“Ho scordato il mio nome, non è Borges”
Letterature
Ho incontrato Mister Kurtz… Le mille vite di un mito
Cultura generale
Uno tra gli infermieri con il camice verde e gli zoccoli bianchi ai piedi. Una dalle mosche scacciate dalla coda o dell’asino o del cavallo in attesa all’esterno del reparto psichiatria. Una monaca dal grande sedere e dal bianco cappello alato che spinge il carrello carico di vassoi per il cibo. La statua della madonnina sul piedistallo in fondo al corridoio, con la coroncina in testa: ah no, per questo ruolo c’è già Carla Benedetti. A me starebbe bene qualunque ritaglio per comparsa, mi piacerebbe partecipare in ogni veste alla realizzazione del film sceneggiato da Antonio Moresco in Chisciotte, pubblicato per la SEM. Quanto mi piacerebbe se il film trovasse il produttore: il set sarebbe una grande festa, un magnifico assembramento.
L’ambientazione: la prigione bianca di un reparto psichiatrico. E dove se no? Uno scrittore è le sue ossessioni e le sue ossessioni Moresco le esplicita una volta dopo l’altra: i campioni della letteratura che attraverso la follia della letteratura vanno in soccorso alla follia del mondo, riscaldandolo, riaccendendolo. Primo tra i pari lo stralunatissimo Chisciotte (di Miguel De Cervantes Saavedra c’è solo il nome dell’ospedale), poi lentamente in fila, un passo e un pazzo dietro l’altro, c’è la piccola fiammiferaia (ma non c’è Hans Christian Andersen, o l’ombra che il fiammifero proietta alle spalle della bambina miserella che lo innalza come una fiaccola è quella di un uomo dinoccolato e coi piedoni?) e c’è la Dickinson che se ne sta sempre seduta, c’è Pinocchio e c’è Kafka con le sue orecchie come ali di pipistrello potenzialmente pestilenziale, una commistione di personaggi scritti e scrittori per i quali non è così scontato stabilire chi ha creato chi. C’è il parterre al completo degli amati e delle amate di Antonio Moresco chiamati uno a uno per nome, per evocarli ancora, per convocarli, c’è sempre bisogno di loro: o si sogna o ci si arrende a vivere con l’incubo seduto sulla bocca dello stomaco che tramite quella bocca s’imbuca per diventare il ventriloquo di tutti.
Bocca? Il romanzo di Chisciotte ha al centro quella di una Dulcinea datasi alle fiamme, completamente bendata, ingessata, una bocca tanto lontana dalle due piccole fessure liberate sul viso perché gli occhi di Dulcinea possano vedere e essere visibili: che bocca è quella laggiù, alla forca tra le cosce? Forse non è una bocca, o non soltanto quella, è molto di più: è il passaggio verso il locale caldaie, verso la stanza sotterranea e segreta dove si prepara l’insurrezione e non serve l’immaginazione per sapere qual è il finale predestinato a un impeto di riscossa, di rivolta verso il sonnambulismo di massa consentito: il pestaggio, il massacro, e come in ogni bella favola che si rispetti la metamorfosi è continua e totale, l’ospedale che viene prima diventa la caserma che viene prima ancora ma che nel racconto sembra venire dopo, invece l’inizio è da collocarsi tanto tempo prima: quando ai sogni hanno risposto coi manganelli, con i pugni di ferro, con i volti macellati, con i corpi imbrattati di sangue, con le accuse di insignificanza, di obsolescenza, di improduttività. I sogni sono sovversivi. Il mondo si governa col sonno che genera i mostri deputati a governarlo.
Mi piacerebbe tanto avere una particina nel film Chisciotte: posso interpretare il rasoio che sbarba la bocca di Dulcinea? Il beccuccio del clistere con cui il capo degl’infermieri vuole spurgare Chisciotte dal peso delle sue fantasie? Mi proporrei come Sancio, mettere qualche altro chilo è un attimo e pure farsi tatuare sul corpo donne poppute e cosce di pollo, ma non ho l’età: Sancio deve essere giovanissimo. Nel caso di Sancio l’immaginazione di Moresco batte un po’ la fiacca, Sancio se vuole essere una degna caricatura della peggio gioventù dovrebbe riprendersi con lo smart per registrare i microvideo da caricare su TikTok, certo non userebbe il verso sbafare né ascolterebbe la musica da un lettore cd, ormai un reperto da archeologia industriale quanto un mangianastri. Bisognerebbe rinfrescarlo il personaggio di Sancio, va bene sia affetto da un principio di obesità e da uno scarsissimo senso dell’igiene ma almeno ascolti musica trap e dica che ha una crush per Dulcinea.
