12 Aprile 2020

“Meglio, certo meglio gli analfabeti. Da loro c’è sempre da imparare. Purtroppo, pare ne siano rimasti pochi”. Tutto Montale intervista per intervista

Se la vita, il carattere, le grandezze e le piccinerie di un autore, come vuole una certa scuola di pensiero, sono imprescindibili per comprenderne l’opera, allora per entrare nella poesia di Eugenio Montale da oggi occorre passare dalla nuova e monumentale raccolta di tutte le interviste, i colloqui, gli incontri e le inchieste di cui lo scrittore fu protagonista. Un lavoro colossale, 272 interviste ritrovate, dai grandi quotidiani ai magazine popolari, un arco cronologico di mezzo secolo, dagli anni Trenta alla morte del poeta, due volumi per 1200 pagine complessive, un parterre de rois di intervistatori (Vergani, Cavallari, Porzio, Emanuelli, Marabini, Cancogni, Biagi, Torelli, Bocca, Cederna, Aspesi…): Interviste a Eugenio Montale (1931-1981), a cura di Francesca Castellano (Società editrice Fiorentina).

Qui dentro ci sono un pezzo di storia della letteratura e del giornalismo italiano e mille aneddoti, battute fulminanti (il suo humour è irresistibile), piccole manie, debolezze (molti articoli se li faceva scrivere…), pose (accentuava la sua misoginia, gli piaceva passare per pigro, era curiosissimo fino al pettegolezzo), falsa modestia (continuava a dire che non sopportava le interviste e che non aveva mai nulla da dire, ma raramente un poeta ne ha rilasciate così tante), complessi mai superati (l’essersi diplomato in Ragioneria invece che aver frequentato il Classico sembra essere un nodo irrisolto, ecco forse perché apprezzò così tanto le numerose lauree honoris causa), improvvise illuminazioni, giudizi tranchant… È uno dei libri più belli, finora, del 2020. Leggendo il quale si scoprono aspetti imprevisti, scabri ed essenziali, di Montale. Esempi.

VIA BIGLI Alla fine, dagli anni ’50 in avanti, si deve passare per forza da qui. Montale a Milano abiterà sempre nella stessa via, prima all’11 (aveva un così bel terrazzo sui tetti di Milano… ma il padrone di casa lo mandò via) e poi al 15. Sempre in affitto. Un aspetto curioso è leggere le descrizioni di ambiente, tutte uguali, dei cento giornalisti diversi che passano dal salotto di via Bigli. Particolari immancabili: la Gina la governante tuttofare che stira camicie e adocchia la pentola. La moquette (sul colore della quale non ci sono due cronisti che concordano). L’incubo di rovinarla con la cenere delle sigarette («Sa, questa casa è in affitto, e la moquette è la cosa più importante»). Il De Chirico e i quattro De Pisis «del periodo buono» alle pareti (tolti per paura dei ladri quando si va in vacanza a Forte dei Marmi). I pochissimi libri (perlopiù, dice, regalatigli dagli editori). Le pantofole a mocassino che indossa il Poeta. Le caramelle che continua a succhiare durante le interviste. Le innumerevoli sigarette (Muratti Ambassador: per Montale «quindici al giorno», ma a leggere i pezzi sembrano molte di più).

INEDITI «Ho scritto la mia prima poesia a cinque anni. La ricordo perfettamente: Il vaso era al posto noto / né pieno né vuoto» (la confessione è in un’intervista del 1975).

STUDI «Mio padre a Genova era un commerciante. Io fui l’unico della famiglia a non essere avviato agli studi classici, perché ne ero ritenuto indegno». Dopo una pausa ad occhi spalancati, soggiunge, allegramente: «E forse avevano anche ragione…» (Corriere Mercantile, 13 dicembre 1974).

