Una mente acuta e lucidissima. Un occhio che scruta attentamente sotto le apparenze, oltre il lato manifesto del corso storico, quasi seguendo l’insegnamento balzachiano secondo cui “La storia ha due volti: quello ufficiale, mendace, e quello segreto e imbarazzante, in cui però sono da ricercarsi le vere cause degli avvenimenti occorsi”. Questo è Franco Marino, un napoletano il cui volto è ignoto ai suoi follower. Nella pagina personale – molto seguita per essere lui un analista autonomo e non legato ad alcuna testata, o gruppo giornalistico – si definisce blogger, ma in realtà, per il momento, si limita a esternare il suo pensiero a mezzo di stati Facebook.
I suoi detrattori lo vedono come un complottista. Chi lo segue e lo ammira scorge invece in lui uno dei pochi che si arrischiano a fornire interpretazioni del reale distanti da quelle propugnate dai giornaloni e dai soliti noti – evidentemente, percepite come propaganda. Siamo andati a sentirlo per farci un’idea più completa, cercando di mettere ordine tra i suoi sempre mordaci pensieri sparsi.
Franco, secondo te che cos’è il complottismo e, soprattutto, tu ti ritieni ascrivibile alla categoria dei complottisti?
È una definizione che rigetto, perché chiaramente diffamatoria e offensiva nei confronti di chi cerca di avere un pensiero critico lontano dal mainstream. Al tempo stesso, ho anche rifiutato l’etichetta ben più benevola, per il mio operato, di controinformazione. Io ho sempre e solo fatto informazione, ovvero ho cercato di riflettere riducendo al minimo le astrazioni, per fondare il mio discorso quanto più possibile sui dati concreti. Di questi, poi, io do una lettura che solitamente non coincide con quella maggiormente diffusa. Prima di pubblicare un post, comunque, mi assicuro sempre di partire da una base di fatti incontestabili, certi, perché è solo su quelli che si può avviare poi un discorso o un dibattito che possa dirsi tale. Il complottismo è chiaramente un fenomeno deteriore, esattamente come l’anticomplottismo. Sono speculari. Il primo consiste nell’investigare andando troppo oltre con l’immaginazione, cercando una verità che sia quanto più possibile vicina a quella che noi vorremmo. È qualcosa di sbagliato proprio perché ci porta a ignorare i tanti aspetti alla luce del sole, già di per sé bastevoli per formarsi un’opinione, senza bisogno di ulteriori elucubrazioni.
Perché hai scelto la formula del post su Facebook, per comunicare?
Considera che Facebook non sarà il mio approdo definitivo. Ho in programma di spostarmi a breve in un blog facente parte di un progetto più ampio, di cui il mio sarà solo una piccola appendice. Per il resto, Facebook è, oggi come oggi, un mezzo di comunicazione che garantisce una visibilità non altrettanto facile da ottenere con un semplice spazio web. Al tempo stesso rappresenta, socialmente, una precisa potenza geopolitica poco interessata alla fuoriuscita di pensieri alternativi. La sua maggiore immediatezza e capacità di penetrare nel dibattito pubblico, inoltre, presenta non pochi problemi. Per esempio, quando arrivi ad avere bisogno di una platea più ampia, questo social fa di tutto per penalizzarti – anche perché non nasce con la destinazione per cui molti lo utilizzano. La conseguenza è l’imposizione di certi limiti, come quello delle amicizie fissato a cinquemila. Quando poi si ha una pagina personale, per farla arrivare a certi livelli, si deve spendere in pubblicità e in inserzioni. Francamente, il gioco non vale la candela, perché a determinati gradi di popolarità si deve competere con persone cha hanno alle spalle degli establishment. Per intenderci, il PD ha una squadra di influencer pagati dal partito. Il motivo per cui molti di questi hanno trecento, quattrocento, cinquecento mila follower non è certo dovuto solo alle loro capacità. Sono anche abili, per carità, ma soprattutto hanno un partito che paga per la diffusione dei loro post, che si occupa della propaganda e sborsa i capitali. Personalmente non intendo spendere in questo modo, proprio perché io sono un indipendente, senza nessuno alle spalle. Cerco, quindi, di arrivarci gradualmente.
