La copertina è esemplare. Si riproduce, in scala, la prima pagina della “Domenica del Corriere”. Al centro, una specie di istrionico Mandrake che estrae dalla manica un fazzoletto con i colori della bandiera italiana. L’ombra ai piedi del mago – vampiresco – raffigura lo Stivale. A dire – per simboli, per carità – che l’arte del governo è pari a quella del prestigiatore, che il prestigio del ‘politico’ è un trucco, sottile distanza tra miracolo e miraggio, tra menzione e menzogna, tra promessa e patto. Il libro, di per sé, reclama dunque il paradosso: s’intitola Mitologie italiane, allinea le “Idee che hanno cambiato la storia”, analizza, pur in parte, il mito della politica (Luiss, 2023). Un paradosso, appunto. È sulle ceneri del mito che nasce la politica, incorporando, profanati, desacralizzati, i paramenti sacri del religioso – compreso l’istante sacrificale. L’opposto della parola poetica è il discorso politico; la sofistica sorge quando le ceneri della sapienza sono svanite, fenice ridotta a pollo. Così almeno è per apparenze, paratie d’ombra: si governa, ancora, attraverso le parole, tentativi di teurgia.

Le mitologie, si dice nel libro, sono necessarie alla prassi politica, sono “vere e proprie miniere di strategie, offrono agli Stati immersi nella competizione internazionale una visione grandiosa e confortante del proprio destino e la diffondono nel corpo sociale”. Certo, dovremmo misurare le differenze tra mitologia e identità, tra prassi politica e arte di governo, tra discorso ed enigma, ma queste sono fisime filosofiche, che riguardano, diciamo così, una “poetica della politica”.

Le Mitologie italiane più durature, in sostanza, sono due: quella unitaria – l’unità d’Italia – e quella europeista – che ha per simbolo l’euro. Entrambe, sono mitologie di grandezza e di unione – quale profondità comportano? Di certo, “I partiti – o i loro simulacri – continuano, senza quasi accorgersene, a essere sempre più subordinati alla loro progressiva impreparazione politica e culturali”. Perché un dio continui a esistere – natura propria del mito – deve morire, essere decapitato, dimostrarsi risorto. La città è meglio tutelata dalla Sfinge o da Edipo? Il palazzo di Minosse, il governatore che sa giudicare e ideare leggi, fa ombra al suo opposto, il labirinto. Ma anche qui, andiamo per crisalidi di mito, sfarfallio lirico.

In meno di un centinaio di pagine, Mitologie italiane sintetizza un secolo e mezzo di storia d’Italia. Gli autori, Antonio Pilati – già autore de La catastrofe delle élite, 2019, e di La guerra dei trent’anni. Politica e televisione in Italia, scomparso lo scorso anno – e Riccardo Pugnalin, dimostrano una capacità spietata nel mostrare le zone molli, in sfascio, della politica italiana – e la sua duratura gloria.

Manager di altissimo profilo – tra l’altro, in Sky Italia e Vodafone, ora in Autostrade per l’Italia – di Riccardo Pugnalin si conosce – dice chi lo conosce – il rigore, la passione per il pensiero politico, una certa ferocia. Per un po’ di tempo ha coltivato il desiderio di costruire un giornale di ‘addestramento’ politico, o meglio, di destino. Preferisce stare nell’ombra, dove si nutrono i predatori – chi lo conosce, ne sa l’altro lato del cuore: la cavalleria, il patto tra pari, l’istinto per il ‘bel gesto’. Mitologie italiane è il primo libro che sceglie di firmare; di solito non rilascia interviste; per indole, parla poco in pubblico: non ostenta, nonostante i tempi, conserva, osserva con felino cinismo i fatti del mondo – c’è chi lavora per la terra, chi per il cielo. Lo abbiamo intervistato.  

Lascio a lei, come sempre, in questo gioco, il dono della sintesi e del cinismo. Dunque, cominciamo circoscrivendo il tema. Cos’è il ‘politico’, cos’è la ‘politica’?

La definizione di Politica – dall’antichità ad oggi, di epoca in epoca – ha sempre travalicato il semplice significato della parola stessa, assumendo valori diversi rispetto al contesto storico e sociale che attraversava. Da Aristotele a Platone, da Machiavelli a Hobbes, Bodin, a Mosca, Pareto, sono passate le molteplici evoluzioni dell’idea di politica, impossibile da rinchiudere in una dimensione statica. Piuttosto, mi soffermerei sul vero dato essenziale del concetto di Politica, permanente in ogni tempo e di fronte ad ogni scenario: quello della sua Autonomia, come categoria differente dalle altre categorie (quella morale, religiosa, economica, giuridica o sociale). Una categoria indipendente, diversa, autosufficiente e per alcuni anche originaria e di “supremazia” rispetto al circostante. La “categoria della politica” – secondo la schmittiana accezione – che definisce la contrapposizione più concreta e reale dei rapporti di forza, individuando di volta in volta – sino alla sua massima contrapposizione – “l’amico ed il nemico” in gioco. Un gioco neutro, cinico come lei lo cataloga. Con l’accortezza però di prendere in considerazione il significato filosofico antico di cinico che aveva un senso molto diverso da quello in cui si è trasformato oggi.

