La domenica parlano – con sperabile ispirazione – i preti. Il lunedì, da incosciente, metto il cranio dentro la liturgia domenicale. Screziando, da dis-graziato, i testi. La liturgia la trovate, per comodità, qui. Io uso il Nuovo Testamento interlineare, bisciando tra italiano, greco e latino. Pigliate questi come appunti sul margine sfinito, come punti d’appoggio – o di rovina – sulla roccia.
*
Anzi tutto, la guerra è contro le convenzioni del mondo. Quando Gesù “chiamò a sé i Dodici” – ma in quei Dodici, dodeka, è siglato un popolo, la stagione degli scelti – li manda a coppie (“due a due”), perché uno sia fiamma all’altro nella notte e protezione e medico (qui si salda, in fondo, l’imperio dell’amicizia in contrasto al potere di eros), nudi. I discepoli vanno alla guerra senza cibo, senza zaino, senza denaro, senza il cambio dei vestiti: eletti nell’insussistenza, viaggiano, veleggiano sulla fede, affidati, fiduciosi (“ordinò che niente prendessero… non pane né bisaccia, né denaro nella cinta, calzati i sandali, senza due tuniche”, Mc 6, 8-9). A questi guerrieri, spogli di tutto – per recidere ogni legame con ciò che non è immediato, liberi dal servaggio dell’uomo e delle cose del mondo –, è concesso solo “un bastone”: perfeziona la marcia del viaggio, permette una primitiva difesa. Tutto il mondo è nemico del cristiano, per cui il mondo è fatto, che paradosso. Il carisma dato da Gesù ai Dodici è “potere sugli spiriti impuri” (Mc 6, 7): i discepoli “annunciano la conversione, cacciavano molti demoni, ungevano i malati, guarivano” (Mc 6, 12-13). La guerra è contro le cose del mondo e contro gli spiriti del male, ancelle del demonio. Il male esiste, il male è spirito, ispirazione del demonio che regola il barometro dei muscoli: i discepoli prima chiedono la fede (la conversione), poi combattono i demoni, preparano i malati alla morte, guariscono. I Discepoli vanno dove c’è l’ulcera, il male, la ferita: Cristo ha frequenza nel dolore. Prima si ha cura del malato ‘terminale’ – che si unge per facilitare la gita tra le mascelle di Dio – poi quello che guarirà.
Il cristianesimo è per tutti, ma non è democratico: Dio procede per elezione, non per seggi elettorali. “Ci ha eletto prima della creazione del mondo, per essere santi e irreprensibili davanti a lui nell’amore”, scrive Paolo agli Efesini. Alcuni sono eletti prima della creazione, navigano da sempre nell’idea di Dio, altri si convertono (“anche voi, che avete udito la parola di verità… siete stati segnati con lo Spirito santo promesso”, Ef 1, 13): chi non ammette la conversione, è escluso dall’“eredità” (“nei luoghi che non vi accolgono né vi ascoltano, andando via, scuotete la polvere sotto i vostri piedi, in testimonianza contro di loro”, Mc 6, 11). Gesù si offre nudo, nel perdono e nella proposta: quanta pazienza occorre per arginare un rifiuto? Verrà data una seconda possibilità a chi ha umiliato i messaggeri? Qualcuno pensa ancora di non essere in guerra? Il sangue sigilla il cristianesimo (“mediante il suo sangue otteniamo la redenzione, il perdono dalle colpe”, Ef 1, 7), che è una religione radicale, di guerra. Dio, consapevolmente, sceglie gli ignoti, eleva dall’infermità del creato il suo profeta: Amos, vissuto all’epoca di Geroboamo II, dice di essere “un mandriano, coltivavo piante di sicomoro” (Am 7, 14; forse ha coltivato quello stesso sicomoro su cui, 700 anni dopo, Zaccheo, “capo dei pubblicani e ricco… troppo piccolo di statura” si arrampica “per vedere chi fosse Gesù”, Lc 19, 2-3), non è un professionista della parola (“non ero profeta né figlio di profeta”). Eppure, è proprio lui, incapace alla parola, che pretende Dio, “mi chiamò mentre seguivo il gregge” (Am 7, 15), per incarnare la sua Parola. Siamo certi, allora, che il male nel creato – lo dice Paolo – era previsto, e previsto chi lo avrebbe estirpato, e che il disegno di Dio è “benevolo” (Ef 1, 9). È come se Dio volesse rifare il mondo, di cui è misticamente insoddisfatto: dopo aver scelto alcuni – i marginali, gli inadatti – rifà la creazione, ricostruisce i criteri del mondo, come un pittore che non si vede nel suo autoritratto e ne rifà i connotati. Con il coltello, con i denti. (d.b.)