Com’è commovente l’umorismo sessuale di Chisciotte/Moresco, con gli amorazzi dottore/infermiera che terremotano di notte il reparto, con il primario che “Dà un’occhiata alle forme dell’infermiera. Ammicca, fa il gesto di leccarsi i baffi. L’infermiera esce ancheggiando esageratamente, compiaciuta”. Due frasi ed è subito commedia all’italiana. Gag che non possono essere sboccate pur volendo esserlo, un candore micidiale in quel Chisciotte in camiciola e scarponi slacciati che si leva il cappello e s’inchina di fronte alla bocca di Dulcinea ingessata, divaricata, politicamente scorretta: ma per davvero Chisciotte vuole farsi strada attraverso la donna immobilizzata in quella posizione sconveniente e vulnerabile? Ma davvero la Dickinson reciterà sempre da seduta sulla tazza del gabinetto? Per davvero Emily Brontë è una cagna nera della brughiera?
Moresco racconta un’altra piccola storia su “questa cosa sorpassata a cui non crede più nessuno” che è la letteratura, con i suoi protagonisti disattivati, rimossi, archiviati, tenuti in stato comatoso con le pappine dei libri che si vendono bene, con l’accanimento terapeutico delle riedizioni colorate, patinate, illustrate, edulcorate. La letteratura neppure più è esaltata con i drammi del manicomio, delle segregazioni violente: mannò, gli scrittori e i personaggi sono curati, accuditi, gli tirano la padella da sotto, gli fanno le spugnature, li lasciano invecchiare, morire infinitamente, nelle RSA dove se si muore o non si muore del tutto vogliamo davvero credere si noti così tanto la differenza?
Com’è diventata leggera, quasi facilona, la scrittura di Moresco negli ultimi libri: nessuna complicazione stilistica o di composizione, un racconto liscio e immaginoso, privo di intoppi, un lungo cerimoniale con gesti e scene molte ripetute: ci si sposta da una stanza all’altra, si sale o si scende, si guarda dalla finestra l’uovo di pietra trasfigurato dalla luce, ci si danna perché al telegiornale danno le notizie tragiche a raffica, apocalittiche, e i pazienti invece di lanciarsi, di diventare i condottieri di un mondo da rimettere in sesto, se ne stanno a naso all’insù, terrorizzati dai grugniti degl’infermieri che li contengono, ipnotizzati dal saluto del luminare che passa lunga la corsia col camice dal lunghissimo strascico bianco, nuziale. Moresco elenca una collezione di scenette senza nessuna vera necessità intrinseca, compie un rituale di suggestione. Eppure c’è il reparto ortopedia.
Nei libri di Moresco all’improvviso appare qualcosa di strabiliante, una invenzione che disorienta, in Chisciotte c’è il reparto dell’ortopedia dove gli ingessati se ne stanno sospesi attraverso i tiranti, come tante nuvole, sbuffi di albume, pallottole oscillanti che formano un gigantesco pendolo di Newton. I corpi distrutti e imprigionati diventano leggerissimi, origami fluttuanti, la gravità è vinta, l’immaginazione semina sconcerto e imprevedibilità, sballottola il mondo fisico, a me piacerebbe essere uno di quei corpi immersi nell’albume, scelga il costumista quale fessura praticare nell’armatura per mummie, quale bocca lasciare libera al passaggio, tramite quale dettaglio anatomico rendermi riconoscibile, io davvero voglio esserci quando nel reparto ortopedia tutto traballerà, oscillerà, volerà, si proietterà oltre le pareti, voglio proprio esserci quando ci sarà da applicare la nota di regia: “Si guardano attorno sbalorditi, per un istante, nella grande città di notte crivellata di luci”.
Anonio Coda
*In copertina: Francisco Reiguera nel “Don Chisciotte” incompiuto di Orson Welles