BARITONO Tutti i giornalisti che incontrano Montale ne sottolineano la voce da baritono e gli ricordano come da ragazzo volesse diventare cantante, senza farcela. Risposta standard: «Forse non ero abbastanza stupido: per riuscire occorre un misto di genialità e di cretineria».

GENOVA Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896. «La città evoca il poeta era meno brutta di quanto mi dicono sia oggi. Io manco da quasi cinquant’anni… Sento che la Liguria è stata uccisa dalla speculazione e così, naturalmente, Genova. Al principio del secolo contava solo trecentomila abitanti, ma era appena il malloppo centrale, le ali non c’erano, ora mi dicono che la città si espande da Nervi e oltre fino a Voltri. È diventata lunghissima. Io la paragono a un serpente che abbia divorato un coniglio» (1974).

ESORDI «Quando uscì il libricino degli Ossi di seppia nel 1925 mio padre avrebbe voluto comprarne una copia, ma rinunciò non appena seppe che costava sei lire» (1974).

MOGLIE Montale conosce Drusilla Tanzi (1885-1963), scrittrice e amica di Italo Svevo, nel ’27. Andranno a vivere insieme nel ’39 ma si sposeranno solo nel ’62. Detta «la Mosca», a lei dedicò Xenia della raccolta Satura (1971). «Lei era così felice di vivere. Aveva un grande attaccamento alla vita, più di quanto io ne abbia mai avuto, mi aiutava a esistere» (1974).

PROFEZIA «Fra qualche anno l’Italia sarà piena di disoccupati intellettuali, forniti di titoli di studio che non varranno più nulla… Nessuno si rassegna più alla propria condizione, l’autorità religiosa e del pater familias diminuisce ogni giorno, la filosofia è morta, siamo guidati da gente mediocre, la società ha bisogno di uomini di modesta levatura che sappiano fare un mestiere e basta…» (Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, 30 gennaio 1973).

QUOTIDIANITÀ «Gli chiedo come passa le giornate: Prendo dei sonniferi e leggo. Qualche volta esco. Ogni tanto vado a Roma. No, non più libri gialli; gli servivano per imparare l’inglese, voleva sapere chi era l’assassino e le parole si fissavano nella memoria. Alterna sigarette leggere con piccoli confetti di liquirizia. Ogni tanto chiude gli occhi, come per raccogliersi, o forse la luce della lampada lo affatica» (Enzo Biagi La Stampa, 24 febbraio 1973).

FOOTBALL/1 «La religione è in crisi qualitativamente, ma le religioni sono tante, ci sono le sottospecie. Oggi c’è persino la religione del football. Io mi sono vergognato l’altro giorno davanti a quel famoso goal non concesso dall’onorevole Lo Bello nella partita Lazio-Milan. Ho visto intere pagine di giornali con titoli spaventosi. Sembrava che fosse scoppiata una nuova guerra. Tutto questo per me è perfettamente ridicolo. Fino a che punto i giornali devono sputtanarsi per aumentare il numero dei propri lettori?» (Secolo XIX, 1973).

FOOTBALL/2 Montale odia il gioco del football, inteso come oppio, come anti-cultura. «Ho saputo che il Genoa stava per diventare l’ultima squadra italiana e questo, sinceramente, mi faceva molto piacere, è uno dei rari meriti che avrei potuto ascrivere alla mia vecchia città. Anzi, io vorrei che la squadra – dov’è adesso?, in serie B? – vorrei che andasse in serie C o in serie D o addirittura in Zeta. Questo sarebbe un grande onore per Genova, un preannuncio di rinascita. Il mio ideale sarebbe che a partire da un giorno X nessuna squadra potesse più fare goal in tutto il mondo. Sarebbe una calamità universale. Altro che le catastrofiche previsioni dei testimoni di Jehova. Il mondo crollerebbe. Poi, però, forse tornerebbe normale. Ma i miracoli in terra non succedono più… Piuttosto che restare senza goals allargherebbero le porte fino all’inverosimile e magari metterebbero a difenderle portieri di almeno ottanta anni» (1974).

