08 Agosto 2021

“Tutti e quattro lanciati come una sola arma, come una sola bestia”. Le poesie “olimpiche” di Henry de Montherlant

Louis-Ferdinand Céline disse che avrebbe dato via tutto Baudelaire per una nuotatrice olimpionica. Dargli torto non è facile. Ma evidentemente non aveva considerato un et-et in luogo di un aut-aut così radicale e poco felice. Henry de Montherlant – teorico e pratico di una vita che prevedesse sincretismo e alternanza – avrebbe più saggiamente considerato la prima soluzione. Egli è stato d’altronde – oltre che fustigatore delle ragazze da marito e della società tutta – autore della poesia sportiva più alta della storia letteraria. La poesia assoluta e lo splendore dei corpi in azione. Come in questi ulteriori versi delle sue Olympiques

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I corridori della staffetta

Tutti e quattro lanciati come una sola arma, come una sola bestia, come una sola barca,

il più grande a poppa e il più piccolo davanti,

ed io innestato nel mezzo, io organo di questo corpo vivente,

e recando tutti gli stessi colori, e tutti con lo stesso marchio che ci marca,

e talmente nel corridoio l’uno dell’altro che siamo in tre a non sentire il vento,

entriamo tenendoci per le spalle a piccole falcate scalpitanti.

 

Quattro noi siamo e uno solo. La perfetta solidarietà.

Un grande accordo umano, così giusto che voler cantare fa.

Ciascuno di noi, esercita un diritto di controllo sul corpo degli altri tre.

Sui polpacci miei, poiché sono tuoi, io ti riconosco un diritto.

I tuoi muscoli, i tuoi nervi, la tua testa, ciò mi riguarda perché sono a me.

Sono in quattro a vincere, non uno, se tagli il filo di smeraldo.

Stima eguale per il meno veloce e per colui che corre meglio.

Su, prendiamo i nostri posti. A presto, vecchio mio! A presto, vecchio mio!

Venti, in faccia non soffiategli quando sarà sulla linea d’arrivo.

 

Li vedo, isolati, perduti, su tre punti cardinali del campo.

Ho paura per loro e non per me. È per loro che mi sento provato.

Sono talmente diverso da tutti gli altri! Ma sono miei, e quanto!

. . . . . . . . . . . .

[…]

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Sole di mezzanotte – Ragazza, terza nella corsa delle ragazze

Ah, quella ragazzina è buona! Ed è saggia come un’icona!

Vedo il suo piede, fiore gonfio, particolare come un volto.

Vedo il nastro che le fa da benda. Vedo le sue grandi piccole mani.

Vedo la pesantezza leggera delle sue anche. Oh, madre di domani!

Non apro le braccia per abbracciarla quanto per prenderne la misura.

È solida. Ha una densità compatta. Ha un’eccellente ossatura.

Ha grandi occhi chiari da gatta. Mi strappa un grido per quanto è affascinante.

Ha il colorito e i capelli dai riflessi dorati. È il Sole di Notte.

Vedo muoversi le dita dei piedi sotto la pelle fina delle sue scarpe da corsa.

Che ella sia felice, Sole di Notte! E felice la sua venerata famiglia qui accorsa!

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A una ragazza vincitrice nella corsa dei mille metri

Fino a che la mia fronte si abbassa, lasciami guardarti senza parole,

Vittoria che di quindicimila uomini in piedi hai per ali l’amore.

Dall’istante in cui a duecento metri dal palo la corsa con certezza fu tua,

il nostro clamore, come l’acqua che sgorga, da sotto ti ha sollevata.

Duecento metri prima dell’arrivo da delle braccia eri portata.

E poi pallida, all’indietro arcuata da uno straordinario strappo travolgente,

alla fine l’implorazione delle braccia e il filo tra i denti,

ed io col mio programma in bocca per poter battere le mani più facilmente!

Oh valore! Oh migliore delle altre! Oh meraviglia che tu sia francese,

[…]

Fior di salute! Fresca e calda! Fine e forte! Dolce e dura!

Esatta e non falsificata, e come uscita dal ventre di Natura,

mia eguale e forse più, se credo a non so che emozione strana,

penso che potrei dirti: “La mia casa sarà la tua casa.”

[…]

Che cosa devo fare con ciò che si trascina e come lo potrei amare?

Tra le mie braccia, oh francese! Tra le mie braccia, oh tu che tagli il vento!

Colei che vuole, colei che dura, colei che concepisce, colei che incede con talento,

la vergine dalle spalle portatrici e che vola senza traspirare!

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Amici-tramite-le-falcate

Abbiamo corso l’uno accanto all’altro, due bei cavalli a uno stesso carro.

La mia falcata era l’affondo che spinge, la mia falcata da carica in battaglia.

I nostri respiri partivano a un tempo: un solo vapore di un dispositivo.

