Cari aspiranti scrittori, è a voi che mi rivolgo. Non so darvi dritte favolose o saggi consigli sugli agenti letterari, gli editor, gli editori e tutta quella gente che potrebbe aiutarvi a realizzare il vostro sogno. Ma vi invito ugualmente a leggere una piccola storia, la mia.
Otto anni fa, mentre cercavo di far pubblicare il mio primo romanzo, credevo di sapere tutto sulla mafia editoriale. E anche sulla mafia accademica e su quella amicale. La mia spocchia da aspirante scrittore mi impediva di pensare che non ero un novello Hemingway o un Proust incompreso: semplicemente avevo scritto una cagata. Passavo le notti a interrogarmi su cosa stesse impedendo di mostrare al mondo il mio immenso talento, e la risposta che mi davo era sconfortante: editori e scrittori pubblicati facevano parte della stessa casta massonica e ciarlatana (e anche rettiliana) che mirava ad anestetizzare le coscienze dei lettori pubblicando romanzi inoffensivi. Ero convinto che il mio destino fosse quello del genio che non gode dell’autenticazione della società perché non frequenta gli ambienti giusti, non ha le giuste entrature, non sa coltivare l’amicizia di chi conta.
Poi, cos’è successo? Costretto a scegliere tra una dose di antidepressivi e una di umiltà, ho smesso di tempestare di lettere e telefonate gli editori grandi e prestigiosi e mi sono rivolto a realtà più consone al mio status di esordiente. In meno di sei mesi ho ottenuto l’agognata pubblicazione, e in cinque anni, dal 2009 al 2016, partendo da un piccolo editore romano, Gino Iacobelli, sono approdato a Baldini e Castoldi, un marchio storico dell’editoria italiana, fondato nel 1897 Ettore Baldini, Antenore Castoldi, Alceste Borella e dal poeta Gian Pietro Lucini. L’umiltà non è un freno al successo personale, ne è l’ingrediente base.
Probabilmente i miei romanzi non entreranno mai in un’aula universitaria, potete starne certi, com’è certo che non vincerò lo Strega o sarò incluso in un’antologia letteraria per le scuole, e tuttavia, la mia storia suggerisce una strada a tutti gli aspiranti scrittori che affannosamente cercano un editore: siate umili, cercate tra le centinaia di piccoli editori e sicuramente troverete chi sa valorizzarvi. Conoscete gli editori prima che loro conoscano voi.
Oggi voglio presentarvi Andrea Malabaila, fondatore della casa editrice Las Vegas, che ha accettato di rispondere a cinque domande sullo stato dell’editoria.
Le nuove tecnologie forniscono ai giovani molti più stimoli conoscitivi che in passato, ma il tempo per la lettura si è ridotto. Dobbiamo rassegnarci all’idea che la Letteratura finirà per essere come l’Opera, sovvenzionata dallo Stato e fuori dalle logiche del mondo commerciale?
Secondo me la narrativa non morirà mai. Avrà uno spazio più ridotto – ce l’ha già – ma ci sarà sempre bisogno di storie e il fatto che esistano nuovi mezzi per fruirne non ucciderà quelli più vecchi. Già a inizio Novecento si facevano gli stessi discorsi: il cinema ucciderà il romanzo. Non è successo. Così come la tv non ha ucciso la radio, i fumetti si sono sviluppati al di là dei film d’animazione, e potrei andare avanti all’infinito.
Oggi esiste la possibilità di essere potenzialmente letti da milioni di persone pubblicando sul web. Questa apertura del mercato ha ucciso la qualità, rendendo più difficile individuare autori interessanti, o ha dato la possibilità di emergere a scrittori introversi che non sanno costruire relazioni sociali profittevoli?
Essere letti pubblicando sul web è spesso più un’illusione che una realtà. C’è talmente tanto materiale disponibile che finisce per essere sommerso. Più che gli scrittori introversi, questa possibilità favorisce chi conosce le dinamiche dei social e si sa promuovere bene. Vedo che le grandi case editrici sono sempre più attente ai fenomeni del momento (che spesso durano davvero un momento), a cominciare dai giovanissimi youtuber.
Esistono centinaia di realtà editoriali che sfornano continuamente scrittori. Pubblicare non è mai stato facile come adesso, eppure è sempre più difficile essere letti, tanto è vero che spesso si chiede all’autore di autopromuoversi. Ma così facendo, il confine tra industria editoriale e azienda tipografica è si assottiglia sempre di più, non credi?
È sempre stato difficile essere letti. Oggi si hanno più possibilità di arrivare alla pubblicazione, questo sì, ma la pubblicazione da sola non basta. L’autore deve capire che nessuna casa editrice può riuscire a seguire il suo libro in maniera esclusiva e che quindi è necessario che ci sia una collaborazione tra le parti. Non si tratta di autopromozione, ma appunto di collaborazione. L’idea romantica dell’autore che scrive isolato dal mondo vale solo per chi ha raggiunto un successo tale da infischiarsene delle dinamiche del mercato. E la differenza tra tipografia e casa editrice sta in molto altro: nella cura del testo, nell’editing, nell’impaginazione, nelle scelte grafiche, e soprattutto nell’assunzione del rischio d’impresa e nella distribuzione (tutto ciò che, in pratica, non fa un editore a pagamento, quello sì equiparabile a uno stampatore).
Viviamo nella contraddizione: si pubblica tantissimo, più di 60 mila titoli all’anno, ma il mercato ne richiederebbe molti di meno. Cosa spiega questo eccesso di produzione, e chi lo paga?
È un meccanismo malato del sistema distributivo. Un editore si trova costretto a far uscire sempre nuovi titoli per “tamponare” le copie rese dalle librerie, in modo da non trovarsi rendiconti negativi a fine mese. Il risultato è che in libreria i libri sopravvivono sempre di meno e questo circolo vizioso si autoalimenta. Noi di Las Vegas cerchiamo di pubblicare pochi titoli all’anno e curarli al meglio, e così stanno facendo altri editori, ma spesso si finisce per privilegiare la quantità alla qualità. Chi lo paga? Tutti, credo. Chi ci guadagna? I corrieri che continuano a far rimbalzare libri da una parte all’altra.
Da lettore, ho l’impressione di assistere a una standardizzazione della letteratura. Penso addirittura che se strappassimo la copertina ai romanzi più venduti, e voglio esagerare: ai cinque dello Strega, a malapena si riuscirebbe a distinguere un autore dall’altro. Puoi consigliarmi uno scrittore che, oltre a raccontare storie, si preoccupa di come raccontarle?
È innegabile che negli ultimi anni siamo andati verso una standardizzazione, immagino per venire incontro a un pubblico più ampio. È quella che definisco letteratura da supermarket, che vuole i paragrafi lunghi tre righe, le frasi costruite tutte alla stessa maniera, i personaggi ricorrenti e l’eliminazione del punto e virgola. Anche in questo caso, con Las Vegas, cerchiamo di fare altro, pur tenendo presente che i libri devono essere vendibili – non siamo kamikaze fino a questo punto. I nostri autori hanno tutti una voce riconoscibile. Se devo fare un nome, dico Davide Bacchilega, che per noi ha pubblicato tre libri tra cui il nostro best seller I romagnoli ammazzano al mercoledì.
Francesco Consiglio