LAVORO Fare il poeta è lavorare? «Interiormente sì. La fatica materiale invece è nulla. Ma quasi nessuno fa il poeta di mestiere. Poi si assiste ad un continuo travaso di competenze tra le varie forme artistiche. I pittori fanno cose che una volta non sarebbero state considerate pitture, i musicisti fanno musiche che una volta non sarebbero state considerate musiche, i poeti scrivono poesie che più logicamente dovrebbero essere considerate degli articoli di giornale. Ogni tanto, non si capisce perché, uno va a capo e allora si vede una linea più corta. Ma questo è un verso – si dice. Il mondo è squassato da una trionfale disperazione di cui però non si rende conto. Ne uscirà? Proprio non lo so» (1973).

PARTITI Montale fece parte, per un breve periodo, del Partito d’azione (si dimette nel febbraio ’46). Molti anni dopo ricorderà quella esperienza come un fallimento, confessando di volta in volta agli intervistatori che il Partito d’Azione “era un partito di quattro gatti”, e tutti aspiravano a diventare deputati” o, ancora, che l’esperienza era stata orribile, soprattutto a causa “degli uomini ambiziosi, arrivisti, senza carità”.

FASCISMO/1 “Mi amareggia sentire dichiarazioni con le quali molti personaggi, che conosco bene per i loro precedenti, si attribuiscono meriti antifascisti che non hanno. Anzi, tutt’altro. Io posso vantarmi di non aver mai scritto una riga su Mussolini: perché il fascismo fu una stupida tirannia, dalla quale si poteva facilmente evadere. A me, in fondo, ha dato la libertà di vivere al margine di quel tipo di società e questo è il mio grande orgoglio. Chi non l’ha fatto non può certo trovare scuse” (1973)

FASCISMO/2 “Certo il fascismo fu una tirannia, ma solo per quelli che si occupavano attivamente di politica. Tutti gli altri hanno vissuto prosperando alle ombre del regime. Solo pochi si opposero, e non parlo di gesti clamorosi, che li portarono al confino o all’esilio, ma di opposizione di coscienza, anche in silenzio, di opposizione mentale. Perciò mi hanno fatto sempre ridere quelli che dopo la Liberazione si sono ammantati di meriti mai vissuti” (1975).

FILOSOFIA “Mi hanno riferito, per esempio, che durante la Seconda guerra mondiale molti soldati si son portati nello zaino Le occasioni, o gli Ossi di seppia, e che li leggevano in trincea, nelle pause tra i bombardamenti e le battaglie. La mia solitudine, la mia tristezza, riusciva ad alleviare la tristezza dei soldati, la loro solitudine. Questo mi ha lasciato sempre frastornato. Che cosa penso di tutto questo? Se ho potuto portare uno spiraglio di luce in altre persone, sono felice. Ma che io abbia contribuito ad alleviare delle generazioni di intellettuali, mi sembra troppo, perché nella mia poesia non c’è filosofia. Io non ho certo indicato un sistema di vita. Se avessi potuto far questo, forse, avrei saputo vivere meglio” (1973).

SANDRO PENNA “Io l’ho conosciuto una trentina di anni fa, quando Saba se lo portava in giro per l’Italia. E non ho mai pensato a un angelo. Semmai, allora, faceva pensare a un uccello che se ne andava attorno così, beccando qua e là, senza problemi, evitando ogni occasione di impegno, e perciò esponendosi anche a molte privazioni…” (la Repubblica, 26 gennaio 1977, in morte di Sandro Penna).

ROMA/1 (che Montale frequenta saltuariamente dopo la nomina a Senatore a vita, nel 1967) “Comunque, non provo alcuna avversione per Roma, non mi è per nulla antipatica, anche se si mangia male, se c’è un cattivo clima e un cattivo riscaldamento, e se mi infastidisce la corruzione romanesca della lingua italiana” (Enzo Siciliano, La Stampa, 17 novembre 1973).

