La Georgia, incastonata tra il Mar Nero e il Caucaso, ai confini sud-est tra Europa e Asia, ha un nome greco antico che mi ricorda il poema virgiliano delle Georgiche. Indipendente dall’Unione Sovietica dall’aprile del 1991, con la vicina Federazione russa a nord deve fare ancora i conti come insegna sia recente passato che il presente. Un luogo lontano da dove mi trovo, penso, mentre mando un messaggio whatsapp a un po’ di amici, con l’invito a partecipare al convegno di Guido Morselli che si tiene nella mia città, Varese. Tra gli amici, la giovane intellettuale georgiana appassionata di Morselli, Nana Zardiashvili, con cui da qualche tempo sono in contatto, che vive in Georgia, a Tblisi e, da quelle parti, non solo conosce Guido Morselli ma a lui ha dedicato uno studio universitario di comparazione fra l’ucronia morselliana nell’Italia capitalista e la realtà ucronica nella Georgia postsovietica.
Sono trascorsi cinquant’anni da quel colpo di pistola alla tempia dello scrittore postumo Guido Morselli che, nella calda notte d’agosto 1973, squarciò il silenzio editoriale in cui giacevano le sue opere inedite, rispedite al mittente. Nana Zardiashvili ha studiato una comparazione fra il Morselli di Roma senza papa e un autore contemporaneo georgiano, Morchiladze con il suo Santa Esperanza. Nel ventaglio delle possibilità scopro il desiderio di incontrarla. Penso: mi piacerebbe, ma è impossibile. E invece. Detto, fatto. La giovane georgiana dalla chioma fulva e piena di splendidi boccoli arriva a Varese, vado a prenderla alla stazione delle Ferrovie dello Stato. Mi insegna ancora una volta che volere è potere. Per inseguire l’opera di Morselli si è sobbarcata un viaggio di quasi venti ore. Il suo sguardo dolce e mite sembra aver attraversato molti pensieri e superato non pochi ostacoli. Dal nostro incontro prendo appunti.
Che cosa la lega a Morselli?
“Durante un master di letteratura comparata, che trattava argomenti di ucronia, utopia e teorie dei mondi possibili, e vivendo in una realtà per me da re-immaginare, ho trovato in Morselli un autore, esterno alla nostra letteratura, che aveva già abbondantemente affrontato il problema di cambiamenti sia filosofici che esistenziali in quel suo libro pubblicato nel 1947 presso i fratelli Bocca di Milano intitolato Realismo e fantasia Dialoghi e soprattutto con il romanzo Roma senza Papa e in altri suoi lavori. Quindi, per la tesi per il Master ho deciso di affrontare il mondo di Morselli, facendone uno studio appropriato e mettendolo a confronto con l’autore georgiano Morchiladze. Grazie a una borsa di studio, ottenuta tramite la Fondazione Scientifica Rustaveli, sono venuta in Italia e ho fatto una ricerca alla Biblioteca di Varese, al Centro dei manoscritti a Pavia e all’Università di Cagliari. Ho discusso la tesi, ma il ‘ricercare’ per me non è ancora finito”.
Che cosa lega Morselli, scrittore postumo, all’autore vivente Morchiladze?
“Nel caso di entrambi gli autori, la fase attiva di utilizzo di modelli ucronici è collegata a un momento storico e biografico di svolta. Il punto di svolta nella storia furono gli anni ’90 del XX secolo per la Georgia e gli anni ’70 per Italia. La principale differenza tra i modelli ucronici dei romanzi è la categoria temporale. Il mondo senza tempo di Aka Morchiladze è retrospettivo e si basa sul ritorno al passato, il modello ucronico scelto da Guido Morselli si basa sulla proiezione del presente nel futuro e su una sorta di previsione dei risultati, servendo così a ritagliarsi un autografo nel presente. Aka Morchiladze negli anni ’90 non poteva sognare il futuro”.
Perché gli scrittori, come Morchiladze, in determinati momenti storici “non possono sognare il futuro ma un passato diverso”?
