
“Non sostituirò mai ca**o con membro”: la biografia hot di Fernanda Pivano
Letterature
Barbara Costa
Quello che ti resta in bocca è il sapore di una bibita gassata, la CocaCola scolata da un australopiteco (che sono io). Della trama di questi scarsi romanzi da cento pagine scarse ti resta poco. Rimane, possente, il gusto. Originalissimo. Unico. Indefinibile e indimenticabile.
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Il nome lunghissimo e biblico, lo confondi con quello di Hawthorne: questi fa Nathaniel, il nostro tizio si chiama Nathanael, per convenienza ribattezzato “Nat”, sembra un augurio di Natale. Il cognome di “Nat” è facile, riguarda pianure stupende e violente, indiani&cowboy, quella storia lì. Il cognome di “Nat” è West, ed è già un programma estetico, come a dire, vado nel profondo Ovest della letteratura, nelle terre selvagge e ignote, nell’hic sunt leones della scrittura. Detto con parole sue: «attraversare la giungla americana senza l’aiuto della bussola europea» (1932, atto di rifondazione della rivista “Contact”; esito: tre numeri poi si chiudono i battenti).
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Nathanael “Nat” West è lo scrittore più originale e camaleontico della letteratura nordamericana. Se vi piace il giochetto delle classifiche: «forse non autore così grande come Faulkner, ma più acuto di Fitzgerald o di Hemigway» (parola di Goffredo Fofi). Troppo troppo il primo, troppo aggraziato il secondo, troppo virile il terzo. Tutti e tre, troppo europei, parigini col giubbotto da Marines. Anche “Nat”, come tutti loro, fa il suo grand tour a Parigi, sedotto dalle sverginate sirene del Surrealismo, nei turbinosi Venti. Qualche mese, poi torna a New York, l’Europa è una carrozza piena di parrucconi e lacchè, la mente di “Nat” è uno shuttle.
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Parto dalla fine, risolutiva: “Nat” muore come James Dean e ha l’epilogo degno di un filmone strappacuori. A 37 anni si schianta, «guidatore notoriamente imprudente», in macchina. Genio incompiuto, che fa capriole sul filo invisibile che separa la gloria dal fallimento. Il giorno prima era morto Francis Scott Fitzgerald. Sul treno che porta a New York la salma di “Nat” viaggia anche Sheilah, l’ultima moglie di Fitzgerald, va a onorare il marito.
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Di “Nat” ho letto quasi tutto. Mi restano sul groppone le cento e poco più pagine di A Cool Million, del 1934 (edizione Einaudi, resa come Un milione tondo tondo), ma vi svelo la frase finale, «Viva, viva il Ragazzo Americano!». Vi avverto, “Nat” va preso a docili dosi, altrimenti rischiate di non capire più che senso ha tutto il resto (dopo la CocaCola puoi tornare senza traumi all’acqua limpida del rubinetto?). Ammetto di invidiare “Nat”: nel 1932 se ne va in campagna, nei boschi alle spalle di New York, in compagnia di William Carlos Williams. Affittano la casetta nella foresta, ritemprando il mito dell’amicizia mistica tra Melville e Hawthorne, e lì “Nat” scrive il suo libro esilarante, cinico, superbo, Miss Lonelyhearts. In italiano fa Signorina Cuorinfranti, io ho la versione di Riccardo Duranti per le Edizioni e/o (1988; poi ripresa da minimum fax nel 2011), voi potete prendervi quella di Cristina Iuli per Marsilio (2017). Un puro di cuore tiene una rubrica per donne sconfitte dagli affetti su un giornale popolare. Ne seguono incidenti psichici, del tipo «“Ah, umanità…”. Ma le tenebre lo opprimevano e la battuta gli morì dentro con un tonfo». Il romanzo è esilarante, Billy Wilder vi ha ricavato di peso il Jack Lemmon de L’appartamento e di Non per soldi… ma per denaro, pare che Woody Allen non possa farne a meno.
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Secondo Harold Bloom (sia lode a lui), Miss Lonelyhearts è il libro perfetto del canone americano del Novecento, insieme a Mentre morivo di William Faulkner (erano i romanzi prediletti da Flannery O’Connor). Più in particolare scriveva: “Quando raggiunge l’arte più elevata, la parodia selvaggia è un bagno acido che pulisce dall’irrancidimento dello spirito”. Dustin Illingworth su “Literary Hub” dedica al libro una articolessa dal titolo emblematico, Our Darkest American Masterpiece.
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Il capolavoro di “Nat” gli capita sul ciglio della fine. «Il più bel romanzo mai scritto su Hollywood», sentenziò quel Gatsby di Fitzgerald, non pigliandoci troppo. Ci prese di meno John Schlesinger, che nel 1975 firmò una modesta versione cinematografica de Il giorno della locusta. Quasi un paradosso, visto che “Nat” ha messo in scena, nel 1939, l’apocalisse hollywoodiana, la morte del cinema, giù la maschera, illusioni perdute. Nel romanzo che inventa – letteralmente – il personaggio di Homer Simpson, sono memorabili le continue frenesie del sottosuolo di laidi produttori cinematografici e di bestiali starlette, e le pagine finali, con la folla elettrizzata che sfonda i cancelli della Città dei Sogni, degna di Tacito, che balza oltre il romanzo (un atto puro&duro, uno squarcio sul foglio bianco, da Fontana della letteratura).
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Sulla “Literary Review”, Paul Theroux, grande scrittore ‘in viaggio’ – insieme a Bruce Chatwin ha firmato il delizioso Ritorno in Patagonia –, firma un omaggio al sommo “Nat”, Born in the USA. “Né Hemingway né Faulkner, tanto meno Norman Mailer, Saul Bellow, James Jones: l’America che conoscevo non era raffigurata da questi paladini del ‘grande romanzo americano’. Quando scoprii Nathanael West capii che era lui, nonostante i suoi libri fossero stati pubblicati negli anni Trenta, a descrivere l’America che pulsava intorno a me, la sua violenza, le sue delusioni, il vuoto spirituale, la follia, i mostri… Ho letto tutti i suoi romanzi, fino a conoscerli a memoria. Non sapevo nulla del West uomo. Non sapevo che i suoi quattro romanzi – pur con sostenitori come Scott Fitzgerald e Faulkner – risaltassero per insuccesso, che West fosse costretto a guadagnarsi da vivere scrivendo sceneggiature per film di serie B, che fosse morto in un incidente d’auto, nel 1940, quando i suoi libri erano ormai introvabili. Per quel che mi riguarda, era un eroe della letteratura”.
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Stralunato, troppo bravo per aderire alla nuova narrativa “proletaria”, fu arrestato per sbaglio e accusato di vago marxismo con il suo amico Edward Dahlberg (tipo di scrittore da riscoprire) nel 1934. «Letterato sofisticato e abilissimo», dotato di «un così inquietante fascino» (W.H. Auden), il suo capolavoro è fuori onda da tempo (per Einaudi l’aveva tradotto Carlo Fruttero). Peccato non aver letto la «storia di avventure alla Conrad» che “Nat” aveva in mente di scrivere prima dello schianto. (d.b.)
*In copertina: Nathanael West è tra gli scrittori prediletti da David Bowie