirano l’aria”.

Un altro disse: “Umiltà – sacrario in cui Dio ordina di sacrificare noi stessi”.

Sincletica disse: “Nessuna nave può essere costruita senza chiodi, nessun uomo si può salvare senza umiltà”.

Iperico disse: “L’albero della vita è in alto; l’uomo lo raggiunge grazie alla scala dell’umiltà”.

Un altro disse: “Possa il mio compito essere sempre quello dello studente, che ad altri spetti insegnare”.

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VI

Alcuni uomini andarono dall’abate Ammon perché giudicasse una controversia. L’abate si rifiutò di fare da giudice, e li rimandò indietro. Una donna disse all’altra: “Il vecchio è diventato stupido”. Ammon udì le sue parole e la chiamò a sé. “Per molti anni, in luoghi sempre più solitari ho faticato per raggiungere la stupidità che tu stigmatizzi. Credi che io voglia perdere questo gioiello prezioso perché tu ti fai beffe di me?”.

San Girolamo secondo Jan van Hemessen

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VII

Un monaco all’abate Pastor: “Come devo comportarmi nel luogo in cui dimoro?”. “Prudenza: sii sempre straniero tra estranei. Ovunque tu sia, non far prevalere la tua opinione, evita che la tua parola sia influente. Solo così potresti ottenere la pace”.

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Sul pudore

I

Diceva l’abate Evagrio: “Leggere e vegliare e pregare sono attività che rinforzano lo spirito pigro e la mente errante. Il digiuno, la fatica, l’attenzione domano la lussuria che arde in noi. Il canto dei Salmi, insieme alla pazienza e alla compassione, vincono l’ira, recano pace nei momenti impossibili. Eppure, tutto deve essere praticato a tempo debito, nei limiti della moderazione. Chi esercita tali pratiche in modo inopportuno ed eccessivo ne trarrà profitto soltanto al principio, ma dopo poco verrà sconfitto – e nessuno potrà aiutarlo”.

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II

Alcuni fratelli andarono dall’abate Lucio; il vecchio chiese loro: “Che lavori state facendo?”. Dissero: “Noi non lavoriamo, ma, attenendoci alle parole dell’apostolo, preghiamo incessantemente”. Il vecchio disse: “Non mangiate mai?”. I fratelli risposero: “In verità, noi mangiamo”. L’abate Lucio li provocò: “E chi prega per voi mentre mangiate?”. Si fecero silenti. Lucio continuò: “E non dormite mai?”. Confessarono di dormire. “E chi prega per voi mentre dormite?”. Non avevano risposte. L’abate concluse: “Vedo che vi vantate di ciò che non sapete fare. Vi mostrerò dunque come si prega senza sosta. Sedetevi a lavorare, la mattina, fino all’ora consueta; intrecciate stuoie, fabbricate cestini. Intanto, pregate sussurrando queste parole: Signore, secondo la tua misericordia, perdona le mie offese, cancella la mia iniquità. Quando avete finito, vendete i cestini per del denaro: donate parte del denaro ai poveri, usate il restante per comprare del cibo. Quando mangerete e dormirete, i poveri che avrete soccorso riempiranno le lacune del vostro incessante pregare”.

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III

Un fratello errante capitò presso il monastero dell’abate Silvano. Vide i confratelli al lavoro e li rimproverò: “Perché affaticarsi per il cibo che perisce, per le cose corrotte? Maria ha scelto la parte migliore”. Allora l’abate Silvano disse a un suo discepolo, Zaccaria: “Dai a questo fratello un libro da leggere e mostragli una cella vuota”. All’ora nona, il fratello si affacciò dalla cella per vedere se qualcuno veniva a chiamarlo per il pranzo. Dopo un po’, andò dall’abate Silvano e gli chiese: “I tuoi fratelli oggi digiunano?”. L’abate gli rispose che avevano già mangiato. Allora il fratello disse: “E perché non mi hai mandato a chiamare?”. Silvano gli rispose: “Tu sei un uomo spirituale, di certo non hai bisogno del cibo che mangiamo noi. Noi siamo creature di carne, dobbiamo mangiare. Noi lavoriamo, ma tu hai scelto la parte migliore. Leggi tutto il giorno e non puoi desiderare del mero cibo carnale”.

San Girolamo secondo un anonimo del XVIII secolo

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IV

L’abate Agatone gestiva la propria vita in modo che il pudore la governasse in ogni minimo dettaglio. Ciò non avveniva soltanto nelle grandi cose, come il lavoro che svolgeva, ma anche in quelle apparentemente irrilevanti, come gli abiti che indossava. Gli abiti di Agatone non avrebbero fatto colpo su nessuno: non erano particolarmente ricchi, non erano particolarmente poveri.

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Regola di vita

Un fratello chiese all’abate Antonio. “Cosa devo fare per piacere a Dio?”.  Il vecchio rispose: “Osserva i comandamenti che ti assegno. Ovunque vai, Dio sia sempre davanti ai tuoi occhi. Qualunque lavoro tu svolga, poni davanti a te un esempio tratto dalle Scritture Sacre. Dovunque abiti, non spostarti, resta pazientemente in quel luogo. Se osservi questi tre precetti, sarai salvo”.  

*In copertina: San Girolamo secondo Antoon van Dyck

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