17 Gennaio 2018

Non possiamo non dirci tondelliani. Ecco perché Tondelli è (ancora) l’autore decisivo di oggi

C’è un ricordo impressionante. E c’è un pregiudizio da vincere. Il ricordo è banale. Condiviso da falangi di lettori. Ero al liceo. Pieni anni Novanta. La mia prof sa nulla di letteratura contemporanea e non gli garba l’alunno – io – che balocca con la scrittura. La collega della classe a fianco, femminista, dell’estrema, con marito jazzista di provincia, è una lettrice fenomenale. Comprovato il mio talento, un giorno, mi getta sul banco un tozzo di tomi. Sergio Atzeni, Carlo Emilio Gadda, Edoardo Sanguineti, Pier Vittorio Tondelli (in copertina in una delle magnetiche fotografia di Fulvia Farassino scattate a Riccione, per concessione dell’Associazione Riccione Teatro). Gadda è bello perché illeggibile; Sanguineti è bello perché impossibile; Atzeni, troppo accessibile. Di Tondelli la prof della classe a fianco mi dà Altri libertini. Lettura – ovviamente – che percuote. Immagine indelebile. Giusy che sfrega il cazzo di Bibo in Postoristoro – “si gonfia Bibo come si gonfia, si alza, sei un chiavatore Bibo, il migliore, stai chiavando, si rizza, si rizza, mette le ali Bibo, è grosso, è ritto, è grande, su e giù, cazzo! Figa!” – e poi gli ficca la siringa lì, nell’affare eretto, dove resta ancora il residuo di qualche vena e il tintinnio del sangue, perché Bibo “non c’ha più vene buone”. La lettura di Altri libertini è ancora lì, gloriosamente sgradevole. Il pregiudizio è che il resto dell’opera di PVT sia datatissima, roba per ricostruire sociologicamente il ‘clima’ degli Ottanta, ma letterariamente sgretolata dall’evo. A parte Biglietti per gli amici, opera di pervaso lirismo. Tondelli s’è talmente intriso, intrippato nel proprio tempo da restarsene in esilio dagli assoluti, nell’anticamera della grandezza, mi dicevo. Poi, studiando gli archivi – poveramente sontuosi – del Premio Riccione – che Tondelli vince nel 1985 con Dinner Party e per cui lavora, nel 1990, compilando, in Ricordando Fascinosa Riccione, un imprevedibile repertorio narrativo della Riviera romagnola – scopro, da neofita idiota, che PVT non è solo l’intellettuale sagace che tutti sanno. È uno che accoglie. Che ama per davvero. Che per davvero – penso soprattutto al progetto Under 25 – lascia spazio agli altri perché gli altri divengano più bravi, famosi, felici di lui. Quando ho studiato alcune carte di Pasolini, invece, l’effetto mi è parso l’opposto. Pasolini è generoso con gli ignoti finché gli serve. Poi vampirizza. Lascia spazio per andarsene. O per uccidere. Tondelli no. Detto questo. L’agiografia di PVT – ricordi, ricordini, esegeti, tutti a mettere le unghie critiche sul cadavere eccellente – mi ha sempre dato il voltastomaco. Ora. Roberto Carnero, storico della letteratura di pregio – ha scritto, tra l’altro, proprio di Pasolini ma anche di Silvio D’Arzo, di Guido Gozzano e degli ‘scapigliati’ – ha firmato per Bompiani – dopo un antico libro per Interlinea, nel 1998 – con Lo scrittore giovane (pp.240, euro 11,00) il libro necessario su Pier Vittorio Tondelli. Che ne inquadra l’opera – ri-letta libro per libro – e la cornice storico-esistenziale, connettendola al fenomeno editoriale – inventato da Tondelli – del ‘giovanilismo’, della giovinezza come categoria estetica o quasi. Il tutto, senza le moine del critico che vuol far vedere quanto è intelligente. Per questo, vincendo pregiudizi e antichi amori, ho contattato Carnero.

