08 Gennaio 2018

Modesta proposta: Premio Strega postumo a Marina Ripa di Meana. Ha più palle lei di tutto il Colosseo degli scrittori italiani odierni

Ci vuole del genio per mostrare il pelo…

Marina è morta, viva Marina. Ah, questa donna! La quintessenza dell’italianità: è divenuta famosa senza aver mai realmente fatto un cazzo, anzi, forse proprio per questo. L’essere e il nulla nella loro astrattezza coincidono e lei l’ha dimostrato. Ci voleva una gran fortuna per arrivare così in alto, nel paese in cui il merito e il valore sono del tutto superflui, ma è necessario possedere del genio per restare sempre sulla cresta dell’onda. E lei ce l’ha fatta. Chapeau! Ma, forse, con queste mie parole sono stato ingiusto. In verità, questa donna è stata una figura da romanzo. Pensate adesso ai suoi due cognomi: Lante della Rovere e Ripa di Meana. Lei “il doppio” l’ha vissuto alla luce del sole, spesso confondendo i ruoli con sapiente maestria. Era oramai Ripa di Meana, ma ancora si faceva chiamare della Rovere. Le ha dovuto ingiungere un tribunale di scegliersi un’identità, in ciò dimostrando scarsa fantasia e poco rispetto per il senso dell’intreccio nella narrazione di sé. Che donna, signori, che donna! Ha fatto un po’ di tutto, perfino la battona per procurare la droga al suo amante pittore. E poi, in netto anticipo sullo spirito dei tempi, anche lei, come tutti noi oggi, si è improvvisata scrittrice. E che ci vuole! Un libro, in fondo, è fatto di fogli e inchiostro. Le parole verranno da sé, oppure le scriverà qualcuno in nostra vece. E l’attivismo animalista? Tutte queste starlette, che oggi la menano con le loro campagne di sensibilizzazione, devono tutto a lei che ha lanciato la moda del “non avendo niente da fare ed essendo una signora ricca e annoiata, perché non cercare di nobilitarmi spendendomi anima e corpo in una battaglia insulsa, magari in difesa del criceto del Mozambico”. Non è molto più stupido, del resto, che trasformare in una questione di vita o di morte la lotta per il matrimonio omosessuale, in un paese che marcisce nella disoccupazione. Renzi, sei un misero epigono!

ripa di meana
Un genio nell’uso del proprio corpo: la pubblicità ‘scandalosa’ di Marina Ripa di Meana

Ma veniamo al dunque, al sodo, ossia al pelo. Non dite che non avete visto la foto del noto cartellone, perché non ci crede nessuno. Parlo di quello nel quale ostenta il corpo nudo e la sua fica è rivestita da quel sontuoso e a tratti altero manto di peli pubici. Il manifesto avrebbe dovuto avere in teoria un significato profondo, a cui in verità ben pochi hanno badato. Forse perché il recondito non rientra nel sentire nazionale, oppure perché, come dice Hegel, “non c’è niente di più profondo di ciò che sta in superficie”. E, in effetti, ciò che vi era sulla superficie della signora era ben più che bastevole. Guardatevi lo sketch in cui ne parla Roberto Benigni. Tenta di scherzarci su, ma si vede lontano un miglio che la nudità struggente di Marina lo commuove. E non è il solo perché, sia detto in camera caritatis, la Ripa di Meana era una gran gnocca. Certo, ahinoi, oramai quel suo “stile” è un poco desueto a livello di inconscio collettivo e di immaginario estetico. Roba da Playboy e Playmen anni ’60-’70. O tempora, o mores. Nessuna va più fiera della sua “pelliccia”. Se la rasano, ci mettono il piercing, il tatuaggio. La fica è divenuta mostrabile, addirittura presentabile in società. Non è più l’oscuro oggetto del desiderio. Quindi addio a quella vaporosa arborescenza in tutto affine per il suo fascino a un pericoloso cespuglio di rovi. La signora della Rovere lo sapeva, ne aveva intima coscienza, lei che intorno a Essa ci aveva costruito una carriera. Per questo il suo modo di esibirla era così diverso da oggi. Ella non mostra una fica pelosa, ma una dramatis persona, con la sua maschera, in una delle migliori interpretazioni del Potere, soggiogante e capace di incutere reverenza. No, sul serio, qui ci vuole del genio, seppur un po’ ruspante e pecoreccio, ma del genio. Certamente, non poteva che sbocciare qui in Italia.