Tornando al mainstream che menzionavi poc’anzi, se non ho inteso male, non apprezzi granché Travaglio. Ti volevo chiedere il perché.
Travaglio ha avuto la capacità di proporre dei temi che un tempo non erano trattati dalla stampa. La mia antipatia nei suoi confronti, nel corso degli ultimi anni, è andata calando, perché mi sono reso conto di come, su alcune cose che diceva, avesse ragione. Il suo limite purtroppo è di essere l’artefice della divinizzazione della magistratura, ovvero di quello che secondo me è uno dei trojan attraverso cui i poteri stranieri, che cercano di governare questo paese, riescono a mettere le loro ganasce su qualsiasi pretesa autonomia nazionale. Assistiamo quindi da parte sua a una demonizzazione della politica, parallelamente a una esaltazione della magistratura, ricavandone l’idea che la prima sia l’artefice di ogni male e la seconda il nume tutelare della giustizia e della libertà. Questa è una visione alquanto infantile e il giornalista in questione è stato uno dei protagonisti del grande equivoco fondato sull’assunto, profondamente sbagliato, che la magistratura sia una sorta di ente mistico incapace di cadere in errore. Dal mio punto di vista, la presunta indipendenza di quest’ultima è stata alla base perlomeno del novanta per cento dei nostri problemi.
Fra le altre voci del mainstream, ce n’è qualcuna che trovi particolarmente deleteria?
La questione non è se i giornalisti siano o meno deleteri. Il problema è che tutti, o quasi, sono costretti a recitare una parte. Fu un certo Udo Ulfkotte, un tedesco, che un giorno si presentò alla stampa e disse: “La Cia ci ricatta. Siamo costretti a mentire, a dire quello che non pensiamo, perché altrimenti ci stroncherebbero la carriera”. Successivamente fu trovato morto in circostanze sospette e, nonostante la causa del decesso fosse ufficialmente un infarto, non si procedette a fare un’autopsia sul suo corpo, come da prassi. Purtroppo, i giornalisti sono l’ultima ruota del carro. Oggi, poi, sono tutti narratori, chi più chi meno, anche quelli che sembrano più indipendenti. Sono narratori della favola NATO, CIA, del libero mercato e degli USA dipinti come il “Bene Assoluto”. Ma stai pur certo che, se un giorno l’asse geopolitico dovesse mutare e fossero la Russia o la Cina a divenire il dominus italiano, quegli stessi parlerebbero bene unicamente di Russia e Cina. Ovviamente ciò non significa che tutti scrivano sotto dettatura della CIA, o che, dopo una comparsata televisiva, vadano a riferire a un agente di questi. Semplicemente alcuni hanno contatti con i servizi e i poteri finanziari, altri capiscono quelli che sono i limiti entro cui possono muoversi e vi si adeguano, praticando di fatto una autocensura. I giornalisti sono deboli in questo sistema, fanno quello che possono fare perché altrimenti verrebbero licenziati o non farebbero carriera. Insomma, dire se siano deleteri o meno non ha molta importanza. Più che altro non contano nulla.
Conosciamo tutti la citazione, velatamente nazistoide, di Umberto Eco sulla comunicazione e i social. Tu l’hai contestata in un tuo post. Ti chiederei qual è l’argomentazione che opponi al noto semiologo?
