Tra gli apocrifi del Nuovo Testamento, uno spazio particolare, per spettro lirico e coerenza letteraria, spetta alle Odi di Salomone. Raccolte intorno al II secolo, in ambiente gnostico, le odi erano note a Lattanzio e sono esplicitamente citate nella Pistis Sophia, tra i grandi vangeli gnostici. Il manoscritto siriaco pubblicato da James Rendell Harris nel 1909 – The Odes and Psalms of Solomon – registra un salterio di 42 testi; alcuni di questi esistono anche nella versione copta. Delle odi – di cui si danno qui, in calce, alcuni frammenti, in nuova traduzione – sorprende la varietà delle immagini, l’amore per il dettaglio, il rombo dell’incommensurabile e il sussurro della creatura più piccola, minima: il semita, tra locuste, scorpioni e corazze sgargianti, impara l’arte da miniatore di un Vermeer. L’originalità – concetto vieto, moderno – consiste nell’espiare la tradizione, apprenderla per liquefazione: il poeta – anonimo – obbedisce all’eccesso, levita nel sì; la poesia esibisce tensione aurea (o errore d’errante) nel canto comunitario.
Secondo Mario Erbetta, che accoglie le Odi di Salomone tra Gli apocrifi del Nuovo Testamento (Marietti, 1975): “La mistica delle Odi sembra decisamente contraria al giudaismo ufficiale, nomista e così lontano dal suo Dio. L’autore naviga in un mare di luce, conoscenza e verità. I concetti opposti a questi sono: tenebre, ignoranza ed errore. In questa triplice antitesi è raccolto soprattutto il suo messaggio. La conoscenza è per lui vestito di luce, latte che nutre i pargoli, acqua che inonda la terra riarsa ed estingue la sete, acqua parlante che inebria”.
Le Odi di Salomone rispecchiano il salterio di Davide, ne sono il contrappunto misterico. Il sigillo delle Odi è, appunto, la figura di Salomone, il re sapiente per antonomasia, figlio dell’unione tra Davide e Betsabea, cioè, allo stesso tempo, dell’adulterio e dell’assassinio, del perdono e dell’assoluzione. Salomone conosce ogni antro del cuore umano; conosce la parola che lega e quella che scioglie. L’unione con la regina di Saba conferisce ulteriore sapere al re, figura alchemica che tuttavia si lascia concupire perfino dall’idolo e dal feticcio. Secondo lo Zohar, il santo libro dei cabbalisti, Salomone è il simbolo “di una conoscenza che non si ferma nemmeno davanti alle porte dell’oscurità”. In un racconto riferito dal testo – censito da Giulio Busi come L’aquila di Salomone; in: Zohar. Il libro dello splendore, Einaudi, 2008 – Salomone doma e cavalca un’aquila, verso “i monti oscuri” e “il deserto”:
“là venne a sapere tutto ciò che voleva a proposito delle dottrine straniere che desiderava conoscere”.
Secondo l’etimologia, Salomone significa pace, il pacifico, è il figlio che rinsalda i rapporti tra Davide e Dio. Il nome nascosto di Salomone, però, quello assegnatogli da Dio, è Jedidiah che significa amato da Dio. Sconfinare nella pianura che apre un nome, vigilarne le valli, abbeverarsi alla sua oasi. L’intimo insegnamento, salomonico: di ogni cosa bisogna scoprire il nome vero, celato; il resto, è velo.
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Odi di Salomone
(II secolo)
Ho circonciso il mio cuore e il frutto è apparso. La grazia germina e la messe produce per Dio. L’incommensurabile mi ha circonciso con la lama dello Spirito ha squarciato i miei lombi mi ha innestato l’amore: circoncisione è la mia salvezza.
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L’acqua ha le labbra e mi sussurra le parole di Dio, gravi di vita. Ho bevuto dalla sorgente immortale: la mia ebbrezza non si volta in follia mi allontana dalla vanità, mi porta danzando verso Dio – per Suo merito mi disseto.
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Dio è il mio sole – la sua vicinanza acceca dal mio volto stilla rugiada: respiro l’aroma del Potente egli mi introduce nel suo giardino dove è delizia e splendore – ho visto alberi dai frutti enormi.
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La chioma dilaga come una corona i rami, oceanici, porgono frutti preziosi: hanno radici su suolo immortale il fiume li intride di gioia – il Potente ho adorato nella sua casa gloriosa
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Gli alberi della terra sono malinconici ma chi si converte al tuo volere gioisce – beati quelli che dirigono le dighe del tuo regno, che saggiano le acque della memoria eterna. Immenso è il Tuo giardino dove ogni cosa porta frutto.
Alleluia
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La colomba si posa sulla testa del Messia
ne hanno paura i cittadini i viaggiatori rabbrividiscono
gli uccelli scappano i rettili soffocano nelle loro tane
abisso inchiavato – abisso scoperchiato: tutti cercano Dio come fossero partorienti
poiché nulla appartiene loro il cibo scarseggia
l’abisso è sigillato dal Potente: l’infedele è divorato dal proprio pensiero
ogni cosa è imperfetta niente è degno di aggettivo
il Potente disintegra la fantasia di chi non crede in Lui
il Potente semina la via in terra straniera: grazia
gli inutili che hanno accesso alla sua santità.
*
Mi è stata offerta una tazza di latte: ne ho bevuto e ho scoperto la dolcezza di Dio.
Il Figlio è la coppa il Padre è colui che è munto il grande mungitore è lo Spirito Santo.
Ha i seni gonfi e il latte non goccia inutilmente.
Lo Spirito Santo s’inoltra tra le vesti del Padre munge il latte dai seni del Padre:
mistura che allieta il mondo chi ne beve è alla Sua destra.
Lo Spirito ha separato il grembo della Vergine per ricevere il suo latte.
Vergine, madre di misericordia, ha partorito senza levatrice:
partorisce l’Iddio uomo con dignità e gentilezza:
lo ha amato e le fasce ne rivelano la maestà.
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I fiumi sono la potenza di Dio: rovesciano chi lo maledice.
Scombina i loro sentieri disintegra i patti
sbanda i corpi corrompe la loro natura.
I fiumi sono più veloci del lampo ma chi li attraversa con fede non si spaventa;
chi cammina senza difetto non si scuote:
su loro è lo stigma di Dio il sigillo della Via: superano ogni cosa perché sono Suoi.
Rivestiti del Nome e i fiumi si inginocchieranno.
Germoglio della sua Parola Egli li ha attraversati a piedi.
I suoi passi sulle acque sono come una trave di legno:
le onde si alzano ma i passi di Dio sono fermi.
Nessuno li cancella nessuno li distrugge.
La Via è fissata per i suoi seguaci per chi indossa il destino della fede.