ROMA/2 “Non ha dato scrittori tranne il Belli; a parte Moravia che non è un tipico romano; ma dopo il Belli non è venuto molto. E il Belli era un gran porcone, a parte la sua bravura di poeta; da vecchio era diventato non solo bigotto ma anche denunciatore alla polizia – si dicono cose spaventose sul Belli. Mentre qui c’è il Porta, che si è comportato diversamente. Poi è morto giovane: sono due tipi umani che, a paragonarli, forse verrebbe fuori un parallelo tra Milano e Roma” (1975)

FORTE DEI MARMI (Montale per moltissimi anni ci passò le estati, in una casa in affitto, sul viale Morin, a cinquanta metri dalla Capannina): “Questo del Forte è un mare “comodo”, borghese. Non certamente un mare epico come quello del Sud, più selvaggio, se esiste ancora. O come il mare di Ulisse, insomma”.

AUTOBIOGRAFISMO “Si scrivono sempre più romanzi o poesie autobiografiche, forse ora non vi è altra possibilità che una testimonianza personale? Scrivere di sé ha un effetto catartico. Ma ciò non toglie che il mondo sia pieno di testimonianze personali che non hanno alcun effetto” (Il Resto del Carlino, 27 novembre 1973)

FLORILEGIO Novecento («L’Ottocento ha dato di più»); la poesia («Con la mia poesia sono andato al di là di ogni speranza, ho perfino guadagnato dei soldi»); la scolaresca («Una scolaresca di Bassano – intera – vorrebbe venir qui. Ne morrei»); gli scrittori («L’oblio scende su tutti, nomi di quaranta anni fa sono totalmente dimenticati»); i giovani («Nessuna possibilità di dialogo con loro. Leggo nei loro occhi: Montale reazionario»); la moglie scomparsa (nessuna parola, caramella immobile nella bocca gonfia, occhi fissi e lucidi); Dio (“Non ho nessuna opinione su di lui. Gli specialisti ne parlano in modo che mi fa orrore, specie quelli che discorrono a radio e tv. Risultano deplorevoli, sono i veri portinai della divinità, i depositari dei pettegolezzi divini. E che schifo l’antropomorfismo religioso! Dio sarebbe un tale che si configura come gli uomini e ne avrebbe tutti i difetti e i pregi più l’onnipotenza. Chissà: ci potrà anche essere una mente fatta in modo che non sappiamo. Ma è probabile che questa mente non si occupi”) (Epoca, 3 marzo 1974)

CRISI ECONOMICA Ogni decennio, poi o meno, c’è una crisi economica. Alla domanda Cosa ne pensa?, Montale invariabilmente negli anni risponde: «Non ho mai visto un Paese morire per il bilancio in passivo».

LIBERTÀ “Avrei scoperto che l’uomo ha pochissimo desiderio di essere libero e invece si parla sempre di libertà… L’uomo non ha nessuna voglia di essere libero. Qualche volta può anche prendere una via individuale, per poi pentirsene magari, ma in realtà l’uomo desidera essere protetto, “covato”, in qualche modo, o dalla società, o dal capufficio, o dal direttore generale, o dal ministero, o dal Duce, da qualcuno. Insomma, l’uomo sta molto bene quando è guidato, perché ha uno scarico di coscienza, non ha più colpa di nulla, non è responsabile di niente, insomma l’uomo desidera molto essere ‘covato’” (1974).

PREMI LETTERARI “L’Italia ha il record dei premi letterari. Pochi, però, hanno una patente di serietà e una funzione che non sia meramente commerciale. Gli altri, se sono piccoli, alimentano illusioni e velleità, se sono grossi, hanno un deprimente taglio di esibizione, di fiera televisiva. Soprattutto il Campiello con quei trecento lettori che ho il sospetto siano tutti amici di Valeri Manera, tutti del giro. Forse esagero, forse non è vero. Ma l’impressione è quella di maccheroni cucinati in famiglia” (1974).