La più banale: siamo in democrazia e in una democrazia esiste la libertà di parola. Non c’è veramente altro da aggiungere. Chiunque voglia tappare la bocca a chi la pensa diversamente, anche se pensa stronzate, è una persona che tenta di costruire un regime. Eco, che era palesemente in malafede, voleva creare le condizioni affinché l’opinione pubblica – che, invece, è sempre in buonafede – si persuadesse che la libertà di parola fosse eccessiva e andasse limitata. La libertà di parola o è totale o non è. Chiaramente, a essa deve corrispondere una responsabilità, ed è una cosa che sa chiunque si trovi, come me e tantissimi altri, a dire la propria, a cercare di costruire un dibattito. Io la sento particolarmente, per quanto la mia non sia una pagina molto diffusa, ma con un seguito appena discreto, non paragonabile a quello dei grandi giornalisti… La mia responsabilità è quella di mandare acqua pulita nei pc di chi, ogni giorno, mi ritiene degno di essere letto. In sintesi, i discorsi di quelli come Eco sono l’espressione di un potere autoritario che tenta di soffocare qualsiasi opinione alternativa, ammantandosi con la patina della purezza.
La tua opinione su Roberto Saviano.
Saviano è semplicemente il fautore del grande equivoco che vuole Napoli, Palermo e la Calabria epicentro delle mafie, quando l’Italia è un paese in cui la mafia è espressione del potere finanziario straniero. Lui, come tutti quelli che trattano la materia, hanno sempre puntato sulla stereotipizzazione di elementi culturali dei territori. Il fine è far passare l’idea che Mafia, Camorra e Ndrangheta siano fenomeni nati sul territorio italiano, quando, in realtà, mafiosi, camorristi e ndranghetisti non sono altro che un esercito coloniale a servizio di potenze straniere dal ’45 a oggi. Il che non significa dire che prima non esistessero, ma erano completamente diverse. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale queste hanno adottato i costumi tipici del gangsterismo statunitense, cioè vendere droga sul territorio, lavare i profitti nei paradisi fiscali e poi reimmetterli nel mercato legale. Ecco cosa sono le mafie. Far passare l’idea che la criminalità organizzata sia un fenomeno legato a un particolare luogo, è qualcosa che ho sempre contestato. Per quanto riguarda il personaggio Saviano, poi, bastano le condanne per plagio a definirlo.
Che cos’è il femminismo, oggi?
Il femminismo non è che l’ennesimo tentativo, da parte della finanza internazionale, di creare conflittualità all’interno del nostro paese, logorando quello che è il tessuto comunitario e impedendo così una reazione unitaria contro le prepotenze del suo potere. Il femminismo, insieme all’omosessualismo militante, è uno degli innumerevoli tentativi per cercare di pianificare la riduzione della popolazione dei paesi europei, sostituendola a mezzo dell’immigrazione incontrollata.
Una domanda quasi di carattere letterario. Tu avevi fatto un post in merito a Leopardi, definendolo una sorta di no global ante litteram e denunciando il silenzio della scuola italiana sugli aspetti maggiormente pregnanti del suo pensiero. Cosa dovremmo conoscere del poeta di Recanati che, invece, tra i banchi, non ci viene trasmesso?
Molto semplicemente un po’ più del Leopardi che potremmo definire genericamente pensatore e un po’ meno quello poeta, eccessivamente esaltato rispetto al primo. Il Leopardi poeta dice poco rispetto a tutta quella valanga di intelligenza e cultura che ha disseminato. Ma, soprattutto, quel che è interessante è la sua capacità di vedere, con duecento anni di anticipo, il nostro presente. Prendi per esempio la sua critica delle mode: già ai primi dell’Ottocento propone una lettura incredibilmente pregnante di fenomeni deteriori che noi vediamo palesarsi pienamente solo adesso. Leopardi fu un grandissimo precursore, capace di vedere lontanissimo. E questo, per quel che so, a scuola non viene minimamente menzionato. Fu liberista nella stessa misura in cui fu antiglobalista. Riteneva che il libero mercato fosse da incentivare e da tutelare, ma sempre su una base sovranista. Aveva inoltre predetto i rischi di un mondo senza cultura e senza varietà di costumi, in cui sarebbe mancato ai diversi paesi un carattere nazionale marcato e per i quali, di conseguenza, nessuno si sarebbe sentito di lottare. Proprio a tal proposito, fece il paragone con l’impero romano che, a un certo punto, assumendo moltissime identità, tante quante quelle dei paesi conquistati durante la sua espansione, alla fine perse quella che era la sua peculiarità. Imbastardendosi, non trovò più nessuno disposto a sacrificarsi per esso.
