20 Luglio 2018

Ora vi racconto la Rimini di Fabrizio De André. Storia di un album modesto, dimenticato per decenni ma che ora torna utile alla politica

Con il dovuto ritardo, a metà strada tra due anniversari prestigiosi, i 25 e i 50 anni. Bizzarra celebrazione, quella che la città del dimentificio – “Rimini” – attribuisce non tanto all’omonimo album (1978) ma al poeta dei poeti, Fabrizio De André, uno, per dirla detta bene, che alla propria città ha sì dedicato un long playing, “Creuza de ma”, una poesia musicata di una bellezza che fa male agli occhi (chiedere a David Byrne dei Talkin’ Head cosa ne pensa…) ma il suo nome, Genova o Zena, non lo pronuncia mai. Per i 25 anni di “Rimini” io c’ero. Come penna, come possibilità di scrittura, come acerba sensibilità, nonostante una frequentazione deandreiana già di tre lustri buoni. Nel 2003, in occasione del “quarto di secolo” del discreto lavoro di Faber – non è tra i suoi capolavori – scrissi un articolo per “La Voce di Romagna” lamentando la cecità, o la distrazione, della città. Dopo la pubblicazione dell’articolo ricevetti via mail una deliziosa lettera. “Ciao Alessandro. La nostra città (o almeno la mia, a volte anche ‘purtroppo’) si è dimenticata di onorare il grande Faber a 25 anni di distanza dall’uscita di Rimini, ma non io, e mi auguro nemmeno altri. Proprio il giorno di Santo Stefano passeggiando dall’ancora verso il Rockisland ho incontrato un vecchio amico Bagnino che mi ha riportato subito su quelle note, ed io che non mi faccio mancare la possibilità di dedicarmi a qualche componimento musicale, nel ripescare il ricordo ho scritto una canzone, che a questo punto voglio regalarti e con la quale ti saluto, ringraziandoti per esserti ricordato di Faber e di aver ricordato che Rimini dimentica Rimini”.

Il titolo è “Un uomo onesto”. Scrivo solo l’attacco e la chiusa per rispetto di chi l’ha scritta e me l’ha voluta omaggiare. “Amavi bracconare in giro con il tuo mestiere/ Le anime delle passanti/ infreddolite/ E quelle delle tristi vacanziere/ speranzose/ Di incontrare/ un’intrigante situazione, al mare/ Fresco appena sveglio e silenzioso era il mattino… Alzavi gli occhi a me ragazzino e mi dicevi ‘noi vendiamo il sole’… Ma il conto salato era in casa/ da una vita/ Tua moglie non te lo diceva ma penava per te/ E i tuoi figli/ sembravano capirti o perdonarti/ Chissà se a ragione o per farti coglione/ Oggi sulla riva del nostro stesso mare/ Dove un tempo ti toccava per forza/ imperare/ Cammini contro il tempo, contro il freddo o contro te/ E’ lo stesso/ purché si cammini/ E incontri proprio quel che era un ragazzino/ E’ solo ed ha freddo, è proprio come te/ Quarant’anni gli stacchi e troppe poche bugie/ Finalmente anche tu potrai perdere”.

Sfugge al riminese che mette “Rimini” (che non è un concept album, nonostante il titolo) in cima alla classifica l’aspra critica che De André fa non tanto della città ma soprattutto delle persone che la abitano o la frequentano. C’è Teresa, ingravidata da un bagnino e che forse abortirà perché una notte di passione non si chiama amore (“E l’amore all’amore, come solo argomento” canterà 8 anni più tardi Fabrizio). C’è Andrea che si è perso. O che è stato ghettizzato. Sulla personalità del ragazzo, Faber non usa mezze misure. 1992, teatro Smeraldo di Milano. Il poeta prende il microfono e dice: “Questa canzone la dedichiamo a quelli che Platone chiamava, in modo addirittura poetico, i figli della luna: quelle persone che noi continuiamo a chiamare gay oppure, per una strana forma di compiacimento, diversi se non addirittura culi. Ecco, mi fa piacere cantare questa canzone, che per altro è stata scritta per loro una dozzina di anni fa, così a luci accese anche a dimostrare che oggi, almeno in Europa, si può essere semplicemente se stessi senza più bisogno di vergognarsene”.
C’è “Sally”, l’antenata di “Nina” che a fine anni Novanta volerà sulle corde di un’altalena, una piccola “Alice” mezza riminese e mezza svizzera, circondata da una pletora di personaggi poco limpidi: Pilar che con due gocce di eroina si fa addormentare il cuore, il re dei topi, un magnaccia, che manda sulle strade le bambole per adescare i signori. Il ritratto dei personaggi cantati da De André è spietato e crudo, reso bellissimo dalla sua voce.

Rimini, e Faber, non sono canzoni da ricantare, celebrazioni che fanno sorridere l’amministrazione locale che vede gli spazi pieni e sperano che si possano trasformare in voti. Rimini e Faber sono quella impalpabile voce che ti portano al mare e ti ritrovi a scrivere. Sono quello che ti sanno dare. E che ti fanno diventare “Un uomo onesto”. Come l’autore della canzone.

Alessandro Carli

 

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