Quando abbiamo accelerato ho avuto un piacere tale che ho sorriso.

La velocità aumentava in noi come nell’acqua dentro a dei tubi.

Nelle virate inclinate ero un po’ appoggiato a lui.

Compiere lo stesso rallentamento, ha una dolcezza che vi chiude gli occhi.

Oh squisita morte del movimento, quando il busto si tira come briglie,

Quando le braccia si abbassano e prendon come nella bonaccia delle vele ripiegate…

Per i cinesi, da un accordo di strumenti nasceva tra i musicisti una simpatia.

Come noi diciamo: “amici di collegio”, loro dicevan con una parola unica: “amici tramite la musica”. E sia:

Ma quale parola per coloro che hanno corso assieme nell’accordo delle falcate?

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A braccia basse (Un arrivo degli 800 metri)

Le ragazze scosse, dietro, come burattini, si disuniscono, accorciano la falcata.

La sua, invece, dalla partenza, l’ha incessantemente e a poco a poco aumentata.

Pare corra in così piena scioltezza, e dentro è devastata dallo sforzo.

Le altre, dietro di lei, sono orrende: le loro bocche come segate da un morso,

le loro bocche come la bocca spalancata di un pesce o un soldato morto.

Ma c’è Dio seduto sulla sua faccia. Arriva, e basse son le sue braccia.

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La Courneuve (1)

La maglia strappata fino alle anche.

Il ginocchio, è stellato di sangue.

Lo stanno sorreggendo per le spalle.

Il cappellano dinanzi marciante.

(1) Comune della prima periferia a nord di Parigi dove il giovane Henry frequentava un ippodromo adibito a campo di atletica.

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Le emozioni del “solitario”

[…]

— Portiere, portiere,

ti fanno con le dita: “Tre minuti ancora”.

 

Lontano, l’attacco, al largo, un’onda che nasce.

Crede di vedere nella sua rete il grosso pesce.

Si prende paura. Esce dalla porta. La fuga in avanti, soldati!

L’onda è su di lui, con un odore di terra e corpo.

(Certo, meglio starsene in panca, che in quel solitario posto.)

Nel luccicore del tramonto, è il primo e l’unico dei gol segnati.

 

Crolla a terra. Ed immobile resta.

Come Achille, si strappa i capelli di testa.

 

Si rilassa. Gli torna il colorito.

Come gli uomini di Verdun è inebetito.

 

Portiere, portiere,

valeva la pena allenarsi a far la capriola.

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Un’ala è un bambino perduto

Ha conquistato il pallone e da solo, senza fretta, scende verso la porta avversaria. Oh, come se corresse nell’ombra di un dio, maestà leggera!

Sei ragazzi si lanciano al suo inseguimento; e dietro di loro zampilla la gleba.

Si direbbe il suo dispiegato solco, forza fresca, quell’ondata umana,

quel largo e grazioso ventaglio a spazzar col suo vento la piana.

Davanti a lui saltella la perfida bestia, irritata, per metà prigioniera,

che si guida a colpi di ruvide carezze, e con l’interno del piede,

e i suoi piedi sono intelligenti, e anche le sue ginocchia sono intelligenti.

Magnifica è la gravità dura di questi giovani tratti mai visti se non ridenti.

Corre, e c’è in lui qualcosa d’immobile mentre è tallonato.

Sul pallone come sulla pagina di Virgilio ha lo sguardo chinato.

Sul suo petto scoperto vedo brillar le sue medaglie d’oro. Angelo custode, ispira il suo gioco!

 

D’improvviso il pallone in aria, come nera e rapida palla di fuoco.

D’improvviso lui che s’invola; le sue scapole come la nascita di tagliate ali.

E lo schiocco musicale del cuoio, come il riso della perfida bestia, perché è sfuggito, ah, sfuggito, ahi!

Un gesto dominatore dell’arbitro. Un fischio esteso e ripetuto.

 

Io penso a una frase del manuale: “Un’ala, è un bambino perduto…”

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Vespro

Lo stadio non è che silenzio e solitudine. I riflettori si spengono a uno a uno.

I vetri degli spogliatoi si spengono, tutti assieme. Qualcosa si spegne.

C’è ormai soltanto un ragazzo, laggiù, a lanciare il disco nella sera cupa.

La luna sale. È solo. È l’unica cosa chiara sul terreno ormai buio.

È solo. Fa per sé solo la sua musica pura e perduta,

il suo sforzo che non serve a nulla, la sua bellezza che morirà domani.

Lancia il disco verso il disco lunare, come in un rito di antichi tempi lontani,

un officiante della Dea Madre, fanciullo del coro della distesa.

Solo, — talmente solo, — laggiù. Dice la sua pura e perduta preghiera.

Henry de Montherlant

*traduzioni di Marco Settimini

Gruppo MAGOG