Distinzione tra mito e mitologia: è mai esistito, in Italia, un ‘mito’ della politica? Voglio dire: il mito prevede un dio, un Olimpo; riconosciuto fallace il mito, il dio si rivela un pagliaccio, l’Olimpo un pollaio…  

La Politica non è Mitizzabile. O almeno non lo dovrebbe essere. Chi intende correre questo rischio non ha la giusta comprensione del suo vero significato. La Politica è una categoria della prassi e della analisi dello scenario nel quale applica e svolge la sua dinamica azione. Il mito della politica sarebbe quindi una contraddizione. Invece sono esistite ed esistono una Mitologia, finanche una Teologia, dello Stato, che in alcuni momenti storici hanno sovrapposto la Politica al Mito dello Stato, e conseguentemente alla mitologia della politica. Ne parliamo nel libro e citiamo alcuni elementi che a nostro parere hanno provocato effetti dannosi. Lo stato in salute dell’Autonomia della politica, rispetto ai rischi della sua sovrapposizione con lo Stato, è sempre lo specchio della esistenza di una comunità libera e plurale e non “unica e omologata”. Per chiudere la risposta, la politica non deve mischiare il sacro col profano. Dove il “profano” in questo caso è usato nella sua accezione latina: “lontano dal sacro”, pro-fanum, distante cioè da una categoria che non le deve appartenere.

Il libro riferisce le “Idee che hanno deviato la storia” della politica italiana. Direi però che viviamo da tempo in una politica senza idee: è un bene?

Non concordo che questo sia un tempo senza idee. Le idee corrono e attraversano ogni tempo, compreso l’attuale. Se accettassimo il pensiero espresso nella sua domanda, dovremmo trarne che solo in altri tempi siano esistite le “idee”. È un pensiero che appartiene al mondo del Tradizionalismo – pensiero legittimo e autorevole – che non intende confrontarsi con la secolarizzazione delle idee. Noi qui però nel libro parliamo di politica italiana contemporanea. 

Specifico la domanda precedente. Vede oggi una nuova ‘mitologia’ capace di dare carburante all’opera politica?

Le mitologie citate nel libro – da quella nazionale a quella europeistica – sono ancora presenti non solo nel dibattito politico ma anche tra gli strumenti più attivi nella vita politica nazionale. Soprattutto la “mitologia europeista” vive oggi una delle stagioni più intense, dove le tante contraddizioni possibili stanno emergendo davanti agli occhi di tutti, anche degli stessi “sostenitori” della più radicale mitologia europeista.

Quando alligna il mito della “questione morale” significa che la prassi politica è morta: è così? 

Il sopraggiungere della “questione morale” nella vita politica italiana fissa un segno indelebile di rottura fra la “Politica” come categoria autonoma e indipendente, chiaro riflesso di una società libera, e la “Morale”, categoria irrimediabilmente centrale dell’“Antipolitica”, anticamera di ogni percorso autoritario. Ogni incursione dell’elemento morale – e ancora di più di quello moralistico – nel campo della politica ne contamina i pozzi togliendogli l’ossigeno vitale. Ben prima di Berlinguer e con ben altra autorevolezza, la “questione morale”, attraverso l’analisi della differenza fra le categorie della “morale” rispetto a quella “politica”, era stata affrontata e chiarita già da importanti studiosi italiani contemporanei come Giovanni Sartori e Gianfranco Miglio, oggi Pierangelo Schiera e Alessandro Colombo, eredi nazionali del pensiero poliedrico, geniale e “amorale” di Carl Schmitt. Rileggiamone i testi.

La mitologia odierna mi pare dica questo: le democrazie sono fantocci, Fantozzi, la politica è inerte, inerme, sottoposta al dominio di pochi, grandi gruppi finanziari. È così? 

