02 Dicembre 2018

“Non è persona, non è figura, è giorno”: la bellezza di Emily ci ricorda che dobbiamo restare irraggiungibili, un enigma

Secondo il mito Clizia è una ninfa che si innamora del Sole, tanto che “il suo amore per il Sole era sfrenato”. La passione verso l’entità irraggiungibile strugge Clizia finché la ninfa, come narra Ovidio nelle “Metamorfosi”, si trasforma in girasole, il fiore che si muove guardando l’astro che nessun occhio umano può vincere né sostenere. “Malgrado una radice la trattenga, sempre si volge lei verso il suo Sole e pur così mutata gli serba amore”. Clizia, figura terrena dell’amore solare, sfrontato e immutato, viene ripresa da Eugenio Montale, in una delle sue liriche più belle, “La primavera hitleriana”: “Guarda ancora/ in alto, Clizia, è la tua sorte, tu/ che il non mutato amor mutata serbi”. Questa è la ragione del titolo che abbiamo assegnato a questa rubrica, ‘Clizia’: la bellezza in ogni sua variante, la solarità di un viso, ci portano al concetto di un amore immutabile, che non cambia mentre ogni forma, preda del divenire, morsa dal tempo, inevitabilmente muta. L’amore che non muta è ciò che permette all’uomo, tramite la visione di una forma vana, di vincere la morte.

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CliziaIl corpo è un segno – un segno grafico, una lettera, l’esordio di una frase. Il corpo va decifrato e si ama, in fondo, proprio per questo, perché qualcuno faccia del nostro corpo, di questa cangiante mortalità, il capolettera di una storia. Amiamo chi ci rende eletti in una narrazione, chi dice di noi ciò che mai ci aspetteremmo – così, amare è un gesto linguistico, è un atto di poesia. Emily abita alle spalle di Riccione, in collina, “sono una persona solare – aiutare gli altri mi fa stare bene – adoro viaggiare”, ci dice di sé. Troppo facile, a lei, che porta il nome della più vertiginosa poetessa di ogni secolo, Emily Dickinson, che ama l’arte, avvicinare la donna fatata di Botticelli. Di un viso ammiriamo ciò che è proprio, che è anomalo: il profilo di Emily, scandito, deciso, l’epigrafe delle labbra, gli occhi, alati, che invocano all’enigma. Non può essere semplice la scelta di accoppiare una poesia a questo viso, che richiama qualcosa di astratto, di lunare. Scegliamo una lirica da Una comunità degli animi (Mondadori, 1997), il libro del poeta contemporaneo Cesare Viviani.Non è persona, non è figura, è giorno./ Non assomiglia agli uomini, ai loro/ trasalimenti, ma ben oltre le astrazioni,/ le parole neutre, i segnali anonimi/ è lo spazio alto”. Di una donna non è la bellezza in sé a far trasalire, ma l’audacia di ciò che è ampio, l’essere simbolo di ogni implacabile altezza. D’altronde, quando dici una parola, essa esaurisce il suo senso: non bisogna essere raggiunti, ma irraggiungibili – la bellezza è un sussurro, qualcosa di appena udito, di inaudito.

*Le fotografie sono realizzate da Antonio Tonti

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