LE INFLUENZE DI TORINO È la città dove uscirono i suoi primi libri di poesia: nel 1925 Ossi di seppia con Gobetti, nel 1939 Le occasioni con Einaudi. La Torino di Solmi, di Giacomo Debenedetti, della rivista Primo Tempo appariva «abbastanza tranquilla, leggermente provinciale; anche la Fiat non era questo mostro che grava sulla città; era ancora e sempre una città di ottimi pasticcini». Ci sarà stato una decina di volte: «Nel dopoguerra, in un albergo, mi diedero la camera dove si suicidò Pavese: me la feci cambiare in fretta, c’è sempre il rischio di certe influenze (colloquio con Lorenzo Mondo, La Stampa, 8 novembre 1974).

POESIA/1 “È l’unica arte che si fa con un pezzo di lapis, non costa niente ma non interessa” (1974).

POESIA/2 “La poesia non esiste. Me lo disse un tedesco a Firenze. Io avevo Carlo Levi ed altri amici nascosti in casa o in cantina, non ricordo più, venne un ufficiale della Wehrmacht in casa e io credevo venisse per arrestarci tutti, invece era un filologo e cominciammo a chiacchierare scoprendo che quando è antica, la poesia, non possiamo identificarci con lei, quando è nuova ripugna come tutte le cose nuove: non ha storia, non ha volto, non ha stile. Eppoi, una poesia perfetta sarebbe come un sistema filosofico che quadrasse, sarebbe la fine della vita, un’esplosione, un crollo e una poesia imperfetta non è una poesia, sicché, appunto, la poesia non esiste”. (1974)

PENA DI MORTE “Sì, sono per la pena di morte. Ma perché soltanto nel caso di rapimenti di bambini, e non anche per il sequestro di adulti? Non vedo nessuna differenza. Ci vorrebbe un giudizio rapidissimo, e un’esecuzione altrettanto rapida, non dopo un’attesa di anni. Anzi, perché non si decide che criminali di questo genere siano lapidati?” (inchiesta sui sequestri di Speciale, dicembre 1974).

PESSIMISMO Montale era considerato da molti poeta pessimista. Categoria che lui negava decisamente: “Non distruggo nulla. Non ritardo nemmeno il cosiddetto progresso. Non ci credo molto, però non lo ritardo. È contraddittorio dichiararsi pessimisti e poi continuare a scrivere poesie. Un vero pessimista non dovrebbe far nulla, dovrebbe morire; non dico suicidarsi ma sperare di finirla prima, un po’ prima di quanto sarebbe lecito” (1974).

CULTURA E POLITICA “La cultura, molte volte, è diventata uno strumento dei partiti. E questo non sarebbe neppure un male, se corrispondesse a un dibattito d’idee, a un libero confronto, anche se io resto – in questo – su posizioni crociane, dicendole che non spetta né allo Stato né ai partiti il compito di fare cultura, quanto di lasciare che esistono «le culture». Il pluralismo e la libertà sono le due condizioni che danno dinamismo a qualsiasi attività in questo campo. La libertà di esprimersi oggi c’è; è il pluralismo che manca” (Marcello Staglieno, il Giornale nuovo, 23 aprile 1975).

MILANO “Questa città è malata? Non più delle altre, forse meno di tante altre. Si vive bene? Sì, ignorandola, tenendo conto che non ci sia, ci si vive bene. Se uno invece volesse veramente sprofondarci dentro, guai. Solo stando fuori da Milano ci si può stare veramente bene” (inchiesta su Milano di Gigi Moncalvo per un libro Rizzoli, 1977).

POETA “Del resto ho sempre provato un po’ di vergogna a sentirmi chiamare poeta. Nei registri degli alberghi, mi sono sempre qualificato come giornalista” (1975).

