17 Aprile 2021

“Sono disgustoso”. Paolo Nori su Tolstoj e Dostoevskij

Il non incontro

Nella biografia di Pavel Fokin Dostoevskij bez gljanca, che significa “Dostoevskij senza orpelli” (ma che, essendo “orpello” una parola che, in italiano, è un po’ un orpello, si potrebbe anche tradurre Dostoevskij senza tante balle), c’è un capitolo che si intitola Nevstreca s L. Tolstym, che vuol dire “Il non incontro con Lev Tolstoj”.

Cioè: il fatto che Tolstoj e Dostoevskij, in vita, non si siano mai incontrati, pur essendo i due scrittori russi più celebri, nella seconda metà dell’Ottocento, è una cosa talmente singolare e strana, da meritare un capitolo in una biografia. Cioè c’è un legame, tra questi due signori, che, forse, è perfino superiore al legame che c’è tra Stanlio e Ollio, o tra Gianni e Pinotto, o tra Ric e Gian, o tra il babbo e la mamma. Forse.

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Lev-Fëdor

Nel 2018, nel negozio di libri più grande di Mosca, ho trovato la traduzione russa del saggio di uno scrittore francese, Pierre Bayard, intitolato Il mistero Tolstoevskij. Scrive Bayard:

«Tra gli autori che hanno trattato la questione della personalità multipla, bisogna citare il grande scrittore russo Lev-Fëdor Tolstoevskij. Tutti quelli che hanno letto i suoi libri sanno che i suoi personaggi vivono in un mondo di passioni, compiono azioni incomprensibili – anche per sé stessi –, sfuggono volontariamente la felicità, sono alla ricerca della sofferenza e tormentano furiosamente sé stessi e gli altri.»

E poi:

«Non siamo del tutto certi della precisione di alcuni dati ed episodi della vita di Tolstoevskij, ma, nonostante le contraddizioni contenute nella di lui biografia, ci permettiamo di riassumere le principali caratteristiche della personalità dello scrittore. Prima caratteristica: Tolstoevskij è il protagonista del proprio universum letterario. Sfugge miracolosamente alla condanna a morte, passa alcuni anni ai lavori forzati, partecipa, in prima linea, a una campagna militare, soffre di terribili attacchi di epilessia, si rovina ai tavoli da gioco, cerca, più di una volta, di farla finita, viene ritrovato in una piccola stazione ferroviaria di provincia dove era fuggito per nascondersi al mondo, come se venisse fuori, lui stesso, dal burrascoso universum che ha descritto nei propri libri.»

Cioè, nel libro di Bayard è come se fosse successo davvero quello che, all’inizio del secolo scorso, si è augurato succedesse lo scrittore e critico russo Dmitrij Sergeevic Merežkovskij.

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Dmitrij Sergeevič Merežkovskij

Merežkovskij era un signore molto elegante, sposato con una donna molto elegante, con un nome elegantissimo, Zinaida Gippius, raffinata poetessa lei, raffinato intellettuale lui, romanziere, anche, autore di un romanzo su Leonardo da Vinci con delle invenzioni come l’aiutante di Leonardo, che si chiamava, se non ricordo male, Argo, che aveva la passione per il volo e provava in anticipo le macchine volanti di Leonardo e si faceva male, era sempre ingessato, o come le voci che correvano sugli abitanti dell’America, che, quando Leonardo operava, era appena stata inventata, mi viene da dire, ma sarebbe più corretto dire scoperta, e mi ricordo che nel libro di Merežkovskij si diceva che, in America, c’era una popolazione che, chissà perché, Merežkovskij chiama «i pigmei», che avevano le orecchie così grandi che, quando andavano a dormire, uno serviva da materasso, l’altro da coperta, mi ricordo.

Ma il libro che mi ricordo di più, di Merežkovskij, è un libro che si intitola Tolstoj e Dostoevskij e che paragona i due scrittori e dice che sono un po’ l’uno il contrario dell’altro.

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Dostoevskij e Tolstoj

«Dostoevskij – scrive Merežkovskij – non aveva bisogno di convincersi che i soldi erano un male al quale bisognava rinunciare: era tormentato dalla povertà e dava ai soldi un grande valore; ma appena gliene capitavano in mano, li trattava come se li considerasse non tanto un male, quanto una sciocchezza. Li amava, o credeva di amarli, ma loro, i soldi, lui, Dostoevskij, non lo amavano. Tolstoj li odiava, o immaginava di odiarli, ma loro lo amavano e erano loro che andavano da lui. Uno – continua Merežkovskij – che ha sognato per tutta la vita di essere ricco, ha vissuto in povertà e, se non fosse stato per il senso pratico della moglie, sarebbe morto in miseria. L’altro, che ha sognato per tutta la vita la povertà, non solo non ha distribuito le proprie ricchezze agli altri, ma le ha aumentate. Forse – conclude Merežkovskij – questi sono dettagli, nella vita di due persone come quelle, ma è singolare che, anche in dettagli di questo genere, quei due fossero opposti, tra loro.»

Questa opposizione, secondo Merežkovskij, si estende a tutta la vita dei due scrittori, alla loro relazione con la politica, al loro rapporto con le donne, con le mogli e con le autorità civili e religiose, come si dice. In sostanza, Merežkovskij crede che uno dei due sia un uomo spirituale che aspira alla carnalità, cioè un uomo lunare che vuole atterrare sulla terra, l’altro un uomo carnale che anela allo spirito, un terrestre che vuole la luna.

Il primo, il lunare che vuole la terra, è Dostoevskij, il secondo, il terrestre che vuole la luna, è Tolstoj.

