
“Eravamo felici”. Lo scrittore senza libri. Storia di Michi Panero, un fuoriclasse della dissoluzione
Cultura generale
Silvano Calzini
Nove anni dopo il matrimonio, a Parigi, Ezra Pound conosce l’altra donna della sua vita, l’amatissima Olga Rudge. Ne ammirava la bellezza, severa, il genio musicale; suonava il violino, preferiva Mozart e Bach. All’epoca, il wagneriano Pound aveva iniziato a scrivere per la musica, per George Antheil. Era il 1923. Nove anni prima, in aprile, Pound aveva sposato Dorothy Shakespear, alla chiesa di St Mary Abbots, Kensington, Londra. Il papà di lei non voleva si sposassero: il poeta bohemien non dava garanzie economiche. Quanto a ‘Ez’, prima della figlia aveva conquistato la madre, Olivia, scrittrice dal talento intuitivo, grezzo, bellissima, tra le alate muse di William Butler Yeats. Pound la conobbe nel suo salotto londinese, nel 1909: inseguiva Yeats, incappò in Dorothy. La ragazza restò folgorata da Ezra; così scrive nel suo diario:
“Ezra, Ezra, Ezra e ancora Ezra! Ha un viso meraviglioso, la fronte alta, prominente; il naso lungo e delicato, una bocca strana, particolare, sfuggente; il mento squadrato, leggermente segnato nel mezzo – gli occhi grigio-azzurri, i capelli castano-dorati, in morbide pieghe. Gli occhi enormi, spiritati, e le dita lunghe, ben modellate”.
Il fidanzamento durò quasi cinque anni. Ezra e Dorothy si sposarono sotto la benedizione di Yeats: passarono la luna di miele a casa del poeta, a Stone Cottage; Pound correggeva le bozze di “BLAST”, la rivista vorticista ideata insieme a Wyndham Lewis. Dorothy si dimostrò artista pronta all’avanguardia, prevaricatrice. Agli sposi, Olivia Shakespear aveva regalato due disegni di Pablo Picasso, di soggetto circense; il genero le pareva un clown triste, un esagitato in agonia, un domatore di tigri blu.
Ad ogni modo, ‘Ez’ amava complicarsi la vita, mescolare le carte del fato, amare fino allo sfinimento. Dorothy fu costretta ad accettare il menage ideato da Pound, cioè la coabitazione con Olga. A Rapallo vivevano, poco serenamente, in tre. Quasi subito, Olga restò incinta: il 9 luglio del 1925 nasce Maria, cioè Mary, presso l’ospedale di Bressanone. La figlia, nata fuori dal matrimonio, fu affidata a una famiglia di contadini di Gais, in Alto Adige, mentre la madre continuava la sua carriera da concertista. Spesso i genitori, insieme a Mary, si riunivano presso “The Hidden Nest”, la casa veneziana, in Calle Querini, comprata dal padre di Olga.
Nonostante tutto – l’illecito, la difficoltà, il tradimento della Storia –, Olga restò sempre accanto a Pound.
Anche Dorothy, con le unghie, restò sempre avvinghiata a Pound.
Poco dopo la nascita di Mary, Dorothy si presentò a Pound incinta, reduce da un viaggio a Siena e in Egitto. Il figlio di Ezra e Dorothy nacque il 10 settembre del 1926 presso l’American Hospital di Parigi; fu Hemingway ad accompagnare la donna in ospedale. Il giorno dopo, Ezra firmò il certificato di nascita e scrisse al padre: “nuova generazione (maschio) in arrivo – sia lui che D stanno bene, pare”. Lo chiamarono Omar; secondo Mary, la sorellastra, non sarebbe il figlio naturale di Pound, ma “figlio di Dorothy e di un egiziano, riconosciuto da mio padre per gentilhommerie verso la moglie”. Ciò che è vero è che Omar Pound fu quasi subito affidato da Dorothy alle cure della madre, Olivia, che lo inviò presso il Norland Institute, poi in una scuola montessoriana, nel Sussex. Alla morte della nonna, nel 1938, Omar vide il padre per la prima volta.
