14 Gennaio 2023

“Contro il male resiste un piccolo gregge”. La morte di un papa

Se la spiritualità è la forza interna indispensabile alla creazione nell’Arte, se l’interiorità riguarda ogni piccolo atto destinato a realizzare l’urgenza dell’opera, se il confronto con la materia del corpo della pittura non è che il tentativo di superare il travaglio dell’incedere del Tempo, come non ascoltare il messaggio alto che invoca una resistenza al materialismo dominante, nel tentativo di non soffocare nell’indistinto? Come non aggiungere, sovrano, Benedetto XVI all’Intempestivo di Nietzsche, al Ribelle di Jünger, all’Uomo in rivolta di Camus, all’Indocile di Baudrillard, all’Irriducibile di Faggin, cioè a tutti coloro che non si adeguano al peggio, che non si omologano al grigiore, alla neoligua, al politicamente corretto, che non accettano il messaggio unico, la dittatura del prezzo sul valore, alimentandosi al sacro fuoco dello spirito?

La morte di un papa, è notizia tanto periodica quanto epocale per l’entità del ruolo, il seguito planetario, la profondità della missione. Nel caso di papa Benedetto XVI, deceduto il 31 dicembre 2022, nato Joseph Aloisius Ratzinger e nominato pontefice il 19 aprile 2005 quale 265° papa della Chiesa cattolica, la notizia diviene oggetto di considerazioni che hanno il dono dell’unicità e che riguarderanno il futuro stesso dell’uomo. Il 28 febbraio 2013 infatti Benedetto XVI rinucia al ministerium papale e l’elezione successiva di papa Francesco I, nato Jorge Mario Bergoglio, è cosa nota. Successione che provoca la divisione di buona parte del popolo cattolico in due fazioni: quella al seguito di Benedetto, considerato l’unico papa finché in vita e quella di Francesco I, il successore, nel peggiore dei casi l’anti-papa; il primo a capo di una sorta di resistenza conservativa, definita oscurantista e retrograda dai detrattori; il secondo progressista ma per i più intransigenti mondialista, intento nella de-cristianizzazione della Chiesa.

Per i più emotivi, un’apparente lotta del bene contro il male.

Contrariamente a quanto i media diffondono circa l’indiscusso seguito di Francesco, le decine di migliaia di fedeli, silenziosamente in coda per rendere tributo alle esequie a Benedetto, dopo quasi un decennio di nascondimento, sono la manifestazione più palese del consenso e dell’affetto di cui godeva in vita.

Molte sono le posizioni in merito a questo oggettivo, contrasto dottrinale, tra cui quella rassicurante dell’intellettuale della Chiesa Romano Guardini, rispettato da entrambi, dal primo come filosofo e dal secondo come testimone attento del proprio tempo. Le divisioni innescate dal “doppio papato” non rispecchierebbero che le due reali polarità della vita e della realtà, non essendo che la trasposizione religiosa di una divisione perpetua tra i due poli, entrambi impossibilitati a richiedere la propria unicità a discapito dell’altra, perché due facce della stessa medaglia. Posizioni quindi preziose che si completerebbero a vicenda, senza contrasti, per l’ottenimento della grazia e della pacificazione, tesi benedetta anche dal Segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin. Posizione che corrisponde più alla cultura papale di Francesco che, fin dall’inizio del suo mandato, rivendica la presenza di una tensione polare, nella certezza che il tempo sia prioritario rispetto allo spazio e ci si debba dedicare quindi più ad avviare processi nuovi, anziché mantenerne di vecchi. Gestione in tutta evidenza opposta rispetto alla parte più tradizionalista della Chiesa.

Ma anche schematizzare le scelte di Benedetto come tradizionaliste appare riduttivo e usato maliziosamente per renderle confutabili: non vi è infatti nessuno sguardo al passato nel mantenimento del verbum originario, semmai un’adesione alla fonte, un mantenimento del rigore che non prevede aggiustamenti, una ricerca della purezza che alimenta la forza del convincimento, un rifiuto della flessione verso la comodità interpretativa, figlia di quella inautenticità delle civiltà di massa analizzata da Martin Heidegger nel suo capolavoro Essere e Tempo.

