04 Agosto 2018

“Nella strenua difesa dei propri ideali. L’arte, d’altronde, è sempre sovversiva”: Eva Milan parla della sua saga, “Nemesis”, una distopia contro il neurocapitalismo

Arriva ed è come un arrembaggio. Soltanto dopo potete fare la lista dei nomi, delle fatidiche influenze. Ne faccio tre. Giganteschi. Philip K. Dick, J. G. Ballard, Matrix. Non per fare paragoni, per carità, ma per definire un campo ‘d’azione’. Usare il fantastico, la distopia come atto ‘politico’. Eva Milan è un arrembaggio. Poetessa – nei primi anni Novanta, infuriata di William Blake, fece parlare di sé partecipando a qualche puntata del Maurizio Costanzo Show – rockettara – con un passato statunitense, a Seattle – narratrice reattiva e attivista. Nel 2015 pubblica un album, Kali Yuga, che è già un potente dichiarazione d’intenti (e di lotta): “Kali Yuga, metafora apocalittica ripresa dalla profezia induista delle antiche scritture dei Veda, è l’Età Oscura, un tempo in cui i valori progressisti della civiltà occidentale conquistati nel ventesimo secolo tracollano inesorabilmente sotto i colpi inferti dalle dinamiche geopolitiche e le egemonie culturali prodotte dalle potenti forze che governano il mondo globalizzato, abbandonando l’Umano nel caos, nella cecità collettiva, nella perdita di memoria e saperi”. Per rendere più chiare le sue intenzioni bellico-narrative, conseguente alla pubblicazione del disco, Eva Milan avvia la scrittura di una saga epica, epocale, fantascientifica, “Nemesis (che rinvia al nome della band romana punk-rock di cui la Milan è frontman), di cui esce, fuori dai giri e dai soliti giochi editoriali, un primo tomo, l’anno scorso (Nemesis, appunto) e un secondo quest’anno (Eternity, che raduna Libro V e Libro VI di Nemesis). La scrittura è dilatata, straniante, bombarola, oltre mille pagine di narrazione e ribellione, rispettando i criteri del ‘genere’. La sintesi del lavoro, per intenderne il ‘clima’, è questa: “Seattle, Anno 2041. Il pianeta è devastato da un conflitto nucleare, ed è diviso in due: il Nyx, il vecchio mondo agonizzante in balia del fall-out nucleare, il caos e la barbarie; Arcadia, il Nuovo Mondo, un’isola di salvezza, ipertecnologica e blindata, che sorge lungo la costa nordoccidentale degli Stati Uniti, il cui sistema sociale è governato da un server centrale, ArcadiaTv e la filosofia della serenità. In Arcadia, il giornalismo è bandito e tutti i giornalisti sono esiliati a tempo indeterminato nel Nyx. L’incubo di Arcadia è Nemesis, un gruppo di reporter in esilio considerato terrorista, la cui missione è violare il server centrale di Arcadia per trasmettere notizie e reportage dal Nyx. Ogni loro trasmissione è un atto terroristico che getta nel panico gli abitanti di Arcadia”. Così, pare che la scrittura sia una costellazione di fiamme a mitragliare la tenebra, un ricovero ai perplessi. Ovviamente, ho contattato Eva, una combattente.

NemesisNemesis, Seattle, il rock, una scrittura lisergica e lirica: in fondo la saga è un pezzo della tua biografia. Che rapporti ci sono, appunto, tra l’opera e la vita?

Dici bene, in Nemesis convivono parecchi elementi del mio percorso esistenziale di una trentina di anni, la scrittura, la musica, l’ambientazione magica e inquietante del nordovest americano, l’anarchia, la ribellione contro i media. Soprattutto un condensato del mio piccolo contributo di anticorpo contro le forme subdole della propaganda. L’ho voluto fare attraverso una narrazione di fantascienza distopica e d’inchiesta, per esprimere un disagio contemporaneo, quello dell’impotenza per la perdita di un’appartenenza e della percezione del presente. Perché questo tempo occidentale è collassato nell’evoluzione accelerata dell’algoritmo euristico neurocapitalista, che ha prodotto un’infosfera pervasiva e una mutazione cognitiva collettiva senza precedenti. Una delle conseguenze di questa perdita cognitiva è l’inganno dei nazionalismi nel colmare quel vuoto di appartenenza anziché ricercarla nelle lotte internazionaliste. La perdita per quanto mi riguarda è stata anche quella di una battaglia contro il dominio dei media mainstream combattuta nei primi anni duemila, e dei saperi che quel movimento transnazionale aveva prodotto e diffuso proprio sulle cause di ciò che nel presente geopolitico è ora emerso chiaramente in superficie. Il neurocapitalismo ha affinato le sue armi su un campo di battaglia che era già interamente suo, un suo prodotto, e ci ha sconfitti, realizzando l’Information Guerrilla di McLuhan attraverso l’accentramento corporativo di Internet con i social network e dominando definitivamente l’infosfera… è a questo punto della storia che parte lo scenario di Nemesis, metaforicamente. La fusione degli elementi autobiografici, in cui anche i riferimenti alla musica e all’arte sono molto presenti, è avvenuta spontaneamente, senza averlo preventivato. Ho lasciato che la storia mi trasportasse nel suo mondo nuovo dove io mi portavo appresso il mio vecchio mondo.

