Ogni tanto mi capita di voler camminare, per le stradicciuole poco illuminate attorno a casa mia, stradicciuole che si perdono in sentieri, sentieri che si perdono nei boschi e se ci si inoltra ancora un po’ si finisce sui monti. Si possono contemplare le stelle e la luna, si può ascoltare il silenzio, il vento tra gli alberi e le foglie, il canto dei grilli. Si può soprattutto osservare. E osservando le finestre delle case chi mi capitano lungo il cammino, mi prendono sentimenti e pensieri, la mia mente si perde in storie immaginarie, storie dietro quelle finestre. Finché non mi capita di vedere chi ci abita, in quelle case, affacciate a quelle finestre o sui balconi. Mi capita di vedere chi ci abita e l’immaginazione non può che tramutarsi in malinconia, vuoto e tristezza. Da quelle finestre, da quei balconi, nessuno fa la cosa più ovvia e più bella, che un essere umano dovrebbe fare. Osservare, appunto. No, i loro occhi sono bassi, su un cellulare. Come se il mondo attorno non fosse niente, non fosse nulla. Inseguendo l’ultimo stupido messaggio o l’ultima idiozia dell’ultima (sono tutte ultime) influencer. Poi torno a casa e mi consolo. Mi consolo, come sempre, tra le pagine e nelle pagine dei libri. E, ultima lettura consolatoria tra queste, è il romanzo finora inedito di un’autrice totalmente sconosciuta in Italia: Norah Lange.
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Norah Lange che è associata indissolubilmente a Jorge Luis Borges, per aver (si racconta e si scrive) spezzato il suo cuore e sopito e seppellitone le velleità di poeta per lustri. Norah Lange quindi musa, Norah Lange poetessa anch’essa, Norah Lange che è anche stata scrittrice di romanzi. Ed è proprio il romanzo Figure nel salotto, poche settimane or sono pubblicato da Adelphi, che ha dato un senso alle mie recenti camminate, riportandomi in un mondo, in un’epoca, in un’umanità consolante e rassicurante. Dove la normalità, la leggerezza e anche l’ingenuità assumevano toni e colori poetici e davano un senso all’essere umano, quando era ancora essere. E ancora umano.
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La trama del romanzo è una storia semplice. Una ragazzina che dalla finestra della sua stanza osserva la vita e le vite di tre donne, nel salotto della casa di fronte. E se ne innamora, se ne infatua. Le fa entrare nella sua vita in un susseguirsi di situazioni che sono in bilico tra sogno e realtà e ci si chiede quale sia l’una o l’altra a dipanarsi nelle pagine, scritte in maniera sublime. L’incipit del romanzo basta di per sé a folgorare l’attenzione e a farti presagire l’incanto del seguito: “Quando gli altri ricordavano calle Juramento, mi sorprendeva sempre la facilità con cui ripescavano una data destinata a durare, un episodio senza interesse, la gioia quieta di quanto vi era accaduto all’epoca. Quasi non si staccavano dalla casa dove avevamo vissuto due anni e, quando lo facevano, era per allontanarsene definitivamente, finché un giorno come tanti, senza volere, qualcuno vi si avvicinava di nuovo. Per me, invece, quella casa era stata soltanto il posto più adatto e più comodo per sorvegliare l’altra. Se qualcuno sbagliava nel ricordare, una voce paziente correggeva il colore di un vestito o la sera in cui era stato chiamato il medico, e allora io poco a poco mi estraniavo, perché calle Juramento per me sarebbe sempre stata – solo a sentirla nominare, poi poteva diventare altro – un salotto che dava sulla strada, con angoli appena più in penombra, e tre volti chiari che sembravano vivere a loro agio. Un salotto che non era il nostro, e benché io percorressi calle Juramento in cerca di qualcosa di dimenticato, da perfezionare e forse da preferire, riuscivo solo ad attaccarmi a quel mezzo isolato finale che era bastato a farne la mia strada prediletta, comprensibilmente prediletta”.
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La protagonista, l’io narrante del racconto osserva, contempla, in attesa di trovare la forza, il coraggio, di vincer la paura e rendere quella finestra di fronte teatro della sua vita, di entrarci e di farne parte: “Finché, un pomeriggio, decisi di passare vicinissimo alla casa di fronte, più vicino possibile ai balconi, all’ingresso buio, e tuttavia all’ultimo momento mi distrassi. Loro mi capirono quando glielo raccontai, molto tempo dopo, e mi perdonarono, e forse mi vollero ancora più bene, come se fossi stata un po’ sfortunata, ma la cosa non impedì che, mentre parlavamo, una specie di «che peccato!» desolato, ma quasi senza rimpianto, rendesse vano gran parte di quel pomeriggio e di molti altri pomeriggi, perché dietro a quel «che peccato!» così implacabile e definitivo si muovevano due mesi di volti dietro a una finestra, di guanti bianchi che non erano invecchiati, di un cavallo morto in mezzo alla strada, e molte cose che erano ormai successe e di cui parlammo in seguito, ma soprattutto la sua voce, la sua voce così simile alla mia”.
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L’attesa, l’incontro, i sotterfugi per arrivare a questo incontro e quindi l’incontro stesso, sono dipinti di (e da) figure e immagini che paiono a volte indecifrabili, evocano fantasmi e deliri. Fantasmi e deliri che la poetica di Norah Lange, rende ammalianti e coinvolgenti. Le finestre di fronte, se qualcuno si prendesse la briga di osservarle ancora, possono aprirti mondi meravigliosi. Che nessuna idiozia odierna “dentro” un display può minimamente avvicinare.
Cosimo Mongelli