Come ricorda l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, confidente di Benedetto fino alla fine, riferendosi al discorso tenuto dal papa al Collège des Bernardins a Parigi: Quaerere Deum fu ciò che mosse i monaci quando di fatto posarono le fondamenta della civiltà europea, non volendo né conservare né elaborare una cultura del passato, “Cercavano Dio”, attraverso lo studio della sua parola.

Benedetto fu un cercatore di Dio: Quaerere Deum, appunto.

Ma che si tratti d’intendere le divisioni come spinta alla pacificazione o meno, va riscontrata una data epocale, dopo la quale il contrasto tra la resistenza di Benedetto alla deriva materialista del contemporaneo, evocando con determinazione la purezza originaria del messaggio, diviene un’autentica, efferata caccia al papa. Il 18 aprile 2005 Benedetto così si esprime nella Missa pro eligendo romano pontefice:

“Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

Un messaggio teologico e teoretico chiaro, mirato al cuore del problema della de-cristianizzazione planetaria a favore di un individualismo vuoto, mercatista e globalista senza freni, parole forti che manifestano in tutta la loro chiarezza la ferrea volontà dialogica di Benedetto con la cultura e il mondo contemporaneo, in quanto ogni confronto con la realtà diviene occasione per ribadire la centralità del mistero di Cristo, presente nel suo Corpo, la Chiesa.

L’attacco frontale a Benedetto arriva puntualissimo già il giorno seguente, il 19 aprile: in Italia Benedetto verrà apostrofato come il “Pastore tedesco”, “Panzerkardinal” da Repubblica, in Germania “Vecchio goffo e ridicolo”, cui seguirà una feroce caccia all’abuso sessuale innescato dai dodici cronisti messi in pista dal Der Spiegel. Un’offensiva tambureggiante mai vista a memoria d’uomo nei confronti di un papa, fino all’indecente divieto d’accesso all’Università La Sapienza di Roma nel 2007, da parte di alcuni docenti contrari alla sua presenza, senz’alcuna protesta ufficiale del Vaticano verso il Governo italiano di allora. Nel frattempo Der Spiegel chiosa sentenze quali “Dinanzi alla crisi irreversibile del papato”, apostrofandolo sarcasticamente come “L’infallibile che ha fallito la sua missione”.

La diplomazia vaticana tace o reagisce tiepidamente ad attacchi senza precedenti, dando al mondo l’impressione inequivocabile che Benedetto XVI sia stato lasciato intenzionalmente solo.

Tra i detrattori, discorso a parte merita Umberto Eco, puntuale autore nel 2015 di un’intervista al Berliner, che oggi dev’essere ricordata virgolettata a futura memoria; il medesimo Eco che aveva fatto inorridire dalle colonne de l’Espresso nel 1971, firmatario di un manifesto per la richiesta di allontanamento del commissario Calabresi, dipinto come servo violento del potere, abbattuto poi a pistolettate, in strada, a soli 35 anni, solo un anno dopo, il 17 maggio 1972.

“Ratzinger non è un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale. Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, molto grossolane e nemmeno uno studente della scuola dell’obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione filosofica è estremamente debole. In sei mesi, potrei organizzare io stesso un seminario sul tema del relativismo. Si può stare certi che alla fine presenterei almeno venti posizioni filosofiche differenti. Metterle tutte insieme come fa Benedetto XVI, come se fossero una posizione unitaria è estremamente naïf”.

Diviene quindi importante riscrivere, evidenziare, ricordare questa grossolanità volgare e irrispettosa di Eco, regolato pochi giorni dopo dal filosofo Nikolaus Lobkowiz, già rettore della prestigiosa Università  Ludwig-Maximilian di Monaco e dell’Università Cattolica di Eichstätt e attuale direttore  del Zentral Institut für Mittel-und Osteuropastudien che tratteggia Ratzinger “Come uno degli uomini più colti della lunga storia dei vescovi di Roma”, ove non bastassero  gli straordinari incarichi collezionati, negli anni, dall’ancor giovane Ratzinger, i suoi studi su Sant’Agostino, san Bonaventura e alla scuola di Tubinga, gli stretti rapporti con Karl Rahner e Hans Urs von Balthasar, nonché il lungo dialogo con  Jürgen  Habermas, tra le menti più lucide e selettive dell’ultimo secolo, arrivando perfino ad autorizzare generosamente l’uscita del libro dei i suoi dialoghi amicali con l’ateo-matematico Piergiorgio Oddifreddi.

