12 Luglio 2019

Amo maledettamente Oliver Stone, strafatto di sesso e di droga, ego strabordante, scrittore geniale, un uomo che ha le palle di sbagliare

Quanto mi fa incaz*are Oliver Stone, quanto lo prenderei a schiaffi alla fine di ogni suo film, se solo fosse possibile, se solo fosse lecito, e se solo da tale scontro potessi uscirne indenne, io così piccolina, e lui così alto e grosso. In verità dovrei prendere a schiaffi me stessa, che ancora mi lascio incantare dai mignot*ari, e per te che mi leggi che non sei di Roma e dintorni spiego che mignot*ari volgarmente significa quello che facilmente intuisci, uomini che vanno a migno*te le più brutte e a buon prezzo. Come Oliver Stone, sissignori, non lasciatevi ingannare da ciò che è oggi, un placido signore appesantito e accasato, quando mignot*aro lo è stato, di preciso dai 16 anni in poi, da quando perse la verginità con la squillo pagata e scelta da papà. E in quel caso però la squillo era di lusso, papà Louis era ricco, Oliver è nato nell’agio e cresciuto figlio unico e viziato, scuole esclusive fino a Yale, stessa università e stesso anno di immatricolazione di George Bush Jr., futuro presidente degli Stati Uniti e nemico numero uno di Stone, protagonista dileggiato del suo W.

Se però Bushino per sfuggire alle armi si imbosca nella Guardia Nazionale dietro raccomandazione di papà politico, Oliver Stone in Vietnam ci va nel 1965, da civile, da insegnante di inglese. Ci ritorna nel 1967, da soldato volontario, ci va a combattere una guerra sulle orme di papà Louis, che ha fatto la Seconda guerra mondiale, in Francia, trovandoci anche l’amore, con Jacqueline, la mamma di Oliver, da lei sempre chiamato Olivier, sebbene all’anagrafe risulti William per volere paterno. Ma in Vietnam Oliver non ci trova l’amore, ci trova lo schifo di ogni guerra vera, il puzzo della morte che di dosso non ti togli più. Oliver spara e uccide, il lerciume del Vietnam che trasferirà su pellicola, nella trilogia PlatoonNato il 4 luglioTra Cielo e Terra, è il lerciume reale che lui in guerra ha contribuito ad ammucchiare.

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In Vietnam ci siamo stati tutti, scrive Michael Herr in Dispacci, ma non è vero, qui in Italia ad esempio del Vietnam non ci hanno mai capito un caz*o, i sessantottini che dicono il contrario sono dei bugiardi, ma nemmeno Kubrick, né Coppola, né altri che hanno firmato film memorabili sul Vietnam in quella dannata guerra ci sono stati, tranne lui, Oliver Stone, e per questo la sua trilogia affascina tanto, specie i giovani, e di ogni generazione. Perché Stone narra gli eventi dal punto di vista di tre ragazzi, Charlie Sheen in Platoon, Tom Cruise in Nato il 4 luglio, Hiep Thi Le in Tra Cielo e Terra: Sheen e Cruise ‘sono’ Stone, sono la sua rabbia, la sua gioventù andata a farsi fott*re tra morte, droga, bordelli. Dal Vietnam Oliver Stone ritorna distrutto nella mente e nell’anima, annientato dai demoni, da un orrore che è vita, è respiro, e non letteratura: a 23 anni è dentro la droga fino al collo. Ha cominciato a drogarsi in guerra, tornato a New York non prosegue economia a Yale, si laurea in cinematografia alla New York University, e fa lavori umili per sfuggire a se stesso, agli incubi che lo tormentano e che saranno quelli recitati da Tom Cruise sullo schermo. Poi, le put*ane: sfogo sessuale basico in Vietnam, le sue avventure più torride e squallide, più torbide, sono da Stone riversate in Sogno a Occhi Chiusi, romanzo pesantissimo, una discesa agli inferi tra guerra, m*rda, e sesso da mercimonio nei luridi bordelli tailandesi, meta dei soldati americani in licenza, e uno Stone strafatto e imbruttito, arso da un desiderio incestuoso per mamma Jacqueline, passa da donna a donna, perso, stordito: non conta il loro corpo, solo che glielo prendano in bocca, come se a succhiargli sperma fosse possibile tirargli via tutto il sudicio che è diventato.

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Droga e migno*te accompagnano Oliver Stone buona parte della vita, fino alla prima metà degli anni Duemila, quando un giudice all’ennesimo arresto per guida in stato di ebrezza e possesso di droga, lo obbliga a ripulirsi. Ma prima di allora ci sono anni di cocaina, ci sono viaggi col peyote che lo costringono a rimandare l’inizio di The Doors, c’è l’LSD e “l’erba dono di Dio”, e ci sono film e premi, sceneggiature lucenti, sapienti di scrittura. Perché se c’è una cosa su tutte che mi fa incaz*are di Oliver Stone non è il suo passato mignot*aro e maledetto, non è il suo sbatterti in faccia quant’è bravo a far film, e nemmeno il fatto innegabile che possieda le qualità auree che voglio in un uomo, una personalità strabordante fitta di idee frutto di studio, raziocinio, e di opinioni ferme, scomode, radicali, e l’avere le p*lle di sostenerle a morirci, anche sbagliando, e Dio sa quanto io adori gli uomini che sbagliano, e gli errori di Stone sono palesi (chi riesce a vedere tutto Alexander senza addormentarsi?). No, quello che mi manda in bestia è la capacità di scrittura di Oliver Stone, qualità poco riconosciutagli perché sì i suoi libri sono poco letti, e però basterebbero le sue sceneggiature (ha scritto Scarface, caz*o!) e Fuga di mezzanotte, la prima che ha creato, e che gli è valsa un Oscar. (Ok, non era la prima, la prima l’ha scritta nel 1969 tornato dal Vietnam, la paranoica stesura di quello che diventerà Platoon). Con Oliver Stone, una direzione, una tesi, ce l’hai, sempre, ed è politica, è ‘contro’, e da un’altra parte.

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Oliver Stone è un divoratore di testi storici e uno scrittore-lumaca, scrive lentissimo, battendo sui tasti con un dito solo, e ci mette mesi a limare qualche pagina decente. Che poi diventano film, stroncati la gran parte dai critici e da tutte le teste d’uovo possibili, ma non è vero che Stone sia antiamericano e odi il suo Paese, seppure sia mezzo francese la verità è che non credo vi sia uomo che ami la sua Nazione quanto lui, che ha capito che la forza dell’America sta nel raccontarsi e così svelarsi nel suo Bene ma soprattutto nel suo Male, nel mettersi costantemente sotto processo uscendone ogni volta più forte. Migliore. Per far questo bisogna essere patriottici, quel patriottismo che Stone mette nei suoi film e che mi fa sentire sbagliata perché dai, riconosciamolo, noi italiani patriottici non lo siamo né lo saremo mai, è un sentimento a noi alieno, con cui non ci crescono, e che non puoi darti da solo.

Barbara Costa

Gruppo MAGOG