Esiste veramente il fenomeno delle fake news, o si tratta di un’invenzione di chi vorrebbe controllarci senza avere più alcun impedimento?
Il fenomeno esiste ed è, al tempo stesso, il tentativo da parte del potere di controllare le voci alternative – questo è palese. Non nego affatto, insomma, che vi sia qualcuno che cerca di ingannare l’opinione pubblica, di perorare scopi che hanno poco a che fare con la controinformazione. Il problema è che, nel momento in cui introduci norme che disciplinino la pubblicazione di news, devi anche porti il problema di chi sarà a controllarne la circolazione. Ma indipendentemente da tutto, quello di cui pochi si rendono conto è che le fake news sono struttura e non contenuto. Nel momento in cui la gente crede a una di esse, la notizia non è la bufala in sé, ma il fatto che ci siano tanti che vi hanno prestato fede. È la conferma di un pregiudizio diffuso ed è ciò a far notizia. Questo è il problema che molti non riescono a cogliere. Io sono sempre stato convinto che chi sta dietro a questo business siano gli stessi che vogliono introdurre la disciplina delle notizie, al fine di creare un fronte di opinione favorevole a leggi liberticide. Il fenomeno trae spunto proprio dal fatto che vi siano dei pregiudizi diffusi. Ma, se questi effettivamente sussistono, bisognerebbe chiedersi il perché, invece che soffocare le voci alternative. Altrimenti, il risultato che si otterrà è di indurre l’opinione pubblica a pensare che chi vuole silenziare abbia qualcosa da nascondere.
Approfondendo il problema fake news e pregiudizi diffusi, tu che opinione ti sei fatto sulla questione vaccini e movimento no vax?
Non essendo né un medico né un virologo non entro in merito. Personalmente, sono convintissimo che i vaccini servano e siano utilissimi a prevenire le malattie. Però è ingannevole far passare il messaggio che chi si oppone all’obbligo vaccinale sia un antivaccinista. Conosco tantissimi medici che sono contrari, perché ritengono che troppi vaccini possano alterare la risposta antivirale. Ma la questione non è se sia vero o meno. Il punto è, come per il discorso delle fake news, che vi siano moltissime persone incredule: la notizia è questa. Ciò significa che la classe dirigente non ha più credibilità intellettuale e morale, questo è il problema di fondo. Dire che i vaccini facciano bene è una stronzata, al pari di dire che facciano male. La questione è quali vaccini, come, in che situazione, in che circostanza. Quel che vedo, però, non è la volontà di avviare un dibattito in cui ci sono i competenti che discutono partendo da posizioni differenti, per poi arrivare a stabilire chi abbia ragione. Vi è semmai il tentativo di censurare la discussione. Quando vedi che qualcuno vorrebbe tappare la bocca a qualcun altro, allora ti devi preoccupare. Oltretutto, questo è il paese in cui un vaccino obbligatorio è stato introdotto a seguito di una tangente. È il caso dell’allora Ministro della Salute De Lorenzo, negli anni ’90. Se dobbiamo vaccinarci adesso contro l’epatite B, lo dobbiamo a questo fatto. Purtroppo, attorno a tutto ciò, c’è un grandissimo business che viene condotto sulla pelle delle persone. Il che non vuol dire che i vaccini facciano male e neppure che sia sbagliato da parte di una casa farmaceutica fare affari. Il problema è che si tende disonestamente a confondere la preoccupazione per la salute delle persone con un tema che, invece, implica anche gli interessi delle multinazionali del farmaco. Nel momento in cui si fa passare per lecito che sia giusto prendere delle tangenti per introdurre l’obbligatorietà di alcuni vaccini, si crea un precedente e il dibattito viene inquinato.
Una domanda di quelle che potrebbero sembrare vertere sui massimi sistemi, ma a cui ti prego di rispondere in estrema sintesi: chi governa il mondo?