Lo stesso Massimo Cacciari, si dichiarerà ammiratore incondizionato di Benedetto, affascinato dalla sua dimensione teorica e teologica: un intellettuale europeo che interroga la fede, opponendosi alla deriva relativistica della filosofia contemporanea che ritiene a priori che l’atto di fede non abbia più alcun significato nel mondo della scienza e della tecnica. Una ricerca che esclude la componente politica dalla Chiesa: Nulla salus extra ecclesiam, adoperandosi per evangelizzare in senso proprio, mostrando il Cristo e interrogandosi sulla verità che da Lui si manifesta.

Alla luce di questa grandezza, appare sotto una veste più complessa anche il suo nascondimento, dopo la rinuncia che si arricchisce di una numinosa profondità spirituale. Anzi, se con la deriva relativistica si deve oggettivamente fare i conti, se d’isolamento preventivo si è trattato, questo nascondimento diviene oggi il messaggio più potente che Benedetto XVI ha lasciato a futura memoria. Un unicum che attraversa i secoli, fiammeggiante. Se la ricchezza teologica resta infatti patrimonio per i posteri, le modalità strategiche congegnate perché l’isolamento possa diventare una rivalsa sugli oppositori nell’ombra assumono i contorni di una miracolosa sopravvivenza e non per se stessi, ma per la Chiesa assediata.

Benedetto è un uomo che subisce, soffre, vacilla, un cattolico che accetta la tragedia della secolarizzazione senza cedimenti dottrinali.

I contorni cronologici del nascondimento, analogo a quello dei tre giorni di Cristo, viene narrato post mortem da un testimone indispensabile quale l’arcivescovo Georg Gänswein, padre Georg, il fedele assistente di Benedetto, defenestrato dal suo ruolo ecclesiastico di prefetto da Francesco agl’inizi del 2020 e ora in procinto di far uscire le sue memorie, titolandole Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI (Piemme). Testo che scuoterà presumibilmente la Chiesa dalle fondamenta, al punto che Francesco ha già ricevuto in udienza privata Padre Georg, dopo averlo evitato per mesi, dimostrando un evidente imbarazzo che dichiara la debolezza del suo ruolo papale, come in occasione dell’Angelus di pochi giorni fa, dove, urbi et orbi, ha chiesto agli astanti; Sono una persona che divide o che condivide?

Accusando un attacco senza precedenti, avvertendo un innegabile isolamento all’interno della stessa alta struttura ecclesiastica che non provvede ad alcun tipo di difesa papale, poteva Benedetto XVI esternare questa divisione, di fatto contribuendo dall’interno alla stessa de-strutturazione della Chiesa? No, con tutta evidenza, ed è la Chiesa stessa che fornirà la strategia nel nascondimento, combinato allo stesso tempo con una minuziosa, martellante azione teologica a ribadire il ruolo centrale di Cristo, primo obiettivo da ridimensionare nella nuova catechesi progressista.

La stessa rinuncia di Benedetto, passo decisivo per evidenziare la presa di distanze rispetto ad una deriva relativista del tutto evidente, rimane comunque monca del munus, la carica papale, riguardando solamente il ministerium, cioè l’esercizio operativo, di fatto, limitato dall’evidente ostilità interna e quindi inattuabile secondo le sue intenzioni. Senza entrambe le rinunce, di fatto e di diritto, la carica papale resta saldamente nelle mani di Benedetto, che sarà chiarissimo su quel che vede e che denuncia:

“Avremo presto preti ridotti al ruolo di assistenti sociali e il messaggio di fede ridotto a visione politica. Tutto sembrerà perduto, ma al momento opportuno, proprio nella fase più drammatica della crisi, la Chiesa rinascerà. Sarà più piccola, più povera, quasi catacombale, ma anche più santa. Perché non sarà più la Chiesa di chi cerca di piacere al mondo, ma la Chiesa dei fedeli a Dio e alla sua legge eterna. La rinascita sarà opera di un piccolo resto, apparentemente insignificante eppure indomito, passato attraverso un processo di purificazione. Perché è così che opera Dio. Contro il male, resiste un piccolo gregge”.

Le spoglie di Benedetto XVI, riposano nella Cripta dei Papi delle grotte vaticane, nel sacello che fu di papa Giovanni Paolo II.

Naturalmente.

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