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Una sintesi

Merežkovskij, in quel libro stranissimo, leggibilissimo, singolarissimo e fertile, che ha determinato, tra le altre cose, la nascita del simbolismo russo, fa una previsione molto simbolista, mi viene da dire. Una delle parole chiave di quel movimento, e di quel periodo storico, è nakanune, che significa “alla vigilia”.

Si ha l’impressione di essere alla vigilia di un cambiamento profondo, straordinario, irreversibile, e i giorni presenti, anche nei loro dettagli insignificanti, diventano importantissimi, in quanto presagi di quel che sta per succedere tutto d’un tratto. Mi piace il fatto che due protagonisti di quella stagione, il poeta Vladislav Chodasevič e la scrittrice Nina Berberova, che hanno vissuto, per un certo periodo, insieme, a Sorrento, ospiti di Maksim Gor’kij, nelle loro rispettive memorie, Necropoli e Il corsivo è mio, indichino, Chodasevič descrivendola, la Berberova con una cartina, l’ubicazione delle stanze della villa dove hanno abitato e l’indicazione della stanza dove dormivano, come se fosse importantissimo far sapere ai posteri che avevano dormito proprio in quella stanza lì, non in un’altra. Se avessero dormito in un’altra stanza sarebbe cambiato tutto, probabilmente.

Anche Merežkovskij, in Tolstoj e Dostoevskij, prevede, per l’imminente futuro, un cambiamento importante: la comparsa, in Russia, di un romanziere che, come Raffaello è stato, in un certo senso, la sintesi tra Michelangelo e Leonardo, sia la sintesi tra Tolstoj e Dostoevskij, e di questo compito, di permettere la nascita di un Raffaello russo, Merežkovskij fa carico ai russi suoi contemporanei:

«Ogni russo mosso da un vero sentimento religioso – scrive – deve sapere che da un’impercettibile, minima pulsione della sua volontà, da un movimento di atomi, forse, dipende il destino dell’Europa e, per quanto ognuno di loro si consideri insignificante, per quanto vergognoso possa sembrare lo stato della cultura russa contemporanea, non ci si può liberare impunemente dell’eredità di Pietro, di Puškin, di Tolstoj e Dostoevskij, proprio oggi, quando questa eredità è più necessaria che mai, non solo a loro ma anche a coloro verso i quali abbiamo un debito irredimibile: o noi, o nessuno.»

Credo che molti lettori del libro di Merežkovskij abbiano creduto, o abbiano cercato di contribuire, all’imminente comparsa di una sintesi tra Tolstoj e Dostoevskij, e credo che, con tutta l’ammirazione che ho per lo straordinario valore della letteratura russa del Novecento, l’auspicio di Merežkovskij non si sia avverato. A me sembra che l’unica sintesi, tra Tolstoj e Dostoevskij, che ho avuto la fortuna di incontrare sia quel libro di Pierre Bayard su Tolstoevskij pubblicato più di un secolo dopo quello di Merežkovskij.

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Anche i critici

Sono tantissimi, i critici che si sono occupati di Tolstoj, e ancor di più, probabilmente, quelli che si sono occupati di Dostoevskij, e se dovessi sceglierne uno per ciascuno, se dovessi indicare, cioè, i critici che mi hanno fatto leggere le opere, rispettivamente, di Dostoevskij e di Tolstoj, più in profondità, con più intelligenza di quando li avevo letti senza di loro, direi Michail Bachtin, per Dostoevskij, e Viktor Šklovskij, per Tolstoj.

Bachtin dice un sacco di cose, su Dostoevskij, la prima delle quali è forse il fatto che i romanzi di Dostoevskij sono romanzi polivoci. Secondo Bachtin, quasi tutti i romanzi moderni sono polivoci, ma quelli di Dostoevskij più e meglio degli altri, tanto che, secondo Bachtin, è difficile, nei romanzi di Dostoevskij, identificare la voce dell’autore, le opinioni dell’autore, perché le voci dei singoli personaggi sono così ben modulate, così convincenti, così dignitose, così autorevoli, che è come se stessero tutte sullo stesso piano. E quando Bachtin deve trovare un esempio contrario, nella letteratura russa moderna, cioè un’opera nella quale la voce dell’autore supera, mortifica, soffoca, le voci dei personaggi, l’esempio è lì, a portata di mano: Lev Nikolaevic Tolstoj.

Viktor Šklovski, nel suo ultimo libro, che si intitola L’energia dell’errore, parlando di Anna Karenina scrive:

«Tolstoj trasferisce ad altri il proprio modo di pensare. È come se fosse lui a morire di febbre. È lui ad avere pietà e quasi ad amare il vecchio Karenin, e questi pensa per conto suo [di Tolstoj] e anche Vronskij pensa per conto suo [di Tolstoj].»

Cioè sembra che Šklovskij, su Tolstoj, dia ragione a Bachtin. Solo che poi Šklovskij continua così:

«Cerco di fare un’osservazione. Il romanzo Anna Karenina è tutto costruito sui monologhi interiori, si potrebbe dire, sull’incomprensione reciproca. Forse questa dichiarazione è inattesa, ma rileggendo più volte il libro ci si stupisce più che leggendo Dostoevskij. Lì, in Dostoevskij, i personaggi pensano tutti allo stesso modo, come se fin dall’infanzia avessero letto un solo autore: Dostoevskij.»

Ecco.

Quando saltano fuori Tolstoj e Dostoevskij, litigano anche i critici.

A me, invece, piacciono tutti e due.

Voglio bene sia al babbo che alla mamma.

Sono disgustoso.

Paolo Nori

*Il testo è tratto da: Paolo Nori, “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij”, Mondadori, 2021; il capitolo si intitola “Tolstoj e Dostoevskij” e inizia a pagina 163

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