Io, personalmente, ho sempre rifiutato l’idea secondo cui il mondo sarebbe governato da un’associazione di famiglie illuminate: i Rothschild, i Rockefeller, eccetera. Sono invece convinto che al vertice stiano gli USA. Il che non implica la non esistenza di gruppi di potere di questo tipo, in grado anche di creare problemi agli Stati Uniti. La situazione è in buona misura assimilabile a quella dei procuratori delle squadre di calcio. Il potere che detengono è reso enorme dal fatto che queste ultime non sono in grado di accordarsi, rifiutandosi di averci a che fare. Se lo facessero, simili figure smetterebbero di fare affari. Il problema è che ci sono delle squadre che cercano di usufruire di favori che possono avere da quelle persone. Un ulteriore esempio potrebbe essere rappresentato dagli agenti dello spettacolo. Anche il loro potere deriva dal fatto che i vip non si mettono d’accordo per mandarli al diavolo. Se lo facessero, loro non potrebbero spadroneggiare. Similmente, se gli USA volessero, potrebbero liberarsi di tutta la finanza, delle logge massoniche. Soros, che tutti dicono essere potentissimo, sta lì perché gli consentono di fare quello che fa. Se USA, Europa, Cina di concorso stabilissero che gente simile non deve più governare il mondo, automaticamente perderebbero il trono. Invece stanno al loro posto perché c’è qualcuno che non ha interesse a farli fuori e magari si illude, dando loro potere, di riuscire poi a ricavarne dei vantaggi nei confronti delle potenze che, in quel momento, sta combattendo. Insomma, comandano perché gli viene permesso di comandare. Ma i veri padroni del mondo sono gli USA; Cina e Russia i loro oppositori.
La tua opinione su Salvini e Di Maio?
È ancora molto confusa, nel senso che sicuramente Salvini e Di Maio rappresentano un cambiamento. Il problema è capire quale tipo di cambiamento e in che ottica. In generale non credo più che, dal punto di vista democratico, questa situazione sia risolvibile. Servirebbe un capovolgimento geopolitico globale, totale. Perché, per esempio, anche per ciò che sta accadendo in Libia, Salvini non ci può fare niente. Il fatto che arrivino tantissimi immigrati da lì deriva dalla destabilizzazione che è stata provocata dagli USA, con il supporto di Francia e Inghilterra. Se si chiarisce che il problema degli immigrati non è un problema da affrontare a valle ma a monte, ci si rende conto che, tanto Saviano quanto Salvini, sono due facce della stessa medaglia, ovvero dell’incapacità di comprendere che non ci sarà soluzione fino a quando non si bonificheranno le economie dei paesi africani, chiaramente con un vantaggio anche per i paesi europei. Non un nuovo colonialismo, piuttosto uno scambio: noi prendiamo le loro materie prime e diamo loro una struttura economica simile alla nostra. Se non arriviamo a comprendere questo, continueremo sempre a dividerci tra salvinisti e savianiani. Su Di Maio il discorso è tale e quale: è semplicemente colui che dà voce a una classe sociale che è uscita completamente devastata dalla crisi economica. Sono due contenitori di malcontento che stanno facendo di tutto perché questo rimanga entro schemi democratici. Probabilmente non riusciranno a risolvere a monte quei problemi per cui a valle hanno ottenuto il successo. Inutile dire che di PD e FI penso tutto il male possibile, pur essendo stato un elettore di Forza Italia.
Volevo proprio chiederti di Berlusconi, perché ho letto diverse tue riflessioni in merito. Una, in particolare, era molto pregnante e riguardava il giudizio negativo che a un certo punto si è sviluppato nei suoi confronti. Mi pare che tu abbia un pensiero non conforme sull’uomo. Potresti rispiegare, per i lettori di Pangea, i pregi e i difetti del Cavaliere e perché viene visto come viene visto?