Matteo Fais

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…ode a Marina. Ma… cosa ha fatto davvero? Le grandi donne non si chiavano, si leggono

Ci vuole un pelo sullo stomaco – e non solo lì – per essere una donna con le palle. Le donne con le palle sono quelle per cui gli uomini si castrerebbero. Sono creature rare, che varcano la vita con inquieta naturalezza. Lou von Salomé, per dire, eccitava quello Zarathustra di Nietzsche, ma se ne andò in Russia con Rainer Maria Rilke, il quale, un paio di decenni dopo, fu blandito da Baladine Klossowska, superba polacca, già maritata e mamma dei due maximi perversi, Balthus – il pittore – e Pierre Klossowski – demonico scrittore. Come chiavavano Nietzsche e Rilke? Domane letterariamente capitali. Ad ogni modo, roveto di odi alle donne magnetiche, utili a galvanizzare l’energumena energia dei maschi artisti, più omega che alfa. Per cui, sia onore imperituro a Marina Ripa di Meana, che ha messo nella tomba – prima di finirci anche lei – tutti gli amanti pluridecorati, emblema vipera della ‘dolce vita’ che fu – cioè una esistenza con pochi dolciumi e molto assenzio, poche carezze e parecchia coca, giocata sull’apice della convinzione che il mondo non ha senso, perciò tanto vale mandarla in vacca, godere tutto e spadroneggiare spavaldamente, finché ce n’è. Solo che… solo che se di Marina Ripa di Meana facciamo una amazzone di marmo, cosa dovremmo fare di Amanda Lear, divinizzata da Salvador Dalí, assisa nel talamo di David Bowie, diretta da Norman Mailer, amata da quasi tutti quelli che l’hanno provocatoriamente avvicinata? A questo punto, eleggiamo Amanda a papessa di questa Repubblica delle banane (in tutti i sensi). Cerco di essere più conciso. Che cavolo ha fatto Marina Ripa di Meana? Ha fatto tanto per l’altro sesso, dicono. Fantastico. Ha vissuto, soprattutto. E questo, ormai, non glielo toglie nessuno – a patto che qualcuno mi spieghi, senza facinorosi sofismi, cosa voglia dire ‘vivere’. Ma… cosa ha fatto, cosa ha scritto, Marina? Ha scritto I miei primi quarant’anni, Colazione al Grand Hotel e un mucchio di altri libri che nanificano l’opera omnia di Fabio Volo, e anche quella di troppi sedicenti scrittori. Vero. Questo mi basta per detonare il proclama: assegniamo il Premio Strega postumo a Marina Ripa di Meana, mica a Severino Cesari, poverino. Tanto la letteratura è sempre postuma – altrimenti è editoria che ti s’incastra direttamente nei posteriori – e Marina, ora, starà facendo un bel festone nel locale più raffinato dell’aldilà. Ma… cosa ha fatto la Ripa di Meana, oltre a usare il corpo come arma ‘politica’? Giusto. Proprio così. Qualcosa tra l’edonismo e il nulla. Il buco della serratura di un mondo fitto di maschioni allupati. E anche qui, ci sarebbe da far fiorire applausi. Ormai, per vezzo, agli artisti italiani non tira quasi più. Ma… cosa ha fatto di grande Marina? Ecco. Giusto. Avete ragione. Onore a Marina Ripa di Meana. Io preferisco, ancora, la femminilità ‘maschia’ di Virginia Woolf, preferisco la bellezza violenta di Anna Achmatova, la lap dance grammaticale di Amelia Rosselli, la feroce verbosità di Emily Dickinson, che vestiva sempre di bianco, stava reclusa in camera sua, e la ‘dolce vita’ era tutta nel suo adorabile cervello. Che donna. Le grandi donne non si adorano e non si chiavano. Si leggono.

Davide Brullo

Gruppo MAGOG