23 Ottobre 2018

Nei paesi civili il poeta è un bene nazionale, da noi funziona solo è pazzo o se è defunto. In UK la celebrazione della Prima guerra mondiale affidata a un sonetto di Carol Ann Duffy

Diciamo così: mettere ordine. Il problema d’altronde, è squisitamente ‘politico’. Prima che vi faccia la morale – la solita, per altro – ci sono: una data, un grande regista, un sommo poeta.

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La data è l’11 novembre 1918. In Piccardia, in un vagone ferroviario, nel bosco, viene firmato dal Maresciallo francese Ferdinand Foch, capo dell’esercito ‘alleato’ e dall’ammiraglio inglese Rosslyn Wemyss l’armistizio di Compiègne, ratificato dal Segretario di Stato tedesco Matthias Erzberger. Lì, in un vagone, nel bosco, in Piccardia, finisce la Prima guerra mondiale. L’Italia, che ha fatto la sua parte – abbiamo vinto la nostra fetta di guerra – firma il suo armistizio a Villa Giusti, dopo aver bloccato le velleità austro-ungariche, una settimana prima.

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Il regista è di Manchester, si chiama Danny Boyle, ed è tra i big in UK: successo planetario con Trainspotting, Oscar come miglior regista nel 2009, per The Millionaire. Recentemente ha firmato un poco riuscito film biografico su Steve Jobs (2015) e il seguito di Trainspotting, s’intitola T2 (2017). Per il centenario dalla Prima guerra, Boyle si è inventato un raduno ‘scenico’, su alcune spiagge inglesi, l’11 novembre. Il progetto – che sarà documentato – si chiama Pages of the Sea.

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Piccola parentesi. La Grande Guerra è stata, anche, un fenomeno, per così dire, lirico. La guerra oscena, di trincea, con macelleria in campo aperto, ha stimolato il gergo dei poeti. Esempi sparsi. Noi abbiamo avuto Giuseppe Ungaretti – e una sfilza di altri, allineati da Andrea Cortellessa nell’antologia Bompiani Le notti chiare erano tutte un’alba – l’Austria ha avuto i tellurici nitori di Georg Trakl, UK onora i cosiddetti ‘War Poets’, di cui ricordiamo Siegfried Sassoon, Edward Thomas e soprattutto Wilfred Owen. Versi contro le granate. Il nostro grande pensatore Renato Serra, quello dell’Esame di coscienza di un letterato, muore sul Podgora, gli sparano addosso.

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Carol Ann Duffy è tra i poeti più venduti, letti, studiati nel mondo anglofono. Scozzese, dal 2009 è ‘Poeta laureato’ del Regno Unito. Il 30 settembre scorso a Carol Ann Duffy è stato assegnato il Premio Lerici Pea “alla carriera”: se è tradotta in Italia, però, lo dobbiamo a piccoli, tenaci editori come Le Lettere (che ha pubblicato La moglie del mondo, Le api, La donna sulla luna), Crocetti (Lo splendore del tempio), Del Vecchio (Estasi). Insomma, in libreria è difficile che la troviate. La distanza del nostro Paese da paesi culturalmente più civilizzati si vede anche da questo. A me delle cariche frega nulla – il problema è che se le cariche sono scariche, non esistono non te ne puoi neanche fregare. In UK il ‘Poet laureate’ ha un ruolo di rilievo: non è incaricato di redigere sonetti sulle natiche del re o di ingolosire l’intelletto dei reali. Il ‘Poet laureate’ è una specie di jolly, è la voce critica – comunque, è la voce fuori dal coro. Il primo ‘poeta laureato’ d’Albione è John Dryden; la carica è stata ricoperta, tra gli altri, da William Wordsworth, Alfred Tennyson, Cecil Day-Lewis – il babbo di Daniel – Ted Hughes, Andrew Motion. Se il poeta ha un ruolo, la poesia è addirittura un bene della patria: vende, viene studiata nelle Università, si pubblica.

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Che paradosso idiota. Come sapete, la carica di ‘poeta laureato’ è una invenzione italiana, gli inglesi arrivano quasi tre secoli dopo. I primi poeti con l’alloro in capo sono Albertino Mussato, ma soprattutto Francesco Petrarca, che ai titoli teneva assai. Di fatto, con Petrarca, l’Italia ha inventato la poesia moderna – dopo aver sigillato, con Dante, quella antica, totale. Eppure, in Italia non solo la poesia non si studia e non si vende – se ne pubblica troppa, nei sottoscala dell’editoria – viene perfino dileggiata: il poeta è un fenomeno solo se sta su Instagram, se è pazzo – vedi Alda Merini – se è morto – vedi Simone Cattaneo.

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Ora. Carol Ann Duffy è stata incaricata di scrivere una poesia per l’evento dell’11 novembre. La sua poesia sarà letta lungo le spiagge di UK. La sua poesia sarà il discorso celebrativo per onorare una data storica memorabile. Ne hanno parlato tutti i giornali e i tele-giornali e i social di UK. Che sia bella o brutta – l’ho pubblicata qui sotto – è inessenziale, ora. Meglio una poesia di una ramanzina politica. Altra latitudine estetica – dunque etica. Altra vertigine da saggiare. Torno alla solita morale. Voglio la poesia sulle prime pagine dei quotidiani, nei tiggì della sera, durante le celebrazioni politiche, perfino in Parlamento, frenando lo sfrenato gusto dei politici nel cementare minchiate. Ecco. Mettere ordine. Riconoscere alla poesia – che è la quintessenza dell’attività umana – il suo ruolo di priorità. D’altronde, non si capisce perché scienziati, astronauti, intrattenitori e attori tutti gorgoglino nei palinsesti televisivi mentre il poeta è vilmente ignorato, quando è sufficientemente vecchio e famoso lo sbattono in Senato – vedi Luzi e Montale – a stipendio statale, sbollendo le voglie rivoluzionarie. Dopo aver messo ordine, va da sé, possiamo tornare al beato caos. (d.b.)

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La Ferita nel Tempo

Questa è la ferita nel Tempo. Le maree del secolo,
lagnando i loro salmi salmastri, non possono sanarla.
La guerra non stermina le guerre; luogo natale della morte;
la terra nutre le tintinnanti uova di metallo, che schiudono
nuova carneficina. Ma come potevate saperlo,
impavidi, mentre salpavate sulle navi, cantando?
La morte di Dio nell’aria velenosa di bombe.
Poesia che gorgheggia sangue. Sentiamo che fu amore
quello che avete dato al mondo; le piazze silenziose,
attendono il loro cenotafio. Cosa è accaduto dopo?
Guerra. E dopo ancora? Guerra. E adesso? Guerra. Guerra.
La storia potrebbe essere acqua, rimprovera questa spiaggia;
non impariamo nulla dal vostro infinito sacrificio.
I vostri volti annegano nelle pagine del mare.

Carol Ann Duffy

 

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