Qual è il senso della saga? Intendo, in te, mi pare, è netto il legame tra arte e prassi, tra etica ed estetica, tra opera e politica. Ecco, qual è il messaggio ‘politico’ del tuo lavoro? Ti piace la politica di oggi, italiana, europea?

La saga ruota intorno a una visione radicalmente libertaria. E al concetto che “il privato è politico”, e così l’arte. Ma l’arte non deve fare politica, perché la politica oggi è solo propaganda. L’arte deve essere libera, rappresentare il proprio tempo in modo sovversivo e dunque esprimere una posizione autonoma. Lungo la narrazione di Nemesis, la ribellione attraverso la diserzione, il sabotaggio, la disobbedienza civile e anche attraverso l’arte, deve fare i conti di continuo con il senso di impotenza e di fallimento di fronte a un sistema oppressivo falsamente felice e privilegiato, che per mantenere il dominio inscena continue realtà simulate attraverso la tecnologia, in un ambiente planetario distrutto da un conflitto nucleare. Questa simulazione impedisce di leggere la realtà in modo pervasivo, tanto da ingannare anche coloro che di quel meccanismo sono consapevoli e che lo combattono. Talvolta se ne rendono complici senza saperlo. La risposta dei protagonisti principali a questa crisi è fondamentalmente stoica e donchisciottiana, nella strenua difesa dei propri ideali, con ogni mezzo necessario. È l’unico modo per non soccombere. La politica occidentale ha tradito sé stessa, ha rinnegato tutti i valori di democrazia, dei diritti e solidarietà tra i popoli, e la causa di questo è il turbocapitalismo a cui tutti indistintamente in occidente hanno aderito. Non esiste più la politica, esiste la propaganda, e questa serve soltanto gli interessi di multinazionali, istituti finanziari, gruppi di potere che si contendono il controllo geopolitico e il mercato globale. Gli unici a fare politica sono quelli in basso, che devono difendere i loro diritti, quelli che capiscono le cause del loro malessere sociale e cercano di opporsi ai veri responsabili, a dispetto della propaganda. Gli zapatisti fanno politica, per questo li ho inseriti nel romanzo di Nemesis. E anche gli afroamericani dei Black Lives Matter e i curdi del Rojava. Nel romanzo sono rappresentati tutti questi resistenti, insieme ai nativi americani. In Italia quelli che fanno politica sono pochi, i lavoratori della logistica, i dipendenti di Amazon, gruppi di precari del lavoro intellettuale e creativo.

kali yugaQuali sono le tue ‘fonti’: cosa hai letto e cosa ti ha ispirato per arrivare a ‘Nemesis’? C’è, forse, un contaminazione con la graphic novel, con la musica… E poi: oggi cosa leggi? Un tuo giudizio sul sistema editoriale italiano vigente, vincente.