I pregi sono ovvi. Berlusconi è stato un grandissimo imprenditore. Ha rappresentato un elemento di modernità in un paese ripiegato nei bizantinismi di una politica statalista ipersocialistoide, entro cui ha portato una nota di colore. Io sono stato un suo sostenitore, fino a quando ho avuto la percezione che volesse operare una rivoluzione liberale in salsa patriottica. Al momento, invece, sintetizzerei la mia posizione con una sorta di piccolo slogan: “Io sono ancora berlusconiano, è Berlusconi a non esserlo più”. Oggi, Forza Italia è una copia del PD. Aver sostituito la bandiera italiana con quella europea, il tentativo di sabotare Salvini, o anche il fatto che a un certo punto si è messo a insultare gli avversari, a dire che non li avrebbe fatti lavorare a Mediaset neppure per pulire i cessi, sono modi di essere che non appartengono al Berlusconi che io, in passato, ho stimato e apprezzato. C’è stata un’involuzione. Bisognerebbe capire se siamo al cospetto di un Cavaliere rassegnato al fatto di non avere oramai più potere per incidere sulla realtà; oppure, ipotesi da non escludere, che tutto quello che sta facendo sia volto a spostare i suoi elettori verso Salvini. Come mossa ci starebbe, anche perché lui, essendo ricattato per le sue aziende, non potrà più assumere posizioni antisistema. Probabilmente spera di spingere i suoi elettori verso il leader della Lega, per poi governare dietro le quinte con lui, quando ci saranno le elezioni, che io personalmente non penso siano lontane. Se ci dobbiamo basare sulle apparenze, comunque, il Berlusconi di oggi è irriconoscibile rispetto al passato.
Perché è stato così malvisto da una parte dell’opinione pubblica? Secondo te c’entra l’invidia?
Sì, anche se i fattori sono tanti. Berlusconi ha rappresentato la criptonite di una visione del mondo micragnosa, pauperistica, e ipocrita dei suoi avversari. Diciamo che, per molti anni, è stato perfettamente speculare al perbenismo che si andava accumulando nella Sinistra delle finte buone maniere, della finta cultura, imposta con falsa pomposità dai benpensanti dei salotti, a cui lui faceva da contraltare politicamente scorretto. In un certo senso si può dire che il Cavaliere è un anticipatore di Trump. Anche se lui dice di non stimarlo, in realtà è stato Trump prima di Trump. Per questo oggi che lo vedo così istituzionale, mentre recita la parte del nonnino buono, non lo riconosco più. Però, un tempo, lui ha incarnato per molti l’opposizione a uno stato vessatorio, statalista e proibizionista. Da una parte, i suoi detrattori vedevano in lui un corruttore; dall’altra, i sostenitori guardavano all’uomo come a colui che era chiamato a rompere con tutto quell’universo di tradizioni cattocomuniste che hanno inquinato questo paese fino agli anni ’90, a partire dai ’50.
Chi sono, oggi, gli antiitaliani?
Sono di due tipi. Quelli che attraverso il controllo, oserei dire militare, dei mezzi di comunicazione da parte dei poteri finanziari – essendo il potere politico solo la punta dell’iceberg –, tramano per distruggere la sovranità e l’autonomia del nostro paese. Questo, per quel che concerne gli alti livelli. Ai piani inferiori, sono una marea di imbecilli che non hanno ancora capito una cosa fondamentale, cioè che la patria è come la famiglia: quando l’hai persa non ce n’è un’altra, non si sarà accolti altrove. La gente crede veramente che in un mondo senza confini tutti sarebbero più liberi. In verità, un universo simile sarebbe molto più spietato e dittatoriale di quello che si è contribuito a distruggere. Agli alti livelli gli antiitaliani sono criminali assoluti, ai bassi livelli persone completamente lobotomizzate che credono a sciocchezze come l’umanitarismo, l’immigrazionismo, l’idea che i magistrati siano sempre buoni. Ci sono persone che non hanno la minima idea di quello di cui parlano.
Un auspicio per il futuro del nostro paese?
Che si avvii la stessa rinascita avutasi in Russia, con Putin. Che si torni a essere un paese sovrano, un paese che non è nemico di nessuno, ma nemmeno servo di alcuno.
Matteo Fais