Sul perdono. Un irragionevole amore per l’uomo
Filosofia
Massimo Triolo
Non poté gettare un occhio sul volume Overbeck e Nietzsche del devoto allievo Bernoulli il teologo Franz Camille Overbeck. Gli avrebbe dato da pensare. Che già è una iattura venir rubricati tra gli “eccentrici” allogati in nota a margine nel grande Codice della cultura del proprio tempo (e di quelli a venire). Ma esser riscattati per un pelo all’oblìo come destinatario dei “wahnbriefe”, i “biglietti della follia” è beffardo. Un nome in calce alla tragedia del genio altrui.
La fama dell’Amico più lo zelo del discepolo, ierofante maldestro, sigillan la leggenda: Overbeck-l’amico-di- Nietzsche. Eppure un’opera l’ha lasciata anche Franz.
Bizzarrìa per perdigiorno a zonzo nelle contrade di teologia, mai pervenuta ai piani alti della cultura ufficiale.
Lui, timido lucido rassegnato, avrebbe detto: “al diavolo, non ho avuto da dirvi di che v’interessasse, scordatemi del tutto, non era destinata a voi”.
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Con animo simile aveva scritto, anni prima, un sulfureo libretto sulla “cristianità della nostra teologia”.
Erano gli anni di Harnack e Strauss, di hegeliani sinistri e destri, teologie liberali e reazioni apologetiche. Urchristentum, wesen des Christentums, leben Jesu, parole d’ordine del pensiero teologico vient de paraître nella Germania smaniosa di rigettar la triade idealista.
E a Franz, bramoso di attingere la pura origine dell’evento-Cristo, spogliata d’ogni ibridazione culturale, d’ogni concetto sovrapposto, tutto questo almanaccare, questo sezionar con lame storico-critiche unito a volontà conciliatrice di scienza-fede proprio non andava.
Né liberali, né apologeti, né questo né quello, come i mistici più impazienti.
Non c’è fede che possa stare accanto a ragione, non c’è nulla da conciliare e razionalizzare.
E chi voglia cogliere sul serio lo scandalo del cristianesimo, la forza sovversiva e sconvolgente del suo “mito”, butti a mare ogni velleità di teologia.
Funzione della teologia è di neutralizzare, “evirare” le verità originarie di religione.
“La teologia non può creare nessuna religione”, anzi, si può ben chiamarla “il Satana della religione” si legge in quell’altro libretto Christentum und Kultur, ottimamente riproposto da Trauben anni fa (Cristianesimo e Cultura). Religione, cristianesimo è tutto ciò che evade dagli schemi astratti dei teologi, liberali o reazionari. Opposizione radicale a mondo, cultura, storia. Se lo volete, il suo senso è questo. Escatologico, l’accomodamento al mondo causa parusìa ritardataria ne segna subito la decadenza, la rovina, se già con Paolo si consuma il matrimonio mortale con il logos greco.
Indugiando sulle origini del monachesimo, ha dato all’estraneità corpo e figura: si prefigge d’essere imparziale ma “parteggia” per gli anacoreti, i padri del deserto, ne ama le mattane, gli eccessi, ultimo ridotto di speranza e prassi apocalittiche della vicenda cristiana, d’accordo con Buonaiuti cui un poco assomiglia.
Appena un po’ meno radicale dell’Amico (“in fondo c’è stato un solo cristiano e questi morì sulla croce”) per Franz non c’è idillio possibile tra Cristo e Storia. O Cristo O Storia. Rispetto a Nietzsche che sognava un tempo “liberato”, “innocenza del divenire”, il “non ricordarci chi eravamo” Franz vuol distruggere tempo, mondo e cultura, tutto (chi dei due è il più inattuale?).
“Da quando coesistono, cristianesimo e mondo non si sono mai capiti”, la storia ha vinto e le teologie hanno ammansito il tutto in dogmi. “La contraddizione tra l’escatologia protocristiana e l’ottimismo del nostro tempo è radicale” diceva. Perché volete razionalizzare il mito, farne una grande riserva etica aggiornata ai tempi?
Inurbano insisteva: “A cosa è servita Alessandria alla chiesa antica? E Parigi a quella medievale? Che aiuto darà Berlino a quella moderna?”.
Cristo non è Cultura.
E la cultura del tempo intanto ha fatto spallucce, ignorando Franz.
Più avanti, tra i grandi, solo due Karl, il Barth dell’Epistola ai Romani e il Löwith di Significato e fine della storia lo han preso sul serio.
Poi giusto un po’ di accademichese, neanche troppo.
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Gott ist tot? No, a questo Franz non si è mai spinto.
Inibito a sposare un cristianesimo impossibile fece professione di scetticismo.
Fede, ateismo, opzioni inverificabili equidistanti, (si) diceva.
Mai ateo convinto, nemmeno però si è unito ai pietisti che diceva di ammirare.
Intruppato all’università di Basilea, pago di pochi affetti (felice lo fu solo nella Pietroburgo dell’infanzia), i suoi tormenti tenuti celati in sé, nel privato continuo ritorno alla purezza escatologica, nella vivacità di schizzo dei folli asceti del deserto che tradisce simpatia, nelle pieghe di ragionamenti così perentori e disperati un rovello religioso appare.
Forse che Franz, schivo e dimesso docente (poi rettore), all’ombra di Rhode e di Burckhardt, che teneva corsi ordinati e un po’ scialbi, “teologo senza fede” (Barth) che nascondeva pudico il suo intimo agli studenti, è da iscrivere nel canone degli impazienti, dei delusi, degli inconsolabili per quella realtà NUOVA che fu promessa e che non è venuta?
C’è, nella storia del cristianesimo, come una “piaga rossa e languente”: la nuda inaudita fede si traduce in linguaggio colto, le chiese si adornano di riti e codici, la fede si estrinseca in teologia, la storia partorisce quegli ibridi nuovi e magnifici che, raccolti in tradizione, diciamo il “cristianesimo” MA, ai margini, nei bassifondi, impazienti di genio ne accompagnano, riottosi, il farsi.
Lumpenproletariat dello spirito, diffidenti di trascrizioni solo rituali-simboliche, vogliono matrimonio di cielo e terra, unione concreta di Dio e uomo, il Regno promesso. Impazienti, lo vogliono sempre ora. Neanche loro si sottraggono alla legge che regola sacro e religioso: disciogliersi nella storia degradando, kenotizzandosi.
Dagli impeti di Montano, di Marcione, dell’abate calabrese, di Müntzer e la sua armata di straccioni, dal fuoco e oro di Bloy alle voci sempre più fievoli solitarie superflue, Tartaglia nel suo ritiro a Settignano… Se è stato dei loro, è stato visitato anche lui dall’ossessione per il Regno? Probabile. E il Regno, anche per lui, non è venuto, la realtà è rimasta identica, la storia procede e tutto ciò che fu forte e vivo si banalizza sotto le anestetiche di scienza universitaria.
Ma a Franz, moderno troppo moderno viso smorto, un po’ travet, cui manca la stoffa del profeta, cui un viaggio a Torino in soccorso al “crocifisso” pesa come varcar Colonne d’Ercole, non è rimasto che redigere anti-teologia dell’impotenza, apoftegmi di posata disperazione nella sua Basilea-università-pantofola calda.
Quieto, dimesso, testimone malgré lui del Dio agonizzante finché duri il tempo.
Giacomo Alessandrini