È curiosa, sonnambula, la storia di questo figlio di nessuno, di una madre all’inseguimento del marito che non la desidera più; senza padre, o meglio, con un padre a precipizio nella spirale dei Cantos, certo di poter piegare la storia entro i cordoni del proprio verbo, sempre in corsa, con i rasoi a pelo di lingua; una nonna levatrice delle proprie artistiche civetterie. Questo figlio dai compleanni bianchi, dagli amori screziati e obliqui, in stanze inappetenti, inappropriate. Cosa sogna un figlio in abbandono?
Secondo un salvaguardato schema di afasie e sfasature, Omar Pound passò alla Charterhouse School, si arruolò volontario nei ranghi della U.S. Army, servì in Francia e in Germania. Venuto a conoscenza dell’arresto del padre, andò a cercarlo, in Italia, senza successo. Gli fece visita, qualche volta, al St. Elizabeths. La madre, a dire il vero, piantonava il poeta: aveva affittato un appartamento – brutto, scomodo, dicono i biografi – non lontano dall’ospedale psichiatrico di Washington D.C. Per dodici anni, ogni giorno, si recava dal marito. Cercava – a volte con successo – di cacciare le ragazze che il poeta incontrava con gioia: Sheri Martinelli e Marcella Spann si dimostrarono le avversarie più tenaci. Non mollò il marito neppure in Italia, quando il poeta fece ritorno, nel 1958: Dorothy, Ezra, Olga (e Marcella) vissero per un po’ a Brunnenburg, nel castello di Mary, sposata de Rachewiltz, poi a Rapallo. Infine, vinta, Dorothy tornò a Londra.
Nel frattempo, a Omar Pound si spalancò una carriera di alti studi. Dopo il passaggio all’Hamilton College e il perfezionamento in Francia, studiò storia islamica e arabo presso la School of Oriental and African Studies, a Londra. Fu professore a Boston, all’American School di Tangeri, alla Princeton University. Si dichiarava “fondamentalmente, un mistico”, credeva nella religione del “nulla”, la nigredo di Dio. Nel 1955 Omar Pound sposa Elizabeth Stevenson Parkin, da cui ha due figlie, Katherine Shakespear Pound e Oriana Davenport Pound; non si hanno notizie di eventuali rapporti tra le nipoti e nonno Ezra.
Alla storia della letteratura, Omar Pound passa per aver curato le lettere tra Ezra Pound and Dorothy Shakespear (per la New Directions, nel 1984; per la Oxford University Press nel 1999) e aver ricostruito i rapporti tra Pound e Margaret Cravens, ragazza dell’Indiana trasferitasi a Parigi per studiare pianoforte, affascinata dal poeta, di cui finanziò le imprese poetiche fino al 1912, l’anno in cui sceglie di uccidersi (la vicenda, dettagliata insieme a Robert Spoo, è in: Ezra Pound and Margaret Cravens: A Tragic Friendship, 1910-1912, Duke University Press, 1988). Nel 1978, pubblica una Descriptive Bibliography di Wyndham Lewis. L’attività poetica di Omar Pound è testimoniata da una serie di libri in edizione d’arte: The Dying Sorcerer: Poems (1985), The Countess at the Bar (1998); Poems Inside & Out (1999).
Il punto di congiunzione tra l’estro poetico – pur sempre castigato dal cognome, che pende come una forca – e gli studi, è in un libro di devoto splendore, Arabic & Persian Poems, uscito nel 1970 per la New Directions, ristampato più volte. Omar Pound rifà i versi dei poeti persiani classici, con freschezza lirica convincente: Ibn Hazm al-Andalusi, Ibn al-Rumi, al-Tirimmah, al-Mutanabbi, Manuchehri, rivivono tra i viottoli della lingua inglese (qui ne abbiamo tradotti alcuni, secondo il ritmo imposto da Omar Pound). Il libro è introdotto da Basil Bunting, poeta ‘modernista’ di genio, esperto di poesia persiana – aveva volto in inglese Firdusi, Hafez e Saʿdi –, allievo di Ezra Pound, che lo chiamava “lottatore nel deserto”. Tra le altre cose, questo scrive Bunting:
“Con i suoi toni urbani, robusti e ironici, Omar Pound getta una luce improvvisa su questi poeti sepolti dal tempo, traccia una via nell’oscurità. Se non vogliamo che la nostra cultura muoia di anemia, prima o poi dovremo assorbire l’islam. Ma ciò non sarà possibile finché ci ostiniamo a ricondurre Rūmī alla simbologia neoplatonica e a riprodurre in un pessimo inglese la beata banalità di una poesia a tratti esangue. Omar Pound ha scoperto che i poeti musulmani hanno qualcosa in comune con la nostra poesia. Pare credibile. Rende quei versi piacevoli. È grazie a tali passi che possiamo iniziare il nostro ḥajj, il nostro pellegrinaggio verso la poesia islamica”.