PLAYBOY “Dovrei raccontarmi, celebrarmi, ricamarmi ricordi addosso, in mezzo ai nudi, alle donnine, alle conigliette? Mah. In fondo mi fa allegria. Pensare che mio padre mi tenne il muso per giorni, perché mi aveva sorpreso estatico, sognante davanti a una foto di Cléo de Mérode. Del resto, non ho mai creduto al poeta aureolato che si tiene a distanza dalle cose del mondo (…) Cominciamo – dice – ma siete sicuri che interesserà qualcuno? Ho l’impressione che salteranno subito ai seni, che mi scavalcheranno d’impeto. Non vi aspetterete cose solenni? E poi non c’è niente d’inedito. Sono vecchio. Ho già raccontato tutto. Comunque, proviamo” (Guido Vergani su Playboy, febbraio 1976).

BRIGATE ROSSE Montale era contrario alla pubblicazione dei comunicati delle Br sui quotidiani (però disse sì alla foto di Aldo Moro prigioniero per il suo alto valore simbolico). “Basta dire che mediante la pubblicità ai terroristi potrebbero venire le adesioni degli imbecilli… E di imbecilli ce ne sono tanti” (colloquio con Giovanni Spadolini su La Stampa, 2 aprile 1978).

DONNA/1 Quale dovrebbe essere allora, secondo lei, la condizione normale della donna? “Farsi mantenere dal marito. Questa è la condizione ideale della donna, che tutte le donne vogliono, anche quelle che non sanno di volerla” (1973).

DONNA/2 «Mah!», sussurra Montale accendendosi un’altra sigaretta. «Personalmente, non trovo nulla di male nel fatto che una o più donne vogliano fare una carriera che non sia quella della prostituta o della moglie» (Gioia, 13 settembre 1976).

FEMMINISMO E il femminismo? “Non ho conosciuto direttamente delle femministe. Ne vedo qualcuna alla televisione: di solito sono molto brutte… Cosa vogliono? Non comandavano già prima? Non sono un grande ammiratore del “maschio”, però non credo che le donne intelligenti siano femministe… almeno non mi pare…” (Stampa sera del lunedì, 7 febbraio 1977).

IRONIA «Sarei contento se istituissero l’undicesimo comandamento. Non seccare il prossimo» (ribadito più volte negli anni).

INSOFFERENZE Montale detesta le riunioni mondane, le signorine che scrivono versi e pretendono giudizi, i falsi intellettuali e gli esibizionisti: «Meglio, certo meglio gli analfabeti. Da loro c’è sempre da imparare. Possiedono alcuni concetti fondamentali, quelli che contano. Purtroppo, pare ne siano rimasti pochi» (1973).

BILANCI «Ho vissuto il mio tempo con il minimum di vigliaccheria che era consentito alle mie deboli forze, ma c’è chi ha fatto di più, molto di più, anche se non ha pubblicato libri» (Rassegna d’Italia, gennaio 1946).

CANZONI “Di quelle che conosco (e non sono moltissime) penso molto male” (Epoca, 6 dicembre 1952).

BOTTA E RISPOSTA Tra le più belle interviste in assoluto, quella di Enrico Ronda uscita su Tempo il 17 novembre 1955 dal titolo 41 domande a Eugenio Montale. Eccone alcune: Signor Montale, secondo lei la letteratura limita o favorisce il mestiere del giornalista? «Il giornalismo sta alla letteratura come la riproduzione sta all’amore. In qualche caso i due fatti possono coincidere». E tra giornalismo e pettegolezzo? «Ormai c’è così poca differenza». Quale domanda la infastidisce di più? «Quella di chi vuole notizie della mia produzione poetica». Qual è in società, la situazione che la imbarazza di più? «L’impossibilità di squagliarsi». Qual è, professionalmente, l’avvenimento cui rimpiange di più di non avere assistito? «Nessuno: quando si deve fare un servizio tutti gli avvenimenti sono egualmente spiacevoli». Qual è secondo lei il segreto del successo di un uomo? «Ce ne sono tanti: perfino quello della bravura nel proprio mestiere». Preferisce essere amato, ammirato, indifferente o addirittura antipatico? «Amato, ma molto da lontano». Quali cose nella vita la spaventano di più? «L’istruzione obbligatoria, il suffragio universale, e il voto alle donne (tutte cose, purtroppo, necessarie)». Se le fosse concesso un atto di potenza assoluta, come lo esplicherebbe? «Abolirei il cinema». Ha mai pensato di uccidere qualcuno? «No, ma ho sperato che morisse qualcuno».