Negli ultimi vent’anni anni ho letto soprattutto saggistica, in particolare di politica internazionale, giornalismo e critica dei media, finendo anche per lavorare come traduttrice specializzata in questo campo. Iniziai ad appassionarmi di questi argomenti alla fine degli anni ottanta leggendo Noam Chomsky. In un passato remoto, mi hanno certamente segnata Huxely, Thoreau, Burroughs… Non amo necessariamente la lettura sofisticata, ma deve esserci una poetica, una visionarietà, in questo senso mi è piaciuto Murakami, specialmente il suo Kafka sulla spiaggia. Soltanto negli ultimi dieci anni mi sono avvicinata al genere del thriller, apprezzo molto Fred Vargas e non disdegno Nesbo. Queste letture per quanto riguarda la struttura del giallo d’inchiesta mi hanno senz’altro intrigata… Ma credo che su Nemesis abbia avuto un certo peso il cinema, i film di fantascienza mi hanno sempre affascinato. Uno dei miei cult è L’invasione degli Ultracorpi di cui ho letto anche il libro… tra i più recenti mi viene in mente I figli degli uomini, Minority Report, Codice 46… ho sempre scritto in maniera molto visiva, oltre che visionaria. Mi accadeva anche con la poesia. Inizialmente con Nemesis l’immaginario cinematografico è stato determinante, ho iniziato ad imbastirlo quasi come fosse la sceneggiatura di un film… andando avanti mi sono immersa nella dimensione del testo e credo di aver trovato un equilibrio tra il puzzle degli incastri del racconto e l’approfondimento del testo soprattutto nel sequel Eternity, caratterizzando definitivamente lo stile della saga. Il sistema editoriale italiano non lo vivo da vicino quindi ne ho una conoscenza limitata. La sensazione è che non sia molto diverso dal mondo discografico, un grande supermercato dominato dalla grande distribuzione, e soprattutto un mondo chiuso, élitario, anche quando si definisce indipendente. Come per tutto il resto si mettono avanti i nomi grossi che assicurano le vendite. Se non godi di una forte promozione alle spalle ormai sei fuori anche dagli spazi più indipendenti. Questo sistema domina tutto il mercato culturale. Mi sembra che le grandi case editrici non facciano più da talent scout… e nemmeno quelle indipendenti. In Italia funziona tutto così, per ambienti chiusi, e gli artisti si sono adeguati a questo meccanismo, riducendosi alla ricerca spasmodica della pubblicazione, a qualunque condizione, ma per fare che? Alla fine resti comunque invisibile, nel senso che il tuo contributo intellettuale, se c’è, non viene valorizzato, e ogni logica resta subordinata al mercato. Meglio starne fuori, completamente. Restare autonomi. Non è retorica, persino coloro che hanno una certa visibilità sono penalizzati nel non essere intellettualmente influenti in questo meccanismo. L’epoca dell’accelerazione è incompatibile con il lavoro intellettuale, non gli offre più un ruolo sociale, l’infosfera pervade e disperde ogni percezione della complessità e del presente, a meno che non divenga strumento di propaganda, cosa ben diversa da ciò che Gramsci intendeva nell’”arruolamento” degli intellettuali. Un artista deve portare avanti solo le sue idee, autonomamente, senza servire alcun gruppo di potere, anche quando è politicamente impegnato. E fottersene delle apparenze.

Eternity…curiosità: cosa ti ha portato al Maurizio Costanzo Show? Che ricordi dell’epoca televisiva?

Quando ci andai per la prima volta avevo ventun anni e avevo appena finito di scrivere una raccolta di poesie molto visionarie… ero nel mio periodo “William Blake” e “Jim Morrison”! Ed ero completamente in balia della mia allucinazione poetica… credo che mi ci portò la curiosità di sperimentare che effetto facevano le mie poesie e null’altro. Scoprii in quell’occasione con grande sorpresa che il pubblico restava colpito dalle mie liriche deliranti, per anni le persone mi hanno riconosciuto per strada o mi hanno scritto per mandarmi le loro poesie… è il potere della Tv. Ma c’era ancora, incredibilmente, questo interesse diffuso per la poesia. Oggi non credo che chiamerebbero uno sconosciuto in tv per leggere le sue poesie… In quell’occasione capii in modo molto diretto in che consiste la manipolazione mediatica. È una dimensione in cui se non hai esperienza di quel tipo di esposizione ti fa perdere il controllo della situazione, ti trascina dove vuole il copione, non dove vuoi andare a parare tu… ricordo proprio la sensazione assurda di venire deviata su un terreno nebuloso in cui ogni mia intenzione comunicativa restava intrappolata e inespressa, era frustrante. Mi ha impressionata questa cosa. E fu lì che compresi il potere psichico dei media. E che eravamo due cose incompatibili!

Perché scrivi? Per sopravvivere un attimo di più della morte, per rabbia, per amore, per noia… Ogni risposta è lecita purché sia illecita, estrema. 

In Nemesis l’indiana Sisifo risponde semplicemente così quando le viene chiesto perché continua a scolpire la statua del Sisifo all’infinito: “Per restare viva”. Scrivo per lo stesso motivo. Non per sopravvivere, ma proprio per restare viva. E sfondare la realtà. La realtà attraverso la scrittura non ha più limiti. Non so vivere senza questa urgenza creativa. Credo di non esistere altro che per scrivere o comporre una canzone. La scrittura è il canale di comunicazione più diretto con la coscienza. Per questo è lo strumento di sapere e resistenza più potente che ha attraversato i tempi. La scrittura va difesa, non possiamo lasciare che venga distrutta dall’istantaneità dell’algoritmo. La fine della scrittura sarebbe la fine della specie umana per come la conosciamo.

 

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