Morì in marzo, nel 2010, a Princeton, Omar Pound. Il “New York Times” lo ricordò con un trafiletto. La madre, Dorothy, era morta nel 1973; Ezra era morto l’anno prima. Il giornalista, smaliziato, osservò che “Quando il poeta morì, a Venezia, al suo fianco non c’erano la moglie, Mrs. Pound, né il figlio Omar”. Il “Times”, con più grazia, scrisse che Omar Pound “era un poeta dotato, traduttore riconosciuto in campo internazionale della poesia persiana e araba”. Ezra, nei suoi studi, si era mosso verso la Cina, armava Confucio, Mencio, era approdato in Giappone, affascinato dal simbolismo arcano del teatro nō. Omar preferì inoltrarsi in Persia. La direzione era la stessa, a Est: una fuga verso l’alba.
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Arabic & Persian Poems. Una selezione di Omar Pound
Ibn al-Rumi
(836-896)
La livella
La fortuna aiuta i cretini
e umilia i giusti
equilibrio e rigore sono sconfitti
sempre è premiato
chi adora la vanità e le sciocchezze:
annega i vivi fortuna
tiene a galla i morti.
*
Concedimelo
Stretto in questa cappa invernale
spesso ti supplico
ti prego!
Non ho detto “sudario”
ma ne ho bisogno adesso
per la mia anima
prima che il corpo si polverizzi.
*
Il compromesso
Si tinge
i capelli bianchi di nero
per metà,
convinto che alcuni
lo riterranno saggi
altri
giovane.
*
Manuchehri
(982 ca.-1040)
Abiura
Ho chiuso con l’acido e le lodi
il mio cinismo è disseccato, il panegirico non paga:
li sbeffeggio, dico che sono stolidi tirchi (e pensano sia un elogio)
ma quando annoto la loro lussuria e l’avarizia
sorridono a questo anziano che si ostina alla satira.
Prima di me,
poeti e cantori credevano che
l’amore fosse degno di pergamena e di edizioni d’arte,
anche i commercianti scrivevano versi
abbigliati secondo il nobile gergo:
Aprile è il più fuligginoso dei mesi…
Impetuosi venti scuotono i candidi boccioli di maggio…
Al cospetto di quei piedi…
Nella valle di…
Morte, leva il tuo orgoglio…
Vanifica la tua vanità, ti dico, vanifica…
Ma oggi?
Tutto è Betjeman, Ginsberg, Ogden Nash,
chitarre a tamburi di Trinidad
batterie metalliche, ritmo privo di canto
poeti che ronzano stazzonati fuori città
e nessuno che onori l’uomo
l’evento
il verso,
mentre gli altri dicono
che la poesia è “mera bugia per far soldi”:
non impareranno mai
che la lode è bugiarda
che il Profeta non è mai nato
le città libere da assedio.
*
Demone in Paradiso
Dimmi, perché il tuo umore è tanto contorto?
Se parlo con dolcezza ti offendi e piangi
la mia generosità la credi bugiarda.
Scusa, sussurro, e tento…
Perché, azzanni, mi chiedi scusa?
Palude di banalità
miele che inganna
presso l’eucalipto
per me
un’ora insieme è sufficiente
per te
è soltanto ciò che urla a valere.
*
Ti invio i miei versi
parlano di passione senza passione:
tre questa settimana, due quella precedente.
Probabilmente non ti piace questa roba
o te ne vergogni. Il tuo silenzio
è la mia superflua condanna.
*
Kemal Khojandi
(1320 ca.-1400)
L’ultima tresca
Vento nei tuoi capelli
le mie mani, le mie dita… arano
più giù, più giù, più giù…
oh, vivi per sempre, divinità
giovane e bella…
le mie dita arano…
Traduci il mio inverno in primavera
e tutto ciò che mi riguarda: lacrime
franano nella lingua. Resta giovane
anche se non sarai per me, resta giovane.
Presto te ne andrai
lasciandomi vivere
come un cieco –
ogni cosa ha confini
ma tu mostrami
il lusso della morte
prima che diventi crudele.