GIORNALISMO/1 Numerose le varianti sull’aneddoto attorno alla sua assunzione al Corriere della sera, nel 1948 (Montale ha già 52 anni). Comunque, più o meno, andò così: «Era il 30 gennaio del ’48, ero di passaggio a Milano e andai a far visita al direttore, Emanuel, che ancora non conoscevo personalmente. Lo trovai nervoso e preoccupato. Sul suo tavolo c’era la strisciolina di carta di un flash d’agenzia con la notizia dell’assassinio di Gandhi. Cercai quasi di nascondermi in un angolo della stanza. Capivo di essere arrivato al giornale in uno di quei momenti in cui non c’è tempo per i convenevoli, e me ne sentivo in colpa. Emanuel mi fissò. Poi disse: me le scriverebbe lei quattro o cinque cartelle su Gandhi? Dissi di sì, mi accompagnarono in una stanza. Dopo due ore l’articolo era pronto. Uscì senza firma né sigla. Era intitolato Missione interrotta». Emanuel, colto da folgorazione, lo fece assumere la sera stessa. «Con il minimo dello stipendio», nota sempre Montale (Corriere della Sera, 5 marzo 1976).

GIORNALISMO/2 «È cambiato tutto, in peggio. Quando entrai al Corriere debbo dire che incontrai colleghi civili. Ero orgoglioso di essere nel giornale che mio padre aveva comprato per anni. Oggi, dico il vero, soffrirei a esserci. Ci sono i soviet là dentro» (1974).

PASOLINI «Sembrava agli inizi un giovane intelligente, poi si è buttato nel cinema» (1977).

SANGUINETI «Dice che sono un borghese… L’ho incontrato, una volta, mi sono spaventato: è un po’ bruttino…» (1977).

SCIASCIA «Sta diventando famoso, vedo… ci saranno delle ragioni» (1977).

NERUDA «Sul piano umano non posso che esprimere un sentimento di pietà per l’uomo morto in così tristi circostanze. Sul piano letterario non posso dire molto. Posso solo affermare che Neruda era animato da un continuo entusiasmo e ciò, a volte, influiva negativamente sulla sua poesia» (La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 settembre 1973, in morte di Pablo Neruda).

ELIO VITTORINI «Mah! Era un uomo estremamente simpatico, aperto, cordiale, generoso, non saprei. Dico, non era il tipo dello… scholar, ecco. Parlava un po’ a caso, a vanvera. Però con genialità di intuizione» (Nicholas Patruno, Gradiva, primavera 1978).

SENATO (Montale è nominato Senatore a vita nel 1967) «Non ci vado quasi più. Che cosa ci andrei a fare? Dovevo far parte della commissione per la scuola. Ma tutti sono d’accordo nel trasformare l’Italia in un Paese di laureati. E allora? Io non sono capace, non ho voglia di polemizzare» (1974).

RELIGIONE «Mi pare ora che tutte le religioni siano buone (e spesso cattive). Sotto sotto mi pare che anche l’attuale Papa sia d’accordo» (Giorgio Zampa, il Giornale, 27 giugno 1975). In quel momento è Papa Paolo VI.