I grandi gruppi finanziari ed economici sono sempre esistiti, pur nelle differenze e diverse dimensioni fra un’epoca e l’altra. Hanno sempre influenzato scelte e decisioni politiche. Il dibattito contemporaneo sul “dominio” delle “grandi concentrazioni” ha subito una ulteriore spinta data la estrema finanziarizzazione – in Occidente – della vita economica. Non metto in dubbio la rilevanza di questo fenomeno in esponenziale accelerazione, ma noto anche che la politica su scala globale ha reagito con forti scosse telluriche (la guerra ne è la reazione più evidente) non sempre facilmente governate dal mondo finanziario. Il mondo finanziario influenza la vita politica ma ne viene anche influenzato, a volte senza comprendere fino in fondo le possibili azioni/reazioni a proprio svantaggio. Persino un uomo di grande esperienza nell’establishment economico e politico come Henry Kissinger, ne ha recentemente più volte indicato i limiti. Se mi chiede quindi se la Finanza dominerà la Politica, la stupirò perché tenderei a risponderle negativamente, scommettendo che la finanza possa solo diventare o rimanere uno strumento “neo-bellico” nelle mani della politica.

Mi dica il nome dell’ultimo politico che la ha sorpresa (e perché)?

In Italia in termini cronologici l’ultimo è stato Bettino Craxi. Uomo libero, rinnovatore, politico a tutto tondo, ancora poco compreso, e strumentalmente rinchiuso nella “gabbia” degli immorali. Con la sua imponente fisicità portata a elemento negativo. Ma non c’è un passo della sua, tanto breve quanto intensa, corsa politica che non sia stata dettata da scelte di libertà e autonomia da ogni potere. Questo forse è stato il suo punto debole in un’Italia sempre alla ricerca di grandi, piccoli, forti e deboli poteri a cui affidare i propri destini.

Nel tempo antico la politica collimava con la sapienza: Parmenide, Eraclito, Empedocle, in modo diverso sono stati impegnati nella prassi politica del proprio tempo. Oggi la politica è social. Non dovremmo recuperare una dimensione sapienziale della politica, o sono tutte fole, perdite di tempo?

Non concordo sulla semplificazione oggigiorno prevalente sulla differenza fra le antiche e sapienti “agorà” e le contemporanee insipienti “piazze”. La prassi, l’azione politica, la vita nella politica, ha da sempre svolto un suo corso naturale e coerente al suo “tempo”. L’idea che la sapienza delle élite aristocratiche chiuse nei loro laboratori del “vero e giusto” pensiero, abbia prodotto sempre uno sviluppo sapiente della società rispetto alla crescita esponenziale dell’insipienza di un popolo scatenato nella sua nuova piazza “social”, non corrisponde – come è sotto gli occhi di tutti – alla verità. I nuovi strumenti tecnologici sono chiaramente entrati con una fortissima accelerazione nella società attuale, creando strappi e lacerazioni, ma non per questo dobbiamo considerare la politica nella/della “rete” come un elemento di per sé portatore esponenziale di diseducazione anche politica. Non confondiamo gli strumenti – come quelli “elettronici” – con le regole ferree della politica, sempre agente nella società con i suoi rapporti di forza di per loro né sapienti, né insipienti.

Cosa non la convince della mitologia europeista?

Nel libro si distingue fra Mitologia Europeista ed Europeismo. Fino a quando l’europeismo ha viaggiato sui binari della tutela della diversità fra le Nazioni componenti, rispettandone gli equilibri e le esigenze, attento alla diversità di culture, identità e necessità, l’effetto è stato positivo. Lo spiega bene Michael Walter con la sua definizione di Nazionalismo liberale senza il quale non può esistere alcuna forma di Internazionalismo (europeo e non solo), comunitario e cooperativistico. Invece quando si è entrati nella Mitizzazione radicale di un modello europeistico che non corrispondeva più a questo equilibrio fra nazioni, si è giunti alla produzione di un sistema autoreferenziale e burocratico, sfuggito al controllo di tutti gli stessi governi nazionali. Sino a diventare un modello di sopravvivenza monetaria e meramente retorico – utile come vessillo mitologico – in assenza di una vera azione condivisa di interessi plurimi tesi ad una unità di intenti realisticamente sostenibili.

A me pare, in fondo, che Mitologie italiane distrugga il mito della politica italiana… è così?

No, in realtà l’esprit del libretto tende al contrario ad una, seppur breve e limitata, critica alla “denigrazione” della politica italiana, analizzandone gli elementi pre-politici, culturali, civici, spirituali, alla base della sua originaria crisi: la tipicità italiana con la sua irriducibile identità. Non vorrei incorrere nella feroce ma perfetta critica di Nanni Moretti (“te lo meriti Alberto Sordi!”), ma ancora oggi – nel 2023! – siamo costretti a ricorrere a Massimo D’Azeglio per definire i nostri limiti ed eccessi, che mascheriamo con il ricorso all’ombrello delle mitologie politiche, nazionali ed europee.

Gruppo MAGOG