Leonardo Sciascia diceva che Il Gattopardo lo metteva in difficoltà per i fatti che enunciava, e non come libro preso nel suo insieme. I fatti – non i libri – ci mettono in crisi. E questo si capisce bene nella metro di Londra, dove uno sguardo sufficientemente letterario può cogliere un lettore tramite il suo libro (ma non nel senso dell’appiattimento verbale che annulla la consistenza dello scrittore parlandoci solo di interpretazioni). Lo sguardo si depositerà così, attratto da un vortice magnetico all’altro, su una lettrice di Dracula, intorno ai 19 anni, tratti somatici vagamente orientali russi; su un’ammiratrice di Durrell, quello de La mia famiglia e altri animali, lei si capisce è un po’ hipster, ma aggraziata; poi su un lettore di Asimov, rigorosamente tascabile e sdrucito, un giovane coi capelli da Caparezza, una sorta di mulatto; sulla più simpatica, una ragazza bassina e robusta come una guerriera che legge il Chisciotte; sulla bella scandinava alta un metro e novanta che legge McEwan; e infine lo sguardo divagante si posa sul bislacco italiano che legge Dickens in lingua. E che legge sul giornale dato gratis in metro, la sera, che dopo l’estate uscirà il venticinquesimo (esatto: 25) romanzo di John le Carrè. Dove il protagonista della storia di spionaggio avrà solo 26 anni. In Inghilterra il sistema funziona e le spie sono cooptate da quando sono all’università – basti pensare che il quotidiano della metro, Evening standard, è stato fondato nel 1827, dov’era l’Italia nel 1827?, sicuro, era uscita la prima stampa degli Sposi promessi, mentre a Navarro, dopo l’estate, la flotta di Sua maestà britannica metteva sotto i Turchi e si prendeva pezzo per pezzo l’Oriente.
(Chiedo pace all’anima di Manganelli che si faceva avvincere dai Promessi sposi, testo a fronte 1827, sguardo alle varianti, mente alle congetture)
E lo dico perché credo che la letteratura, se non ci porta dentro la vita per spezzarla, ci dice poco o nulla. Ecco perché sono stato fulminato da le Carrè. Uno che scrive bene di cose che conosce molto bene. Dico del Servizio, che in Italia la mania persecutoria e sinistrorsa della magistratura letterata ha chiamato al plurale ‘Servizi’ (tutti deviati, poveri cocchi). Dò qui soltanto un suggerimento. Leggere le Carrè in lingua si può, perché in italiano è tra gli autori peggio tradotti. Si capisce che serve immedesimazione per cogliere l’atmosfera rinunciando alla comprensione esatta che dà solo la lingua madre (con buona pace dello scrittore puro prestato alla cattedra, lo zio cattivo Nabokov). Due parole su le Carrè.
Se partite dai romanzi degli anni Sessanta troverete uno stile fluente (Looking Glass war). Se prendete i testi voluminosi degli anni Settanta (Honourable schoolboy, Smiley’s people) avrete uno stile fermo, ma deciso, in una perplessità maschia. Poi con gli anni Ottanta le Carrè dà la sua risposta all’ondina Marcel Proust (A perfect Spy: per poco Kubrick non ne fece un film, peccato perché sarebbe venuto fuori un Full metal jacket senza sparatorie inutili). Oppure, apogeo, con The little drummer girl, per capire il Servizio del Mossad e come si avviluppa con e contro gli Arabi. Altro pezzo da novanta: Our game (la nuova Russia dopo la caduta del Muro, senza le fesserie ottimiste dei progressisti in salsa italica, ma con la follia lucidissima dell’osservatorio inglese), The night manager (le molte vite di un guardiano di notte spedito dal Servizio sulle tracce dei commercianti d’armi). E ancora: Single and Single (il traffico di sangue e di esseri umani sotto il manto della legge e delle multinazionali di consulenza, vedere le ultime novità su McKinsey per farsi un’idea di come le Carrè non abbia calcato troppo la mano).
In conclusione: Feltrinelli e Mondadori che l’hanno tradotto non sanno che cosa avevano in mano. Segno della provincia a cui si relega l’Italia (nello stesso segno positivo in cui al tempo di Augusto era provincia la Palestina, o la Gallia. Io credo, provoco (e mi provoco): se un liceale italiano leggesse le Carrè magari non lo capirebbe come un british purosangue, col suo retrò imperiale a base di geopolitica illuminata – Grande Gioco-Kim-Kipling per spezzare i potentati locali tramite agenti sul campo. L’italiano non capirebbe tutto ciò, ma metterebbe sotto pelle le nozioni. E ne verrebbe un capolavoro. Gli italiani, come i Francesi, non pensano con gli schemini anglosassoni, tanto meno coi circuiti elettrici degli yankee. Ne verrebbe un’Italia dalla tempra nuova. Non più (solo) la docile provincia letteraria rimasta con Renato Serra al palo, senza capire chi è Kim. Basta che il nostro italiano legga anche Dickens. Se la Gran Bretagna non avesse avuto un romanziere cilindrata Dickens, non avrebbe tenuto il suo Impero. Perché Dickens insegnò agli inglesi l’autoironia e l’intelligenza comica, e che i numeri non esauriscono tutto.
Come ha detto una scrittrice persiana, bisognerebbe leggere Lolita e il suo erotismo a Teheran. Io proporrei di far leggere nell’Europa delle app stile Tinder un romanzo di Dickens. Diranno che i ragazzi non hanno tempo per questo? E se qualcuno dicesse loro che Tinder è stato inventato da un genio (Jonathan Baden) influenzato da uno scienziato (BF Skinner) il quale condizionava i piccioni affamati facendo credere loro che beccare a caso portava cibo immediato? Ecco la pastura, ecco la morte mediatica del sentimento, ecco spiegato lo swipe di Tinder. Urge uno zabaione romantico a base di Dickens, le Carrè e tante, tante spie.
Andrea Bianchi