NORD-SUD Spesso Montale se la prende con la vecchia Italia dei clan, delle ragnatele mafiose, lamenta la meridionalizzazione del Paese che dalla politica si estende alla letteratura: «Crede che se Giovanni Verga fosse nato a Cuneo sarebbe così noto?» (1974).

SCUOLA «Una volta si mandavano i bambini a scuola per farli uscire dalla famiglia. Oggi succede esattamente il contrario: è la famiglia che entra nella scuola! È una cosa oscena! Le madri nella scuola!» (…) «L’Università è malridotta. Non si insegna più niente. Conosco una ragazza laureata in Psicologia. Che significa? Farà l’assistente sociale» (1975).

NOBEL Montale vince il Nobel per la Letteratura nel 1975. Festeggia in via Bigli con confetti di liquirizia, lui con pochi e la Gina a tenere fuori i giornalisti. «Per me non cambierà nulla. Sarò più felice, perché felice non sono mai stato. Anzi, per meglio dire sarò meno infelice». L’annuncio gli viene dato al telefono (dall’ambasciatore di Svezia a Roma), nella piccola anticamera che precede la cucina, tra un vecchio frigorifero e la porta del bagno di servizio. Montale si appoggia a una maniglia. Dice ancora una volta Merci, riattacca. La Gina lo bacia teneramente sui capelli, ha gli occhi umidi di commozione. Poi gli domanda: «Andiamo a tavola?». In cucina sono pronti il riso all’olio e due polpette con l’insalata. Più tardi. «Dovrei dire cose solenni, immagino. Mi viene un dubbio: nella vita trionfano gli imbecilli. Lo sono anch’io?» (Giulio Nascimbeni, Corriere della sera, 24 ottobre 1975).

DOPO IL NOBEL E dopo il Nobel? «Magari diventerò Papa. Se c’è tanta avanguardia, tanto dissenso nella Chiesa, perché un borghese non potrebbe diventare Papa?» (1975).

CONFORMISMO «L’intolleranza che, soprattutto da qualche anno in qua, sta dilagando in Italia. Sarebbe una cosa semplicemente grottesca e ridicola se non fosse anche tragica. A volte, penso addirittura che sia una vendetta postuma del fascismo. Oggi c’è un conformismo di base che fa paura. Chi si permette di dissentire da certe opinioni correnti, ecco che viene bollato nientemeno che come fascista, magari soltanto perché non gli piace un certo film» (1976).

COCCODRILLO Montale un giorno trovò nell’archivio del Corriere il suo coccodrillo. L’aveva preparato Taulero Zulberti. «Zulberti disse poi è stato molto gentile con me. Il coccodrillo me lo sono portato via. Lo rileggo qualche volta. Gli manca la corda della commozione. Ma suppongo che qualche redattore gli aggiungerà la dovuta lacrima…» (1976).

TOMBA “Qui sono con mia moglie Drusilla Tanzi, morta il 20 ottobre 1963”, dice Montale. “Era una donna straordinaria, una specie di folletto, piena di vitalità. Gli amici la chiamavano “mosca”, “moschina”; e anch’io, mi ero abituato a chiamarla così. Nonostante la sua fortissima miopia, come ho ricordato in una poesia, riusciva a vedere le cose della vita meglio di me. Ora riposa nel cimitero di San Felice a Ema, vicino a Firenze. In quel cimitero ho comprato anche la terra, pochi palmi, per la mia tomba” (Gente, 3 novembre 1975).

ALDILÀ «Per credere nell’aldilà bisognerebbe avere alcune basi, dei punti di partenza più sicuri. Per esempio, esiste veramente il tempo? O il mondo? Io non lo so. Ecco, non conoscendo l’aldiqua finisco per avere scarsa curiosità anche per l’aldilà» (Il Mattino, 13 ottobre 1978).

Luigi Mascheroni

*Questo articolo è apparso in forma ridotta su “il Giornale’, il 9 aprile 2020.

 

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