Il cerchio si chiude sempre alla fine di un viaggio. Bath, St. Just, Polperro, poi St. Ives, e ancora il meraviglioso Exmoor National Park, Wells, Oxford, Stratford upon Avon, Bourton on the water. I Cotswolds, che partono da Chipping Campden per arrivare a Bath dopo quasi 200 chilometri. E infine Bristol, la casa di Bansky. Si entra in un negozio di dischi, lo cerco. Lo trovo. Lo predo e lo regalo ai miei compagni di viaggio. La copertina è di color viola. “Ascoltatelo quando torneremo a Rimini”.
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È solamente grazie a una pubblicità della Volkswagen del 1999 e a un film del 2001 che ha avuto giustizia. Non in vita, quella no. Come accade ai geni quindi unicamente post mortem. Chissà poi cosa penserebbe il cantautore se sapesse che la sua Northern sky è stata utilizzata nel film Serendipity…
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Di lui non ci sono immagini né video. Giusto qualcosa, oltre alle copertine dei suoi lavori: lui con la chitarra in mano, lui di spalle, lui che guarda altrove. E i ricordi raccontati da chi ha avuto l’onore di conoscerlo, o meglio, di frequentarlo per un certo periodo. Breve, visto che se ne è andato a 26 anni.
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Quando uscì, nel 1970, fu un flop: meno di 3.000 copie al lancio. Per un ellepì che la rivista Rolling Stone ha inserito al 245esimo posto nella lista dei migliori 500 album di tutti i tempi, il battesimo è stato senza acqua santa: giusto una pozza di pioggia, una mano che cattura qualche goccia prima dell’iniziazione liturgica terminata anzitempo. Senza pubblico. Solamente qualche parente stretto, o poco più.
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Non amava esibirsi dal vivo, non rilasciava interviste. Era un nome, uno dei tanti, fiorito nel Warwickshire, esattamente a Tanworth-in-Arden, un paesino a sud di Birmingham. Solo Anthony DeCurtis di Rolling Stone ci ha visto lungo: Nick è “come se stesse guardando la sua vita da una grande e incolmabile distanza”.
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Robert Smith dei Cure ha attribuito l’origine del nome del suo gruppo a un testo di una sua canzone, Time has told me (che Robert ha meravigliosamente definito “una cura problematica per una mente travagliata”).
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“Schiarite, più tardi” è un’espressione che veniva utilizzata dai bollettini meteo del tempo. Il giovane Nick la coglia, la fa sua, e ci costruisce un totem, un faro che illumina il navigante nella tempesta, nelle notti di note. Un titolo ottimistico, di speranza, che sembra frizionare la depressione che si portava dentro.
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Bryter layter, un capolavoro. Il secondo album di Nick Drake, uscito per l’etichetta Island Reconds nel 1970, esattamente 50 anni fa, è una perla rara e perfetta perché nasce dall’ascolto. In inglese difatti “Brighter, later” significa che adesso piove (del resto, siamo in Inghilterra) ma che tra un po’ di tempo uscirà il sole. Se l’è portato nel nome, il suo dannato destino: il calore luminoso è arrivato tardi, molto tardi. Quando lui si era già tolto la vita, alla fine del 1974, dopo aver assunto ancora una volta un antidepressivo, l’amitriptilina. L’ultimo prima del buio.
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Tre brani strumentali – Introduction, Bryter Layter e Sunday – e sette cantati, ma con un filo di voce. Non occorre altro. Cantava con la mente, quasi volesse confidare, a quei pochi che lo ascoltavano, la sua poesia immensa.
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Hanno provato a convincerlo a fare i live così da far conoscere al pubblico la sua musica e le sue parole, ma fu come parlare in una valle: ti risponde solo l’eco. Siamo nel Surrey, esattamente all’Ewell Technical College. Giugno del 1970, per quello che sarà una delle sue ultime performance dal vivo. Il cantautore e chitarrista inglese Ralph McTell – quella sera sul palco, non si sa se prima o dopo di lui – ricorda: “Nick era monosillabico. In quel particolare concerto era molto timido. Ha fatto il primo set e deve essere successo qualcosa di terribile. Stava facendo la sua canzone Fruit tree (brano del suo primo album, Five leaves left) e se n’è andato a metà del concerto”.
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Record Mirror intuì in parte la bellezza di Bryter layter – in cui si percepisce un linguaggio molto autunnale – e uscì con una recensione incoraggiante: “Bel chitarrista pulito e con un tempismo perfetto, [e] accompagnato da arrangiamenti morbidi e bellissimi”. Di contro Melody Maker lo stroncò, come si faceva una volta quando c’era la libertà di espressione e non rischiavi di essere messo al confino perché avevi pestato i piedi a qualcuno di potente: “Un mix imbarazzante di folk e cocktail jazz”. Entrambe le riviste, soprattutto la seconda, non si avvicinarono minimamente al cuore dell’album.
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Sulla chitarra ha sperimentato tecniche sempre più complesse, basate su insolite accordature aperte e sul double-picking. Sarà questo, assieme al suo timbro, la firma incancellabile. Autodidatta, raggiunse il suo stile attraverso “giri” alternativi per creare accordi a cluster.
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Quando era ancora studente di letteratura inglese all’Università di Cambridge, Nick amava William Blake, William Butler Yats e Henry Vaughan. Non esattamente gli ultimi. Un amico del periodo ha raccontato: “Ci alzavamo, fumavamo canne, saltavamo le lezioni per suonare la chitarra… fu una grande festa che durò tre anni”.
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La madre, molti anni più tardi: “Penso che abbia scritto le sue più belle melodie nelle prime ore del mattino”.
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Nel settembre 1967, Drake incontrò Robert Kirby, uno studente di musica che orchestrò molti degli arrangiamenti per archi e fiati nei primi due album. “I suoi testi sono una serie di osservazioni estremamente vivide e complete, quasi come una serie di proverbi epigrammatici” creati per “completare e comporre uno stato d’animo che la melodia suggerisce”.
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One of these things first è un valzer eseguito al piano. Anche qui la voce non va a tempo con la musica. Ti entra dentro, senti che si muove, ma come un sussurro delicato. Ma è senza dubbio Northern sky il vertice assoluto, il cigno che canta prima di lasciarsi andare alle onde del lago, la più bella canzone d’amore mai scritta: “Non mi sono mai sentito così folle e incantato / non ho mai visto lune, conosciuto il significato del mare / non ho mai tenuto l’emozione nel palmo della mano / o sentito brezze delicate sulla cima degli alberi / a illuminare il mio cielo del nord”.
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Il 25 novembre 1974 non c’era schiarite all’orizzonte. Né lì né più tardi. La mamma di Nick: “Non lo disturbavo mai. Ma erano circa le 12 e io entrai, perché sembrava proprio che fosse ora che si alzasse. Ed era sdraiato di fronte al letto. La prima cosa che ho visto sono state le sue gambe lunghe e lunghe”.
Alessandro Carli