Mi viene da farti una domanda cretina: ancora Tondelli? Perché? Cerco di specificare. Tondelli appare come un autore di ‘rottura’ tanto quanto Pasolini è di ‘reazione’, uno (PVT) pare includere laddove l’altro (PPP) esclude, o meglio, include ciò che interessa a lui solo (penso, per dire, al loro lavoro critico, ‘maieutica’ nel caso di PVT e ‘cannibale’ nel caso di PPP). Aiutami a capire qualcosa sull’attualità – se permane – di Tondelli e i suoi rapporti – se ci sono, metaforici – con Pasolini.

“Certamente la presenza autoriale di Pasolini, il suo ‘ego’ artistico e letterario è molto forte e si autoimpone, più di quanto faccia l’autorialità tondelliana. Ciò non significa, chiaramente, stilare graduatorie o proporre paragoni tra due autori molto diversi e distanti per tutta una serie di motivi. Mi limito perciò, nel rispondere alla tua domanda, a focalizzare l’attenzione su un tema, quello della condizione omosessuale, per evidenziare la differenza tra i due scrittori nel modo di trattarlo. Pasolini, pur non facendo mistero della propria omosessualità, non pubblica in vita Atti impuri e Amado mio, i suoi due testi più espliciti sull’argomento, che saranno editi postumi (nel 1982). I frutti del cambiamento nel costume sociale indotti dalla ‘rivoluzione sessuale’ degli anni Sessanta e Settanta appaiono invece maturi nella produzione letteraria degli anni Ottanta, e Tondelli, insieme ad Aldo Busi, rappresenta bene questo cambiamento generazionale. Il personaggio omosessuale, fino a quel momento «eroe negato» (come si intitolava un libro di Francesco Gnerre sull’omosessualità nella letteratura italiana del Novecento), ora può essere protagonista a pieno titolo di romanzi e racconti. tondelli carneroL’«amore che non osa dire il suo nome» (per dirla con Oscar Wilde) finalmente può gridare se stesso a gran voce. L’essere contemporaneo di Tondelli, a questo proposito, sta proprio nel rappresentare la condizione omosessuale (nelle diverse fasi della vita: università, servizio militare, età matura) nei termini di una quotidiana normalità, senza che per questo, però, vengano negati o anche solo sottaciuti i problemi, sociali e psicologici, che essa continuava a comportare nel contesto di quegli anni, prima della più ampia accettazione culturale che si sarebbe sviluppata, anche nel nostro Paese, all’alba del nuovo millennio, sebbene anche oggi non manchino gli episodi di omofobia. Va detto però che Tondelli non legge l’omosessualità in termini ideologici e neppure identitari, come oggi per lo più si tende a fare. Tondelli è contrario a una riduzione della complessità della persona alla dimensione delle inclinazioni sessuali, che, affermava, sono certamente importanti nella costruzione dell’identità individuale, ma non possono diventare l’unico elemento per cui una persona si identifica per ciò che è, pena il rischio dell’autoghettizzazione”.

La caratteristica di Tondelli “di essere e di apparire subito come uno scrittore moderno, anzi contemporaneo”, come scrivi, non rischia, oggi, di fare apparire la sua opera un po’ ‘datata’? Qual è l’opera di Tondelli che resiste meglio alla corruzione dei tempi, delle mode, del linguaggio?

“È vero, l’opera di Tondelli è strettamente legata agli anni Ottanta, dei quali fornisce un’immagine e una rappresentazione in presa diretta. Lo slang giovanile, come sappiamo, subisce trasformazioni rapidissime: chi come me ha a che fare quotidianamente con gli adolescenti nell’insegnamento sa che certe espressioni cambiano da un anno all’altro. Quindi il linguaggio giovanile dei tardi anni Settanta e dei primi anni Ottanta che troviamo in Altri libertini o in Pao Pao non è più attuale. Però è talmente incisivo il ritmo della scrittura, quello che Tondelli (citando Arbasino) chiamava «il sound del linguaggio parlato», che ancora oggi quei due libri sono assolutamente godibili, e comprensibili, al di là delle mutazioni linguistiche intervenute nel frattempo. Ma forse è soprattutto la forza emozionale delle sue storie che riesce a parlare ancora oggi ai lettori giovani e meno giovani: e allora anche un romanzo come Camere separate è ancora attuale”.