“Nella realtà georgiana degli anni ’90 era quasi obbligatorio pensare al passato, ovvero del tutto difficile pensare al futuro, perché s’inventava il presente giorno per giorno. Penso che Aka Morchiladze, non vedendo prospettive nel futuro, abbia deciso di immaginare cosa sarebbe potuto accadere e come sarebbe andata la storia georgiana se nel passato i fatti fossero successi diversamente. Per la Georgia la posizione geografica è sempre stata insieme una benedizione e una maledizione. Per cui, che nel passato qualcuno abbia spostato il popolo georgiano in un altro luogo, fa sognare, fa pensare ad un possibile presente alternativo che, da parte sua, fa pensare ad un futuro diverso”.
Che cosa pensa della letteratura georgiana in Italia?
“Penso che la letteratura georgiana in Italia sia assolutamente sconosciuta. Ci sono alcune opere tradotte in italiano, ma non è sufficiente per farsi un’idea di che cosa sia la letteratura georgiana. Ad esempio, cito i nomi dei due autori più grandi: Rustaveli e Vaja Phshavela, che, con un ponte di tempo di otto secoli, parlano del superamento dell’odio tra le diverse etnie e tra le diverse mentalità delle popolazioni; questo diventa possibile nel mondo della loro poesia, alternativo ai valori di una tradizione di puro eroismo tribale, verso una nuova visione dei rapporti tra le genti. Per non parlare di Ilia Chavchavadze, altro grande autore e personaggio, che ha fatto rinascere la lingua georgiana e il suo popolo. E ancora della poesia di Galaktion Tabidze, dei racconti di Niko Lortkipanidze o dei romanzi di Guram Dochanashvili e dello stesso Aka Morchiladze.
Quale autore georgiano le piacerebbe veder pubblicato in Italia?
“Mi piacerebbe leggere in italiano i racconti e i poemi di Vaja Phshavela. E ancora, le poesie di un gruppo di poeti caduti nelle repressioni del 1937, David Kldiashvili e tanti altri”.
Perché la letteratura georgiana non viene conosciuta come dovrebbe? E quanto è attuale la letteratura ucronica oggi?
“Per quello che riguarda la prima parte della domanda, uno dei motivi principali è la questione della lingua. Proprio la lingua georgiana è ucronica e distopica rispetto alle lingue attuali dell’Eurasia prossimale, visto che è uno degli esemplari sopravvissuti delle lingue pre ed extra indoeuropee, ha quindi problemi di traduzione. Ci sono alcuni poeti che penso siano intraducibili nonostante la bellezza della loro lingua poetica. La seconda è l’impossibilità di ideare progetti di lunga durata per mancanza di lunghi periodi di pace”.
Ha vissuto momenti difficili nel 2008: che cosa ha imparato?
“Nel 2008, durante la guerra, ho vissuto momenti difficili. Non era la prima volta che vivevamo una situazione del genere ed è triste da dire, ma la mia generazione in quel momento aveva già accumulato una grande esperienza di guerre, rivoluzioni, giorni tragici e dolorosi. Però il colpo più forte nel 2008 non è stata la guerra in sé, ma il dolore provocato dalla delusione di interrompere il corso della vita normale con qualcosa di diverso: a un giorno normale di studi o di lavoro è seguito un giorno di guerra e di esplosioni di bombe. Questo toglie tutte le speranze e la possibilità di sognare. Per fortuna si accumula non solo il dolore ma anche la conoscenza di come sopravvivere, come salvarsi e come salvare gli altri ed è proprio grazie a queste forze che abbiamo superato i giorni della guerra del 2008 e gli altri che arriveranno. Per quel che riguarda cosa ho imparato in quei giorni, la metterei così: cosa doveva imparare e cosa ha imparato il mondo intero da quei giorni? La mia risposta è niente. Le guerre di oggi lo dimostrano”.
*Il servizio è a cura di Linda Terziroli