Un ossimoro aleggia nel nome. Libero Concordia (1957-1990) fu così libero nella sua condotta artistica da essere discorde con tutti, discordante, disturbante, forse. Il vero nome di Libero Concordia, forse, è Libero il Discorde. Libero il diverso, l’opposto, l’australe. Nato a Bari, evoluto, artisticamente, a Milano (“Era in via Esterle, angolo via Palmanova al di là delle alte mura su cui passano i treni da Lambrate alla Centrale, paradossali moderne mura della città. Milano finisce lì? In effetti al di là c’è un’aria di periferia irrimediabile”, ricorda l’amico Elio Grazioli), morto troppo giovane, da irredento bohemien (memorabile l’aneddoto narrato da Marco Cingolani, di Libero in macchina che sgomma “con il rosso, con la polizia proprio dietro”, l’artista che “esce tranquillamente dal finestrino, contratta con i vigili, rientra, sempre dal finestrino, in macchina, ritorna fuori, cerca di pagare la multa con dei disegni”), Libero, come quelli a cui è promessa la morte precoce, sembra avere capito tutto subito, troppo in fretta. La sua pittura, atrocemente inattuale, di arcaico espressionismo (Marco Meneguzzo: “Libero Concordia è stata una delle figure più promettenti e notevoli delle giovani generazioni milanesi, pur mantenendo un’assoluta autonomia operativa: la sua pittura, infatti, quasi sempre di grande e grandissimo formato, non risente né dell’atmosfera pittorica avanguardistica, né del clima immediatamente successivo fortemente antipittorico, maturato soprattutto a Milano”), è carica di intima ribellione contro il tempo presente. Ripresentata, in un tempo che trincera all’oblio i talenti che non abbiano l’immediato riconoscimento del dio mercato, con gesto ribelle, da L’École des Italiens-Museo Immaginario, l’antro delle meraviglie del pittore Marcovinicio, a Domodossola, per la cura del geniale fotografo Antonio Maniscalco (autore delle immagini in pagina). La mostra – di spettacolare suggestione – si chiama Libero Concordia, è lì dal 6 febbraio, e chi la visita buon per lui. A me interessano i ‘materiali’, per così dire, pubblicati nel sito specifico della mostra. Concordo, infatti, con quasi tutto quello che dice Concordia. Ecco un florilegio dei suoi pensieri.
“Credo che l’arte abbia il potere di possederci. Si è quasi in balia di essa. Penso che l’artista viva in una condizione zero che gli permetta di farsi trasportare in qualsiasi momento, in qualsiasi versante. D’altronde l’arte non è un territorio geografico di cui si conosce la densità o l’estensione; è al contrario, un territorio-enigma.È troppo grande e non ci sono atlanti che la posseggano”.
“Il sogno di un artista è sempre quello di valicare una montagna e lanciare urla di gioia o di… ogni giorno è una nuova avventura. Sul pianeta ci sono confini da attraversare, nuovi posti da scoprire, e ogni volta reagisci in maniera nuova, perché respiri un’aria diversa, perché d’improvviso ti svegli di notte e hai voglia di fare un quadro… non necessariamente fare un quadro, forse senti la fame nei denti e vuoi mangiarti i colori”.
“Disegno soprattutto di notte, quando tutti dormono, come se ascoltassi questi pensieri e questi sogni che si irradiano nel cosmo: io in quel momento mi sento avvolto in una nube e sento la voglia di disegnare, di prendere l’inchiostro nero e l’inchiostro rosso, che sono i miei colori preferiti, e con questi colori mi immergo in quella che è la poesia del disegno e la vivo come tale. È come un samurai che apprende la tecnica zen e scopre che pian piano esercitandosi, dedicandosi a questa fisicità, riesce anche a rinforzarsi, a capire più se stesso, gli altri, l’arte e tutto quello che ci circonda”.
La radicalità ingenua di Libero Concordia, come di chi ammira il sole ogni giorno, l’epitaffio del cielo, per mangiarlo, è salutare. Una radicalità sfacciata, che ha preferito la latitanza dalla fama, dal tango nelle gallerie d’arte. L’arte non è fatta per stare reclusa in una galleria: l’arte esplode, espatria, è in esilio dal noto. “Mi piace scoprire nuovi mondi, oltrepassare le frontiere, avere questo rapporto, con la vita e con l’arte, basato su qualcosa di nuovo. La mattina mi sveglio e apro subito la finestra e guardo fuori, come se mi aspettassi qualcosa di nuovo. È quello che ci fa continuare”. Capite la prepotenza del gesto? Aprire la finestra. Lasciarsi mordere dalla luce. Questa è arte. Mica il tentativo lussurioso di ‘piazzare’ i propri quadri, di leccare il culo al prossimo perché si accorga di noi. No. A petto fiorito, senza corazza, dentro la vita. Peccato sia morto troppo presto. Avrei voluto conoscerlo, Libero Concordia, grande artista, uno che aveva il coraggio di spogliarsi di tutto e fare lo scalpo ai giorni. Avremmo cambiato tutto. (d.b.)