Connetti da principio Tondelli al fenomeno dei ‘giovani’, del ‘giovanilismo’. In effetti, Tondelli è autore dall’esordio precoce e che precocemente s’inventa l’Under 25, come se essere giovani costituisse di per sé una categoria editoriale, una forma letteraria particolare, unica. Cosa ne è, oggi, dei ‘giovani tondelliani’ – o ‘tondellini’ – di allora? E, soprattutto, ci sono giovani Tondelli o ‘tondelliani’, oggi?

“C’è stato un magistero indiretto, quello svolto da Tondelli attraverso i suoi libri (come avviene con ogni scrittore di un certo peso), ma anche un magistero diretto, che si è realizzato attraverso il Progetto Under 25, il quale ha rappresentato un fondamentale punto di snodo tra la sua generazione e quella successiva: da esso sono emerse le voci più originali della scrittura giovanile dei due decenni seguenti. Così nel 1985, quando è già un autore affermato, Tondelli invita i giovani aspiranti scrittori (unico requisito: un’età inferiore ai venticinque anni) a inviargli i loro testi; lui li legge e svolge, su quelli meritevoli, un intenso lavoro di editing. Così escono, tra il 1986 e il 1990 (presso una piccola casa editrice di Ancona, Transeuropa), tre volumi di racconti di esordienti assoluti, tra i quali troviamo i nomi di alcuni degli autori più significativi della narrativa di oggi: tra gli altri, Andrea Canobbio, Claudio Camarca, Gabriele Romagnoli, Andrea Mancinelli, Romolo Bugaro, Andrea Demarchi, Silvia Ballestra, Guido Conti, Giuseppe Culicchia. Ma al di là dei ‘tondelliani’ della prima ora sono convinto che l’opera di Tondelli abbia continuato e continui a influire anche sulle scritture oggi ‘in corso’”.

Perché leggere ancora Tondelli? Per riesumare il tempo che fu e più non è, per nostalgia, o perché è ancora una lezione di lungimiranza romanzesca, di ricerca narrativa?

“Non c’è dubbio che Tondelli ci fornisca, come dicevo sopra, una rappresentazione del suo tempo, che può dunque essere ripercorso efficacemente attraverso i suoi libri. Ma credo che la sua lezione si esplichi soprattutto sul piano dell’affermazione del valore, dell’unicità e dell’insostituibilità della letteratura in un’epoca in cui essa andava aprendosi ad altri linguaggi, facendosene contaminare: dalle avanguardie artistiche alla musica leggera, dal cinema al fumetto. Un processo che sarebbe andato molto avanti negli anni successivi, e che tutt’oggi si sta sviluppando in direzioni magari fino a ieri impensate (si pensi al ruolo dei new media). Conviene però tornare, in questo senso, all’esempio e all’insegnamento originario di Tondelli, perché non sempre gli scrittori che hanno proseguito quest’opera di intersezione tra i linguaggi hanno dimostrato di possedere la consapevolezza, che in lui era ben salda, dell’alterità della scrittura e del fare letterario”.

Ma… oggi, tu lo accenni, il ‘giovanilismo’ non è forse una categoria letteraria utile a far fare cassa alle case editrici? Tu menzioni il fenomeno di esordi precoci e baciati dal successo fino a Paolo Giordano, D’Avenia, la Avallone. Che cos’hanno da spartire costoro con Tondelli?

“Negli ultimi anni abbiamo assistito alla tendenza dell’industria editoriale ad imporre, di volta in volta, alcuni ‘casi’ letterari, talora costruiti a tavolino, talaltra sorti quasi per caso, cioè inaspettatamente, e poi però abilmente sfruttati dal punto di vista commerciale attraverso apposite strategie di marketing. Tutto ciò è molto lontano dall’orizzone culturale, artistico, letterario di Tondelli e del suo modo di lavorare. Lo stesso Progetto Under 25 non era tanto un concorso letterario, quanto di un’indagine sulla creatività giovanile condotta attraverso lo strumento della narrazione. La logica commerciale era del tutto estranea all’operazione tondelliana, mentre oggi essa sembra quella che domina gran parte dell’editoria, alla quale non interessa tanto pubblicare opere di valore, quanto testi che garantiscano, o promettano di garantire, buoni fatturati”.

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